Fiori di sierra, romanzo, il ritorno, parte terza (2)

II

Ricevette una lettera di sette parole dalla sua amica australiana: “You’re always in my mind, Judy,” 1.

Sheryl e Gaby gli avevano spedito delle cartoline. Erano ritornate a Sydney, ripreso il lavoro, la routine, la vita là.

Queste notizie delle girls risvegliarono in lui quell’altro mondo, oltre il mare. Ricordò Sylvia, la loro casetta, le loro conversazioni in giardino, l’Opera House, le spiagge, il mare, l’università, la laurea, il party, il viaggio in Francia, in India, il desiderio di Sylvia di visitare l’Italia, Nicolino, la felicità, la corsa, lo spavento, il dramma, la fine.

Prima di uscire, quel giorno, si osservò a lungo allo specchio. Non era un Narciso, lo faceva con curiosità introspettiva. Notò che il suo animo si riconciliava col suo aspetto, un aspetto che esprimeva solidarietà con l’animo. Animo e aspetto, aspetto e animo si sentivano tutt’uno. Un segno di crescita? Non lo sapeva, sapeva solo che passo dopo passo la sua vita si stava  avvicinando al momento cruciale. Incominciava già a sentire il ticchettìo dell’orologio, la forza dell’attrazione, dell’ossessione, lo scopo finale d’una passione inutile. La vita: un bersaglio alla ricerca d’un fucile.

Fuori fu investito da una folata d’aria fresca. Era rimasto tanto tempo vicino al focolare in compagnia di tizzoni fumo fuoco libri vino riflessioni. L’aria fresca adesso gli ricordava una sera a Parigi, e per associazione Spaîte, Rodrigo, il bagno, lo specchio, l’uscita dal bagno, dalla casa, le vie, la libertà. La libertà? Ma si era poi veramente liberi o tutt’al più si era liberi di scegliersi la propria schiavitù? Ecco dove portava la più nobile delle ambizioni: a scegliersi la propria schiavitù che, poi, forse, non era stato neppure lui a scegliersela, la sua, ma tutta una serie di eventi e di ragioni che l’avevano fatto per lui.

Alzò gli occhi e vide che il cielo si era leggermente schiarito e i  raggi del sole spaccavano in due la mole dell’Agave. Quella rimasta nell’ombra sembrava, come sempre, minacciosa, come se stesse per fracassarsi sulla casa. Fremette. Nella sicurezza c’è l’insicurezza.

S’accorse che un milione di cose gli frullavano nel capo caoticamente. Non capiva più nulla. Mentre saliva in macchina pensava di andare alla deriva, come il mondo, come le stelle, come le galassie, come l’intero universo. Questa volta, però, lui andava a pranzo dai suoi amici.

“Che bello ritrovarsi insieme dopo tutti questi anni,” disse Maddalena.

“Mi sembra un sogno, un sogno vero e proprio,” fece Michele dopo aver finito di bere il caffè. “E pensare che, io, ai sogni non avevo mai creduto.”

“Un sogno trasformatosi in realtà,” aggiunse Nicolò che si sentiva meglio, ora che aveva pranzato.

“Anche i sogni qualche volta si realizzano.”

“Vero.”

“Chissà,” proseguì Maddalena, “se tu non fossi ritornato, chissà se Michele e io ci saremmo ritrovati.”

“Difficile a dirsi,” fece Michele. “Senza di lui forse il sogno non si sarebbe realizzato. Molto probabilmente tu saresti rimasta con tuo padre e tuo figlio e io con la mia vecchietta.”

“Ci vogliono maglie per fare catene,” disse Nicolò.

“Ti saremo grati fino a quando vivremo,” fece Maddalena, “perché sento che parte della nostra felicità la dobbiamo a te. Sai, sto aspettando un bambino e se sarà un maschietto, lo chiameremo Nicolò. Spero ti faccia piacere.”

“Tanto!” disse lui e ricordò che anche Sylvia voleva chiamare il loro figlio ‘Nicolino’ se fosse stato un maschio. “È una bellissima notizia,” continuò. “Non ci resta che augurarci che sia un maschietto. Ora, però, bisogna festeggiare,” e voltandosi verso Michele chiese spiritosamente: “Oste, c’è qualcosa in cantina che fa al nostro caso?”

“Forse,” rispose Michele. “Vado a vedere.”

Avevano mangiato e bevuto e sprazzi di buon umore non mancavano. Filomena, la mamma di Michele, consumato il pasto, si era alzata ed era andata a lavare i piatti. Prima di ritirarsi nella sua stanza, aveva piazzato vicino a loro un caldano pieno di braci. Dalla cucina entrava un’aria calda che si mescolava a quella del braciere arrossando le guance dei tre vecchi amici che erano rimasti soli a tavola.

Ora, mentre Michele era sceso in cantina, Maddalena disse a Nicolò in un tono ben diverso da quello tenuto fino allora:

“Sai, sento che c’è in te qualcosa di insofferente, di irrisolto, e questo persino quando ridi, quando fai lo spiritoso. Hai un’anima tormentata, Nicolò, e per questa le cure sono sempre a rischio. Avverto, avverto fortemente dal tuo viso, da come parli, da tutto il tuo atteggiamento, che qualcosa ti lacera dentro. Sapessi quanto mi è difficile ricordare quel ragazzo allegro e felice che passeggiava lungo il corso Cavour insieme a Vincenzo e a Michele. Sono convinta che ti sono successe tante cose. Alcune le so, Michele me ne ha parlato. Però questo non è tutto. C’è altro che ti tormenta.”

Nicolò rimase sorpreso dalle parole di Maddalena. Ai suoi occhi lui non appariva per nulla com’era apparso a se stesso quella mattina allo specchio. Pensò che quello che importava non era tanto come lo vedevano gli altri, quanto come lui stesso si vedeva. Disse:

“Quando dici che ho un’anima tormentata, devo dire che hai ragione. Vivo in una fabbrica di ricordi, non tutti belli.”

“Immagino.”

“Non so proprio cos’altro dirti. Le cose stanno come stanno.” “Michele mi ha raccontato di Sylvia. È stata lei a renderti così?” chiese lei.

“Sylvia sicuramente ha avuto una grande influenza su di me, ma che sia stata lei l’artefice della mia vita, questo non lo penso proprio.”

“Doveva essere una donna eccezionale.”

“E anche molto affascinante,” aggiunse lui.

Il loro discorso venne interrotto da Michele che entrava in quel momento con una bottiglia di vino in mano. Disse che ce n’era ancora tanto in cantina e contava che Nicolò gli desse una mano a berlo. Stappò, riempì i bicchieri e tutti e tre bevvero alla salute del futuro nascituro, del futuro Nicolò!

“Tu,” fece poi Michele, “prima di andare via di qua oggi, devi dirci dove vai a trascorrere le feste. Hai detto che andavi via poco prima di Natale, dove?”

Per qualche istante Nicolò non seppe cosa rispondere. Rimase spiazzato da quella domanda. Poi gli balenò un’idea:

“Beh, se proprio ci tieni a saperlo, vado ad incontrare dei conoscenti di passaggio a Roma.”

Michele lo fissò pensieroso e gli fece un sorriso.

Parlarono e bevvero ancora.

Poi, tutto d’un tratto, Nicolò si alzò dicendo: “Dovete scusarmi, ma adesso devo proprio andare. È stato un pranzo magnifico, indimenticabile,” e, dopo aver abbracciato entrambe, filò.

Michele e Maddalena, colti così di sorpresa, riuscirono appena a spiccicare qualche parola di commiato. Non lo videro più.

 

1 Sei sempre nella mia mente, Judy.

 

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