Dobbiamo bruciare Dante Alighieri? – in 4 post, prima parte

Witold Gombrowicz, il filosofo esistenzialista polacco, non esiterebbe un solo istante quando scrive: “La Divina Commedia non vale un fico secco.” Perché, ci chiediamo noi, la Divina Commedia non vale un fico secco? Ed è proprio questo, in quello che segue, che cercheremo di capire.

Siamo nel 1969, siamo nel sud della Francia e siamo anche nell’anno della morte del filosofo. Aveva 65 anni. Intorno a questa età Gombrowicz aveva sentito i passi della Signora delle tenebre avvicinarsi decisi e sicuri. E allora? E allora voleva illudersi ancora un po’, e allora aveva cercato di leggere, tra l’altro, un libro che parlava d’inferno e paradiso: curiosità giustificatissima. Il risultato è stato questo.

“Solo ora me ne rendo conto,” scrive nel suo Diario (1): “questo è il poema più mostruoso di tutta la letteratura mondiale. Pagina dopo pagina, nient’altro che una litania di tormenti, un lungo elenco di torture. “Il primo amore”, ma è proprio questo suo primo amore a far risaltare di colpo la mostruosità di tutta la faccenda. L’inferno non è una punizione. Una punizione sfocia nella purificazione, dopo di che finisce; l’inferno (dantesco), invece, è una tortura per l’eternità: tra dieci milioni di anni il dannato urlerà esattamente come in questo momento, senza che cambi una virgola. Una cosa del genere è inaccettabile. Il nostro senso della giustizia vi si ribella.”

Si ribella sì. Le punizione divine, le punizioni che i preti hanno escogitato per tutti coloro che si rifiutano di credere in quello che loro gli dicono di credere, sono infatti così assurde e disumane che è meglio ignorarle. Proseguiamo invece con quello che il pensatore polacco ha da dire sulla Divina Commedia.

“ ‘Lui’ (Dante) chiama supremo amore quella che è suprema crudeltà. Mai la parola “amore” è stata usata in modo più sfrontatamente paradossale; mai la parola dell’umano linguaggio fu applicata in modo più sfrontatamente perverso. E questa parola è per l’appunto la più sacra e la più cara di tutte. L’infame libro ci cade dalle mani e le offese labbra bisbigliano: non aveva il diritto.”

Riprendiamo questa frase: “ ‘Lui’ chiama supremo amore quella che è suprema crudeltà.” Proprio così, la Divina Commedia è una crudeltà unica. Il paradiso (il purgatorio lasciamolo perdere), che comunque non lo raggiungerà mai nessuno eccetto Beatrice, vale a dire la lussuria dantesca, è d’una barbarie inaudita. Non sarebbe forse la punizione più impietosa al mondo, quella che tutti i credenti comunque desidererebbero avere, dover vivere in eterno facendo da mattina a sera le stesse cose e con gente che sulla terra è vissuta da vile, da sottomessa, senza testa e senza ambizione, succube dei suoi tiranni e che ha porto sempre l’altra guancia? Chi mai vorrebbe condividere per sempre la propria vita con coteste persone? Nietzsche aveva capito perfettamente chi era Dante quando diceva di lui che era “Una iena che scriveva poesie sulle tombe”.

(1)      Witold Gombrowicz, “Diario, volume II (1959-1969), le Comete, Feltrinelli, 2008.

 

Nel prossimo post, parte seconda

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  1. By Federico Esposito

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