Fiori di sierra, romanzo, i fantasmi della fanciullezza, parte prima(11)

XI

Prima di partire, il suo rapporto col cugino era sporadico e frettoloso. Amedeo studiava, era sempre occupato, aveva genitori superbi, severi, ma affettuosi, che gli erano sempre alle calcagna con coccole, premure e minacce, sempre a decidere tutto per lui, anche quante boccate d’aria doveva prendere in un minuto, lasciandogli raramente qualche briciola di libertà.

Il padre beveva come la maggior parte degli uomini di quel luogo, soffriva di forti attacchi convulsivi. Se, però, nei momenti in cui era alla mercé dei suoi attacchi avesse fatto un torto alla moglie, al figlio o a qualcun altro, poi avrebbe chiesto loro perdono in ginocchio. Era buffo vedere quell’uomo inginocchiato a chiedere perdono alla persona che aveva offeso.

La madre, meno superba ed eccentrica del padre, era una donna devota a Dio e al marito, che, per lei, era un’altra specie di dio. Questi non sopportava la madre di Nicolello, la signora Concetta, perché, secondo lui, era troppo disdegnosa e cattiva come donna. E così, mentre le due famiglie, in un modo o nell’altro, non andavano d’accordo, i due ragazzi sì.

Tutte le volte che riuscivano a vedersi ne combinavano di tutti i colori: si bisticciavano, si prendevano a cazzotti come nei film, parlavano di donne, si masturbavano, andavano a rubare le mele nella proprietà del Baffone, adoravano raccontarsi storie.

Amedeo aveva un pene adunco, lunghissimo, e quando pisciava non pisciava diritto, ma di traverso. Nicolello si teneva sempre a distanza quando pisciavano insieme. Amedeo temeva che nessuna donna l’avrebbe sposato, se avesse saputo che aveva un pene storto. Diceva che non l’avrebbe mai mostrato alla fidanzata; solo dopo essersi sposato e averla posseduta mille volte, solo allora gliel’avrebbe fatto vedere. Poi c’era anche la possibilità di non farglielo mai vedere. Poteva fare l’amore sotto le coperte e al buio. E se qualche volta glielo avesse visto, come avrebbe potuto giudicarlo? La donna che va a letto solo col marito, può pensare che tutti gli uomini abbiano un pene uguale al suo. A questa idea – un po’ ingenua, perché nessuna donna, per quanto sprovveduta, avrebbe potuto credere a quella cosa, a cui lui però credeva – Amedeo gioiva, e gioiva perché così avrebbe potuto riscattarsi dal torto ingiusto che gli aveva fatto la natura. Pensare che un giorno la sua futura moglie potesse credere che tutti i maschi fossero provvisti di un membro come il suo, adunco e lunghissimo, lo faceva morire dal ridere.

Una volta Amedeo voleva montare una delle pecore di Nicolello. Questi non voleva, assolutamente non voleva che lui montasse la sua bestia. Quindi si acchiapparono. Alla fine però Nicolello l’ebbe vinta, non con la forza, Amedeo era più forte di lui, ma con la minaccia di dirlo ai suoi genitori.

“Ti ammazzo, se fai questo.”

“Allora tu non devi montare la mia pecora.”

“Ma cosa pensi? Che ti faccio cornuto, se faccio all’amore con la tua pecora?”

“Non so cosa penso. So solo che non voglio che tu la tocchi.”

“Come vuoi, piccolo stronzo!” gli aveva detto allora Amedeo incazzato. “Però devi venire ad aiutarmi per prendere quella dell’Orbo che è sempre lì sola nel campo e lui oggi non è là. È andato a Stìdero.”

“Solo per questa volta,” e l’aveva seguito.

Poco dopo, una volta accertato che l’Orbo (un vedovo senza figli; lo chiamavano così perché vedeva solo da un occhio) non era lì, si erano impadroniti della signora pecora e l’avevano portata in un posto isolato. Nicolello cercò di tenerla in modo che Amedeo ci facesse all’amore. La bestia, che era robusta e forte, si dibatteva, faceva di tutto per non farsi montare. Quando per un attimo sembrò calmarsi ed egli era pronto per ficcarle dentro quel suo coso storto, la signora si era messa a cagare e a pisciargli addosso. A questa vista Nicolello, smise di essere imbronciato col cugino e scoppiò a ridere allentando la presa. La signora pecora, avvertendo che non era più tenuta ferma, si svincolò e scappò mandando Nicolello a gambe all’aria. Amedeo non si preoccupò del cugino, Amedeo non rideva, Amedeo non era disposto a farsi scappare la signora, e sporco com’era le si precipitò dietro, l’acchiappò e la riportò di nuovo dove il cugino, ancora per terra, si stava sbellicando dalle risa. Si mise a implorare il suo aiuto, ma l’altro sentiva che non aveva più l’energia per tenere la pecora e continuava a ridere. Invaso com’era dalla rabbia e dal desiderio, Amedeo cercò di montarla da solo. Dopo una lotta lunga e accanita, capì che stava perdendo. Imbestialito e fortemente deluso, cominciò a picchiare e a mordere quella povera bestia, lanciando insulti a suo cugino che l’osservava e si teneva la pancia per il troppo ridere.

Era un perito agrario Amedeo, ma di mestieri ne faceva tanti: il mezzano fra i contadini, sposava gente, metteva amicizia dove c’era inimicizia, sbrigava carte, fatture e polizze per coloro che non sapevano né leggere né scrivere, faceva, agli uffici competenti, le domande per fare ottenere loro le pensioni. In cambio riceveva doni, soldi, rispetto. Possedeva anche del terreno e se lo coltivava. Con quello che ricavava dalla terra e dalle sue occupazioni, riusciva a mandare avanti la famiglia e a dare anche qualche aiuto sia ai suoi genitori che a quelli della moglie.

Adesso, dopo tutto quel tempo che li aveva separati, Nicolò se lo sentiva tuttavia vicino, proprio come una volta. Così, ritrovando di nuovo la vecchia amicizia e la complicità che li univa, avvertiva che poteva, senza reticenza, raccontargli la storia della sua vita all’estero.

 

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