Ha un senso la vita? (6)

Verso una nuova morale

Fin qui, Rossi, abbiamo visto tante cose, tra cui la legge istintiva, il cervello, il determinismo, la ragione, la coscienza, lo spruzzo di particelle, il contingente, la necessità, la legge di causalità e altri concetti ancora. Adesso vediamo anche la legge morale.

Ad esempio, quando prendo coscienza di essere condizionato dalle leggi naturali sopra accennate, posso, se voglio, fare qualcosa per trascenderle e liberarmi dalle loro catene biologiche?

Ecco cosa scrive a riguardo Rüdiger Safranski ne “Schopenhauer e gli anni selvaggi della filosofia”:

Quel che la natura in noi vuole è, appunto, la necessità di natura, non la libertà. Liberi diventiamo solo quando dimostriamo di avere la forza di infrangere le catene che, in quanto esseri naturali, ci legano. La libertà è il trionfo sulla nostra natura istintuale. In quanto esseri naturali noi apparteniamo al regno dei fenomeni, ma siamo al di là del mondo fenomenico con le sue necessità quando ascoltiamo la voce della nostra coscienza e quando superiamo noi stessi in quanto esseri naturali facendo qualcosa su cui non ci costringe alcuna necessità ma solo la voce della coscienza. Noi agiamo “incondizionatamente” quando, in un atto fondamentale, decidiamo per un certo “dover essere”. E se poi questo “dover essere” ha la forza di produrre un “volere” allora trionfa in noi quella “cosa in sé” che noi siamo sempre in quanto esseri morali… Kant chiamava “morale” un simile agire. Morale era dunque tutto ciò che non traeva le sue leggi dal mondo dei fenomeni; l’uomo era morale laddove superava se stesso in quanto essere naturale. La sua moralità lo conduceva al cuore segreto del mondo, p. 168.

In altre parole, bisogna superare il mondo dei sensi per essere morali; bisogna superare la mente machiavellica e predatoria per essere morale; bisogna superare il proprio egoismo, narcisismo, egocentrismo, infantilismo per essere morale; bisogna superare la propria megalomania e ogni forma di interesse cieco per essere morale; bisogna interpretare il noumeno, non alla Cacciari ma alla Safranski. In nuce: la moralità inizia quando si supera la bestialità.

Nelle parole del filosofo francese, Luc Ferry: “In questa nuova prospettiva morale, antinaturalistica e antiaristocratica, è che il valore etico del disinteresse ci si impone con una tale evidenza che non ci prendiamo nemmeno più la pena di riflettervi”, “Che cos’è l’uomo”, p. 53.

Lo stesso vale per l’altruismo cui abbiamo accennato poco sopra. L’altruismo inizia quando si supera l’egoismo, quando si va oltre  il proprio tornaconto, oltre la propria predisposizione. Io posso essere portato per natura ad avere un comportamento altruistico. Ci prendo piacere nel fare del bene, dare, aiutare gli altri, ma questo mio comportamento non vuol dire che io sia altruistico, può davvero essere un egoismo mascherato. Do questo e in cambio ricevo quest’altro. Per non parlare poi di un altruismo razionalista, di un altruismo che ci permette di giustificare la nostra coscienza. Passando davanti ad un barbone gli metto tra le mani un biglietto da cento euro. Perché glieli ho dati? Perché quel giorno ho guadagnato un milione di euro in borsa oppure ho vinto una causa in tribunale che non avrei dovuto vincere.

Il vero altruismo è, invece, quando sono convinto, ragionevolmente convinto, che debbo aiutare i miei simili, non per motivi personali, ma per dovere sociale. Ecco cosa intendono Kant, Safranski e Ferry quando affermano che la vera moralità supera le leggi di natura, va oltre l’egoismo, oltre il sentimentalismo e oltre la bestialità.

Umani non si nasce, Rossi, si nasce bestie, si nasce ignoranti, si nasce con l’istinto di sopravvivenza, si nasce egoisti. Per diventare umani bisogna trascendere la propria natura e per trascenderla bisogna capirla. Umani, quindi, non si nasce, si diventa!

 

Ordine

I francesi hanno fatto la Rivoluzione intonando liberté egalité fraternité. Eppure, la parola liberté, tanto agognata e sudata, ha portato all’umanità più danno che progresso. Liberté, secondo il sottoscritto, Orazio Guglielmini, dev’essere cambiata con “ordine”. Bisogna intonare non liberté egalité fraternité, ma “ordine”, uguaglianza, fratellanza.

L’uomo libero è una bomba vagante, un mostro che se ne va in giro per il mondo progettando crimini e distruzioni. L’ha fatto in passato, lo sta facendo e ci sono delle buone ragioni di pensare che continuerà a farlo anche in futuro. È così che la penso io, Rossi, e me ne infischio di quello che pensano gli altri. Me ne infischio anche di quei pochi uomini buoni e costruttivi che so che esistono. Non contano questi. In un campo di gramigna qualche filo di grano non conta, non ha importanza. Lo falcio insieme al resto e preparo la terra per un nuovo frumento. L’uomo non si è dimostrato degno della libertà, non si è dimostrato degno del “libero arbitrio”, non si è dimostrato degno della “legge morale” kantiana. L’uomo è un animale. Perciò, per evitare che il “mostro libero” continui il massacro insensato, si deve escogitare una legge che lo inchiodi all’ “ordine”, ordine sociale e mentale.

