Lettera aperta ai miei studenti dell’Università Popolare di Biella

Ho iniziato a insegnare inglese all’Upb (Università Popolare Biellese) nel 1997. È avvenuto così. La professoressa Maria Luisa Bertotto mi ha chiesto se avessi potuto sostituirla per qualche settimana, aveva altri impegni lei in quel tempo. Era un’amica e non potevo dirle di no. Ed è stato così che ho iniziato a insegnare all’Upb.

Qualche anno dopo, grazie al presidente di allora, Franco Ruffa, ho potuto dare il via ai miei incontri sull’ “arte di vivere”, un corso di cultura impostato su diversi argomenti che portavo avanti da anni con piccoli gruppi e in privato. L’Upb mi ha dato l’opportunità di renderlo pubblico.

A scuola si studia di tutto, eccetto la cosa più fondamentale: l’arte di come vivere la propria vita. I miei incontri miravano proprio a questo. L’obiettivo di vivere la vita come un’opera d’arte non è solo importante, eccitante, è anche illuminante. Una volta che gli studenti si sono appropriati d’una conoscenza realistica di base, che consiste nel fare propria una discreta cognizione cosmica, evoluzionistica e storica del mondo, dopo questa preparazione si è pronti per l’arte di vivere.

Non ha nulla a che vedere con l’arte che producono gli artisti  – scultori, romanzieri, pittori, compositori, poeti. Questi creano un’arte, un prodotto artistico anticlone, originale, eccentrico, fantastico e, per farlo, applicano una certa tecnica, logica, forma, maestria creativa, insomma un artigianato razionale ed estetico, tutto quello che si vuole, ma non un’arte di vivere. Gli artisti, infatti, sono gli ultimi a poter insegnare agli altri come vivere. Tolstoj, Baudelaire, Leopardi, Gauguin, Milton, Pavarotti, grandi artisti, certo, ma non di vita. L’arte di vivere uno se la deve conquistare studiandola e vivendola con perizia e saggezza sulla propria pelle, in diretto contatto con l’esistenza.

In nuce, una volta che uno ha afferrato il concetto dell’evoluzione cosmica e darwiniana; una volta appreso come si è formata e costruita la società umana; una volta che si è emancipato culturalmente e filosoficamente dai mille specchietti per le allodole di cui è composto il tessuto sociale, ecco che il nostro personaggio è pronto per l’arte di vivere, pronto a diventare lo scultore e il poeta, non d’un prodotto fiction, immaginario, fantastico, ma di se stesso. L’arte di vivere, la vera arte di vivere, inizia ora.

La nostra arte non parte da idee estrose, concetti mitologici, bizarri stili di vita, affatto, parte da una conoscenza viva e concreta dell’esistenza e del mondo. La scienza di quest’arte ritiene che la vita “è” un prodotto dal valore inestimabile e non la si può vivere come se fosse uno straccio: sarebbe un imperdonabile spreco e, infine, un vero e proprio crimine, un suicidio al rilento. Ecco il bisogno allora d’una scienza e d’un’arte che ci permettono di vivere la vita fino in fondo, nella sua totalità. Il suo motto è: fare d’un secondo un’eternità e vivere l’eternità come se fosse fatta d’un secondo. È questo l’obiettivo della nostra “arte di vivere”, e quest’arte non ha nulla a che vedere con la così chiamata “arte degli artisti.”

Quest’idea mi ha sempre affascinato, elettricizzato, e ora, grazie all’Università Popolare Biellese, la potevo insegnare, sperimentare coi miei studenti. A questi il corso piaceva, erano entusiasti e io con loro.

L’insegnamento è apprendimento, soprattutto questo. Ad un certo punto, ho deciso di abbandonare l’inglese, che pur mi piaceva, per dedicarmi solo all’arte di vivere. E così, passo dopo passo, anno dopo anno, stava maturando in me anche il bisogno di scrivere. Nasce così “Il testamento di Orazio Guglielmini”, un’opera sperimentale composta di quattro libri:

L’Indifferenza divina”

“Lo Stato predatore”

“Ha un senso la vita?”

“Il Paese delle meraviglie.”

Questi quattro libri si possono sintetizzare come segue. Il primo, “L’Indifferenza divina”, espone l’operato della religione: tutti noi, prima o poi, per com’è culturalmente impostato il mondo, ci scontreremo con questo argomento e vorremmo capire perché crediamo o non crediamo in quello che crediamo e nelle mani di chi mettiamo le nostre vite; il secondo, “Lo Stato predatore”, esamina l’impianto politico: tutti, prima o poi, desideriamo conoscere l’anima di questo sistema che, in un modo o in un altro, guida, domina e influenza la nostra vita; il terzo, “Ha un senso la vita?”, si propone di capire, dopo avere esaminato un certo numero di argomenti determinanti, se la vita abbia o non abbia un senso. Chi, durante la sua esistenza, non si è fatto questa domanda: “Ha o non ha un senso la vita?” Nel quarto e ultimo libro, “Il Paese delle meraviglie”, ho cercato di scrivere, dalla nascita ad oggi, la storia del paese in cui sono nato, perché, a mio modo di vedere, un essere umano, per essere un degno cittadino ed essere appunto umano, deve conoscere almeno la storia del suo paese, non quella che usualmente insegnano i testi scolastici, non quella scritta da eunuchi bigotti venduti al potere, ma la storia vera, realistica, con tutti i suoi annessi e connessi artistici e psicologici. È questo ciò che io ho cercato di fare ne “Il Paese delle meraviglie”. La mia “arte di vivere”, in sintesi, è contenuta in questi quattro libri.

Oltre al “Testamento di Orazio Guglielmi”, ho scritto:

“Per una filosofia perenne”

“L’innominabile ovvero la storia dell’universo e dell’uomo”

“Immortalità plurime”

“Dal nulla all’immortalità virtuale”

Quest’ultimo è ancora da completare.

Ho ritenuto doveroso dire due parole sul corso che ho tenuto all’Upb per tanti anni. Ora che l’ho fatto, arrivo al punto di questa “Lettera aperta ai miei studenti dell’Università Popolare di Biella.”

Quest’anno, che avrebbe dovuto essere il diciottesimo, ho deciso di lasciare i miei corsi, perché voglio dedicare, quel che mi resta ancora della vita, alla scrittura.

Non ho dubbi, è stato un bel viaggio, un bellissimo viaggio, quello che ho percorso insieme ai miei studenti, i miei amici, i miei compagni di apprendimento e di vita. Il nostro motto era: crescere insieme. E così è stato, studiavamo e crescevamo insieme.

È a loro, a tutti loro – Lucy, Franco, Ornella, Armando, Sabrina, Rossano, Pieranna, Tiziana, Claudio, Silvana, Ludovica, Pietro, Roberta, Adolfo, Anna, Oscar, Maria, Franco, Franca, Donatella, Piero, Cinzia, Silvano, Ileana, Maria Rita e tanti altri ancora – a cui voglio dedicare i miei scritti. Il loro interesse, entusiasmo, curiosità, le loro domande, il loro voler sempre approfondire gli argomenti in corso, per non parlare dei nostri barbacue, cene, gite in montagna, mi hanno tenuto continuamente sveglio, gioviale e pronto. Sento che gli devo molto, sento che sono stati loro, i miei studenti, che mi hanno portato alla realizzazione dell’opera su menzionata, ed è a loro che la dedico.

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