La mia credenza, cinque post, il primo (1)

Quando andiamo al nocciolo delle cose, Rossi, ci accorgiamo che brancoliamo tutti, chi più chi meno, nel buio più profondo. Quando pensiamo e parliamo di cose metafisiche, di cose che vanno oltre la fisica, oltre il mondo fenomenico, quando superiamo un certo limite del nostro orizzonte conoscitivo, quando andiamo oltre il nostro sistema solare, oltre la nostra galassia, quando ci avventuriamo nell’universo aperto, addirittura oltre il big bang; quando poi ci mettiamo anche a parlare di quark, di stringhe, di materia oscura, di materia chiara, di particelle wimp e ci mettiamo a pensare a cosa c’è dopo la morte superando così tutti i nostri orizzonti conoscitivi, allora, my dear friend, tutto il parlare diventa personale, personale e basta. Nessuno – preti sciamani gurù dèi scienziati santi filosofi stregoni papi profeti poeti -, nessuno, neppure il re dell’immenso, Einstein, né il re del microscopico, Bohr; insomma, proprio nessuno sa veramente di cosa stia parlando. Ognuno, a questo livello di pensiero, è lasciato solo, lasciato a credere quel che vuole, perché, in questi luoghi così remoti impervi e oscuri, il pensiero non può essere che personale. L’intersoggettività, in questi campi della mente, non esiste. Se qualcuno volesse formulare un “credo” su questo mondo immerso nelle tenebre e nell’immenso, dovrebbe avere l’umiltà di farlo per se stesso, perché il suo “credo”, visto in questi termini, non è più merce di scambio.

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