Viviamo in un pozzo cosmico

 

“Il pozzo cosmico in cui ci troviamo è come un alveare. Le api nascono, vivono e muoiono nell’alveare, così noi esseri umani: nasciamo, viviamo e moriamo nel pozzo cosmico, il nostro alveare”.

Orazio Guglielmini

 

La realtà del pozzo cosmico non è fantasia. La relatività generale, nel caso fosse corretta (questo lo vedremo più avanti), sostiene che l’universo è come un’immensa rete ondulatoria e piatta. Ogni oggetto che si forma o cade su di essa, sprofonda formando un cratere, un pozzo, un pozzo che scende in profondità a seconda della massa dell’oggetto: oggetto grande, grande pozzo; oggetto piccolo, piccolo pozzo.

Il nostro pozzo cosmico è relativo alla massa del Sole. Da questo cratere o pozzo spaziale non si esce. Siamo appena arrivati sulla Luna e l’idea di andare su Marte potrebbe essere fatale, oltre che la fine per quelli che ci vanno. Pensare poi che potremmo andare oltre Nettuno e inoltrarci nel profondo cosmo, fa parte dei nostri sogni, non della nostra realtà. La realtà è che noi siamo prigionieri del nostro pozzo cosmico.

Nonostante ciò, ci sono scienziati e scrittori, particolarmente quelli visionari, che parlano di navi spaziali che viaggiano da una stella all’altra, da un pianeta all’altro, da una galassia all’altra; altri che ci dicono che possiamo spostare corpi celesti da un posto all’altro a colpi di fionda, altri ancora che possiamo viaggiare nel cratere d’un buco nero e arrivare in un altro universo, in un altro mondo e iniziare lì una nuova vita, occupandone, eventualmente, il posticino più tranquillo e bello; invece, coloro che sono desiderosi di conoscere tutto ciò che ci circonda a livello cosmico, possono farlo nel giro di qualche settimana viaggiando nei wormholes (buchi di verme, gallerie spaziali, scorciatoie tra un luogo e l’altro, tra un universo e l’altro), poi ci sono quelli che dicono che, con navicelle spaziali a propulsione a ioni, potremmo passeggiare per il cosmo a nostro agio e piacere fermandoci qui per prendere un po’ di tintarella e là per rifocillarci prima di riprendere il nostro viaggio alla scoperta di altri mondi e avventure cosmiche, ecc., ecc., ecc. Tutto questo e un milione di altre romanticherie spaziali: è possibile?

Affatto, sostiene Alan Cromer e spiega la faccenda spaziale in tutt’altro modo che i suddetti signori. Ecco cos’ha da dire sulla realtà spaziale nel suo libro Uncommon sense: the heretical nature of science,tradotto in italiano “L’eresia della scienza”. Scrive Cromer:

 “La stella di Barnhard, che si trova nell’Alfa Centauri a 4mila anni luce da noi, è la stella più vicina alla Terra che possa mantenere un sistema planetario stabile. Anzi, vi è qualche indizio che possa avere almeno un pianeta delle dimensioni di Giove. Vediamo quanto ci impiegherebbe un barnardiano per raggiungere la Terra.

“La terra dista sei anni luce, oppure 56 miliardi 766 milioni di chilometri dalla Stella di Barnhard. È solo una questione di aritmetica calcolare la velocità di cui una nave spaziale barnardiana avrebbe bisogno per raggiungere la Terra in un dato tempo. Per esempio, se il viaggio fosse di 60 anni la velocità dovrebbe essere approssimativamente un decimo di quella della luce, cioè 30mila chilometri al secondo circa; per un viaggio di 600 anni la velocità dovrebbe essere un centesimo di quella della luce, cioè 3mila chilometri al secondo; e per un viaggio di 6mila anni la velocità dovrebbe essere un millesimo di quella della luce, cioè 300 chilometri al secondo.

“La legge fisica più fondamentale di tutte ci dice che il solo modo in cui un veicolo spaziale può aumentare o diminuire la sua velocità nel vuoto è sparando fuori della materia ad alta velocità. Supponiamo che i barnardiani siano creature pazienti, desiderose di viaggiare per seimila anni allo scopo di riempire le prime pagine dei giornali popolari. Per poter atterrare dolcemente sulla Terra, la loro nave spaziale dovrebbe rallentare da una velocità di 300 chilometri al secondo sino alla velocità della rotazione terrestre intorno al Sole, 31 chilometri al secondo circa, accendendo i suoi motori dalla parte opposta alla sua direzione.

“La quantità di materia che la nave spaziale deve poter espellere dipende dal suo peso e dalla velocità di scarico del propellente. Per esempio, un veicolo spaziale di cinquanta tonnellate – le dimensioni di quello che portò gli astronauti dell’Apollo sulla Luna – avrebbe dovuto espellere più di 50mila miliardi di tonnellate di materia a una velocità di 10 chilometri al secondo. Ciò significa che una piccola nave spaziale barnardiana di 50 tonnellate dovrebbe raggiungere il nostro sistema solare collegata a un serbatoio di carburante largo 5 chilometri e lungo 1500, per essere in grado di rallentare alla velocità della Terra. Per aver lanciato un mostro tale, i barnardiani avrebbero avuto bisogno di un razzo più grande del loro stesso pianeta. Tutto questo per inviare un veicolo spaziale – grande abbastanza solo per ospitare 3 esseri umani – in un viaggio solo andata verso la Terra di 6mila anni.