Il mio destino, dice il mandarino Cacciari, è pensare che sono libero, anche se poi non lo sono.

Rousseau, invece, la mette così:“L’uomo è nato libero, ma in ogni luogo egli è in catene. Anche chi si crede padrone degli altri, non cessa tuttavia d’essere più schiavo di loro”, “Il Contratto Sociale”, p. 52.

Chi ha ragione, Rousseau o Cacciari? Secondo me, Rousseau. Quest’ultimo intendeva “catene” in senso sociale; il mandarino, facendosi maladroitement portavoce di Kant, intende che non è libero per natura, il che è vero. Però, ecco il suo sbaglio: ha bisogno di pensare di essere libero anche se non lo è. Chi dice, poi, che l’uomo ha bisogno di pensare di essere libero anche se non lo è? C’è qualcosa in Natura che sia libero? L’abbiamo detto, nulla è libero in Natura e nemmeno il filosofo-politico Cacciari, anche se gli piace pensare di esserlo. Il bisogno di “libertà alla Cacciari” è un’invenzione, com’è un’invenzione Bogududù e, tutto ciò che è invenzione, se non è strettamente legato ai fenomeni naturali, non è necessario e, alla lunga, è alienante e negativo. Detto poco diplomaticamente, la sua idea di libertà è solo masturbazione mentale e questa non ha cittadinanza nel mondo del reale.

Per ben capire questo concetto di libertà, Rossi, bisogna partire dal principio che in Natura nulla è libero, dalle galassie ai quark. Anche se questi ultimi fossero liberi di schizzare dove vogliono, sono comunque prigionieri dell’atomo. La forza di gravità e la costituzione fisica delle cose, le rende dipendenti l’una dall’altra. Tutto è legato, concatenato, saldamente connesso. L’Universo è un fascio di catene al cui abbraccio nulla sfugge. Ogni fenomeno, dal micro al macro, è prigioniero delle leggi fisiche universali. La libertà non esiste in Natura. È un lusso che il signor Cacciari non può permettersi.

Io, io Orazio Guglielmini, non voglio la “libertà”, voglio l’ORDINE. La legge morale kantiana la trasformo in ORDINE, in RESPONSABILITÀ, in DOVERE SOCIALE. È un DOVERE comportarsi correttamente in società. Se uno sa nuotare, saltare in acqua per salvare un bambino che sta annegando può essere visto quest’atto, dato che nessuno l’obbliga a farlo, come un atto di libertà. Io, invece, preferisco vederlo come un atto imposto da un ORDINE sociale e morale. Quindi, ORDINE sì, libertà no!

 

Alla radice del senso naturale

L’uomo, al nocciolo, e l’abbiamo visto, è uno spruzzo di particelle: spruzzo, oggetto, spruzzo, insomma, un composto chimico. Se si vuole dare un “senso” a questo composto chimico, lo si deve trovare nello spruzzo di particelle, il cui senso è fisico, biologico, atomico, prima di tutto e, poi, ma solo poi, semmai, ha quello che gli diamo noi, cioè noi stessi diamo un senso a noi particelle, come, ad esempio, saltare nell’acqua per salvare un bambino che sta annegando. Ma questo senso che diamo noi a questo spruzzo di particelle non è quello con cui nasciamo. Infatti la Natura non ha bisogno di avere “un senso”. Per essa le cose vanno bene così come sono. Siamo noi che diamo i numeri se qualcuno ci dice che le cose non hanno senso. Eppure è così: le cose, per natura, sono prive di senso. Può darsi che abbiano un senso intrinseco, ma noi non lo conosciamo, quindi, per noi, per come esse sono sistemate, non hanno senso.

Per Heidegger le cose addirittura non esistono, solo l’uomo esiste: “L’unico essere che esiste è l’uomo. Egli solo esiste. Le rocce ci sono, ma non esistono; gli alberi ci sono, ma non esistono; i cavalli ci sono, ma non esistono; gli angeli ci sono, ma non esistono. Dio è, ma non esiste. La proposizione ‘l’uomo solo esiste’ non vuol dire che egli solo è reale tra tutte le cose, mentre le altre sono irreali, semplice apparenza, solo idee umane. La proposizione ‘l’uomo solo esiste’ vuol dire: l’uomo è l’unico essere tra tutti gli esseri che ha consapevolezza di essere.”

Ecco dove ci ha portato questa prima riflessione sul mondo fenomenico e su quello culturale: alla consapevolezza di essere.

 

Nel prossimo capitolo, Rossi, ti parlerò, non di razze biologiche, che non esistono, ma di energia conoscitiva e diversità culturali.

 

 

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