“La difficoltà principale dei viaggi spaziali è che un veicolo deve portare con sé tutto il carburante di cui avrà bisogno, sia per aumentare sia per diminuire la sua velocità. Non ci sono stazioni di rifornimento nello spazio. Ma più è grande il serbatoio del veicolo, maggiore è la massa totale che deve essere accelerata. È un circolo vizioso. Si ha bisogno di più carburante per andare più veloci, ma l’aumento di quantità del carburante aggiunge peso al veicolo, rendendo più difficile un ulteriore aumento di velocità. Di conseguenza, anche con serbatoi maggiori, l’incremento di velocità finale rimane piccolo.

“Le cose cambierebbero se immaginassimo un qualche nuovo carburante futuristico? No, perché l’elemento fondamentale del propellente di un razzo è la velocità con la quale esso si allontana dal razzo stesso. In un razzo a propellente chimico la velocità dipende dalla temperatura alla quale il propellente brucia e da quanto è piccolo il peso atomico dell’elemento base del propellente. C’è una temperatura massima – il punto di fusione del metallo – oltre a questa non si può andare.

“Per aggirare i limiti del razzo chimico, i futurologi immaginano un motore con propulsione a ioni (atomi a carica elettrica). Esso conterebbe un acceleratore di particelle in grado di emettere ioni di idrogeno a velocità vicine a quelle della luce, 300mila chilometri al secondo circa. Dal momento che questa velocità di emissione è molto più alta di quella d’un razzo chimico, sarebbe necessaria una quantità molto minore di propellente. Anzi, si potrebbe immaginare una nave spaziale a ione con le dimensioni di un sottomarino nucleare. Il suo reattore nucleare sarebbe collegato a un generatore elettrico che alimenterebbe l’acceleratore di particelle – tutte tecnologie conosciute. Un tale veicolo così compatto potrebbe davvero essere in grado di raggiungere velocità molto superiore a quelle di un enorme razzo chimico. Il solo inconveniente con i motori a ioni – e questo è il motivo perché non li costruiamo – è che acquistano velocità molto lentamente.

“In un viaggio dalla stella di Barnhard alla Terra una nave spaziale con propulsione a ione dovrebbe accelerare per migliaia di anni prima di raggiungere la velocità d’un razzo chimico. A questo punto, sarebbe a metà strada dalla Terra e dovrebbe cominciare a invertire la spinta dei motori, impiegando ancora diverse migliaia di anni per rallentare alla velocità dell’orbita terrestre. Durante tutto il suo viaggio, che potrebbe durare dai 5 ai 10mila anni, tutti i macchinari della nave dovrebbero funzionare impeccabilmente.

“Sailing space ship. In quest’ultimo tempo si è parlato di un altro sistema di navigazione spaziale, di sailing space ship – navi spaziali a vela. L’idea è bella, anche romantica, ma è realistica? I pericoli che s’incontrano nello spazio aperto sono infiniti.

“L’idea che navi spaziali possano un giorno vagare da stella a stella è ottima per la fantascienza, continua Alain Cromer, non per la scienza. Le leggi della fisica e le proprietà della materia limitano la velocità dei veicoli spaziali, rendendo impossibili i viaggi interstellari in un tempo ragionevole.

“Questa conclusione è sorprendentemente impopolare. Invece di provare sollievo sapendo che non possiamo essere invasi da alieni ostili, la gente è turbata dall’idea che la nostra tecnologia si stia avvicinando a un qualche limite teorico, pur avendo una storia ancora così breve. Di sicuro, se la tecnologia è riuscita a portarci da 5 a 40mila chilometri all’ora (11 chilometri al secondo) in soli centosessanta anni, un giorno velocità superiori ai 300 chilometri al secondo dovrebbero essere possibili. Non sarà così.

“La tecnologia non funziona in questo modo. L’esperienza umana ci mostra che le nuove tecnologie raggiungono presto il limite del loro sviluppo. La piramide di Cheope fu costruita nel 2680 a. C., solo poche centinaia di anni dopo che gli egiziani avevano appreso per la prima volta a tagliare e a spostare grandi blocchi di pietra. Continuarono a costruire piramidi per altri mille anni, ma non ne costruirono più una così grande.

“Gli uomini sono atterrati sulla Luna solo 8 anni dopo il primo volo orbitale di Yuri Gagarin. Lo sbarco sulla Luna potrebbe essere la nostra piramide di Cheope, un risultato destinato a non essere più superato. Sebbene una missione umana su Marte sia tecnologicamente possibile, non è certo che sarebbe compensata dai suoi costi e dai suoi rischi. Anche se la pace e la democrazia regnassero in tutto il mondo e non fossero più necessari i 1000 miliardi di dollari all’anno di spese in armamenti, ci sarebbero molte altre cose da fare prima, con quel denaro”. 

La realtà del pozzo cosmico è indiscutibile, è il nostro nido natale e fatale. E non solo. Il pozzo, nei confronti dell’immenso che lo circonda, è come un granellino di sabbia nel deserto. Anche lui, come noi, ha gli anni, i giorni, le ore e i minuti contati. E, una volta sparito, di esso e di tutto quello che l’ha abitato, resterà solo una chiazza nera e sporca nello spazio. Infine, il nulla inghiottirà anche la chiazza nera e sporca.

 

UN INVITO: Se l’articolo è stato di vostro gradimento, passate parola, condividetelo, criticatelo, dite ciò che pensate. Per crescere e maturare culturalmente (non biologicamente, di questo si occupa la natura), abbiamo bisogno di comprendere, di comunicare, di confrontarci, di dire la nostra, brutta o bella che sia. Fatelo! La vita è qui e ora e poi mai più. Non perdetevi questo confronto con voi stessi e coi vostri simili. Siamo tutti degli esseri umani. Nessuno uomo è più che un uomo.

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *