L’Indifferenza divina (3)

3. Un po’ di storia: quando la credenza era credenza

Tu sai che i primi padri dell’Indifferenza divina (del padre fondatore, Saulus, ti parlerò più avanti), in quei favolosi tempi, se ne andavano in giro raccontando alla gente di resurrezioni, della fine del mondo, di apparizioni, di vendette divine, del regno di Dio, di colossali cambiamenti, del paradiso, dell’inferno ecc., ecc., ecc. Tutte queste vicende avrebbero dovuto verificarsi per confermare le aspettative di questi primi zelatori cristiani, ma le cose che loro predicavano, si sono verificate?

Succedevano anche cose buffe, in quei favolosi tempi, Rossi. Pensa che alcuni, quelli che avevano gambe robuste ed erano credenti appassionati, alla fine di ogni secolo salivano sui monti più alti per sfuggire al diluvio universale, cosa che non avvenne mai, al massimo si verificarono inondazioni locali.

“Il mito del diluvio universale è uno tra i più diffusi: compare infatti in più di 400 culture di tutto il mondo”, Supequark, N° 38. Invece, quello riportato dalla Bibbia, secondo il racconto di William Ryan e Walter Pitman (nel loro libro Il Diluvio), due geofisici americani, non era stato altro che l’innalzamento delle acque dovuto allo scioglimento dei ghiacciai. Come conseguenza, le acque del Mediterraneo si erano gonfiate e si erano rovesciate nel Mar Nero, attraverso il Bosforo. Un’altra versione del diluvio è quella di Mario Liverani: “Il racconto del diluvio universale è dunque un tipico “mito di fondazione”: intende rinviare un fenomeno corrente, stagionale, ad un archetipo mitico di proporzioni estreme” “Oltre la Bibbia”.

Quello che più incuriosisce in questa storia è che, nonostante il diluvio sia stato invocato e contemporaneamente temuto centinaia di volte, in realtà non si è mai verificato. Malgrado ciò, gli zelatori cristiani, alla fine di ogni secolo, continuano ad aspettarsi che il diluvio arrivi!

Altri credenti, invece, in quei favolosi tempi, andavano in giro guardando in cielo per sbirciare su qualche nuvola il loro Signore. Lo cercavano e lo cercavano e lo cercavano, lì in alto, magari su un bel cavallino bianco, su una bella nuvola, con una sciabola luccicante in mano e pronto a galoppare lì in basso per aiutare e consolare i suoi orfanelli, quelli che disperatamente sono sempre lì a cercare un padre. Non il loro vero padre, quello biologico, terreno, fatto di sostanze naturali, ma quello divino, quello che li protegge da lassù. Ahimé! Niente da fare, non lo vedevano neppure di sfuggita. Sì, certo, solo qualche miraggio di lui, questo sì, ma solo a volte; però, se lo sognavano, se lo sognavano, se lo sognavano, lo sentivano addirittura parlare nei loro sogni. Non avevano in mente che lui: lui lui lui, lui che brillava dappertutto nonostante la sua ostinata assenza!

Era tutto straordinariamente fantastico in quei favolosi tempi. Più uno era inesistente, più lo si immaginava, lo si invocava, persino lo si vedeva brillare. Figurati che, ad un certo punto, quella gente aveva incominciato ad avere visioni, a vedere tutta una città, non una greca o romana, ma la Città di Gerusalemme, tutta intera, lì, in alto, appesa al cielo, bella e luminosa. Hai mai visto tu, Rossi, una città intera, o anche solo metà, appesa al cielo? Hai mai pensato che sia possibile avere una città appesa al cielo? Ebbene, per gli orfani, per quelli che hanno bisogno di un padre, non di quello reale, biologico, terreno,  fatto di sostanze naturali, ma di un padre divino, soprannaturale, ebbene, per loro tutto è possibile, anche città intere, lì, in alto, appese al cielo. Un inizio, il loro, sbalorditivo, fantastico.

E non solo questo. Sai cos’altro succedeva a quella gente così succube del suo stupendo delirio? Faresti fatica a crederlo. Spesso, quando camminava per le strade, in campagna, ovunque, essendosi ormai abituata a guardare in alto sperando di vedere il Signore su qualche nuvoletta, finiva sotto gli zoccoli dei cavalli, sbatteva contro i muri, contro altra gente, precipitava nei pozzi, nei precipizi e, non di rado, in bocca a qualche animale. In quei tempi, in quei favolosi tempi, sì che si credeva, Rossi!

 

Aria fritta (1) e vitelli d’oro

Nel capitolo precedente abbiamo fatto un salto indietro nella storia e siamo finiti in una cristianità rozza, innocente, stolta. In questo capitolo, invece, faremo un salto in avanti e vedremo una cristianità molto diversa da quella primitiva, una cristianità furba, ideologica e fraudolenta.

Sai, Rossi, sai in che modo la Chiesa ha accumulato i suoi averi, visto che all’inizio non aveva proprio nulla? No? Non lo sai? Bene, te lo dico io: usando metodi spicci e poco onesti. Figurati che c’è stato un periodo, nella sua succulenta storia di favole divine, in cui vendeva come reliquie persino ossi di polli, di gatti, di cani, come se fossero appartenuti a Gesù, a dei personaggi biblici, a dei santi. A volte, questi ultimi, innalzati agli onori degli altari, venivano addirittura uccisi e fatti a pezzetti per essere venduti come reliquie. Un ottimo business, non credi?

“Mille reliquie, una più grottesca dell’altra, erano diffuse nel Medioevo. Motivo di prestigio per le chiese che le possedevano, venerate dal volgo, meta di pellegrinaggi, fonte di indulgenze, dotate di proprietà miracolose; anche allora molte di esse erano ritenute fasulle dagli studiosi…”, Luigi Garlaschelli, “Processo alla Sindone”.

Tra queste migliaia di reliquie ce n’è una che la Chiesa spaccia ancora oggi come vera. È apparsa per la prima volta in Francia, intorno al 1389 e, tra tutte le migliaia e migliaia di reliquie che venivano vantate come appartenenti a Gesù, questa s’impose, appunto, come quella vera e si trova ora, dopo tante avventure, a Torino. Ecco uno stralcio della genesi della Sindone riportato nel libro di Garlaschelli.

“Qualche tempo fa in questa diocesi di Troyes, il decano di una chiesa collegiata, cioè di quella di Lirey, con la falsità e l’inganno,  essendo  consumato dal fuoco dell’avarizia e della cupidigia, e non a scopo di devozione ma di lucro, procurò di avere nella sua chiesa un certo telo artificiosamente dipinto, sul quale in modo ingegnoso era stata dipinta la doppia immagine di un uomo, cioè sia la parte anteriore che la posteriore, e con ciò egli falsamente dichiarava e fingeva che quello fosse il vero Sudario in cui il nostro Salvatore Gesù Cristo era stato avvolto nel sepolcro, e sul quale l’intera effigie dello stesso Salvatore, con le ferite che aveva subito, era rimasta così impressa; ciò che non solo nel regno di Francia, ma fin quasi in tutto il mondo fu divulgato, così che da tutte le parti del mondo le genti confluivano “a Lirey”. E per adescare tali genti, così che con scaltro ingegno si estorcesse loro del denaro, ivi si fingevano mendacemente dei miracoli da parte di certi uomini appositamente assoldati, i quali fingevano di venire risanati durante l’ostensione del detto Sudario, che da tutti veniva creduto il Sudario del Signore… E quindi, a seguito di accurata indagine e dopo aver raccolto informazione sulla cosa, alla fine (si) scoprì la frode e in che modo quel telo era stato artificialmente dipinto, e fu provato anche dall’artefice che lo aveva dipinto, che esso era fatto per opera umana, non miracolosamente prodotto o concesso”, pp. 14-15.

Le vicende di questo telo, Rossi, dal Medioevo ad oggi, sono molte, i giudizi tanti, gli inganni non si contano più. Ti riporto solo, sempre dal libro di Garlaschelli, il verdetto finale dato da un’équipe di scienziati che lo ha esaminato nel 1988 con la datazione al carbonio-14.

“I risultati complessivi dei tre laboratori, ricevuti dal cardinale Ballestrero il 28 settembre, furono da lui resi pubblici in una conferenza stampa indetta a Torino il 13 ottobre 1988. I test di datazione circoscrissero l’età del telo al periodo, centrato sul 1325, compreso tra il 1260 e il 1390 (con una fiducia del 95 per cento per un’età compresa in questo intervallo).

“Questo risultato conferma in pieno la verosimiglianza del fatto che il telo della Sindone sia stato tessuto nel Trecento. L’età reale della Sindone coincide quindi con quella “storica”: l’immagine, apparsa a metà del Trecento, fu fabbricata proprio in quegli anni e non tredici secoli prima; il dato risulta anche in accordo con quanto affermato nel memoriale del vescovo Pietro d’Arcis, il quale afferma che il suo predecessore, il vescovo Enrico di Poitiers, aveva individuato l’artefice del falso”, p. 102.

E ancora, ultimamente, La Stampa, 22 giugno 2005, riporta che l’équipe francese di “Science & Vie” ha rifatto la Sindone in laboratorio. Scrive Domenico Quirino: “Gli arnesi per la sfida sono sul tavolo: un telo di lino tessuto con una tecnica analoga a quella del Medio Evo, un barattolo pieno di ossido di ferro mescolato con una gelatina naturale ricca di collagene, un legante molto utilizzato per i colori ai tempi in cui Giotto decorava le cattedrali. E poi, naturalmente lui, il volto: il calco di un bassorilievo del milleduecento che rappresenta il Cristo straziato dal supplizio… L’esperimento è compiuto, dunque. Secondo l’équipe riunita dalla rivista francese “Science & Vie” il più grande, affascinante mistero della storia cristiana, la sindone, l’impronta di Gesù, non è altro che un fortunato colpo messo a segno da avidi falsari medioevali, istigati forse da vescovi avidi di elemosine e di potere…”

Anche Carl Sagan nel suo libro “Il mondo infestato dai demoni” ne parla: “La datazione al carbonio-14 suggerisce che essa (la Sindone) non sia il lenzuolo funebre che avvolse Gesù, bensì una pia frode del Trecento: un tempo in cui la produzione di false reliquie religiose era una forma di artigianato domestico prospero e redditizio”.

Anche Piero e Alberto Angela ne “La straordinaria storia della vita” ne parlano: “La tecnica del C14 funziona anche per il legno, per la torba, per i gusci dei molluschi. Insomma, ovunque ci sia carbonio: anche per un tessuto fabbricato con vegetali un tempo viventi. È grazie a questa tecnica che si è potuta datare la Sindone di Torino, e accorgersi che era stata fabbricata nel Medioevo.

Comunque, nonostante questo telo (noi non lo chiamiamo né il telo né la sindone né il sudario, ma semplicemente un’impostura, perché un’impostura è: è stata furbescamente concepita per scroccare soldi al popolo) sia stato dichiarato falso, nonostante la sua falsità sia stata provata ripetutamente da storici, artisti, scienziati e anche da alcuni personaggi del clero, nonostante ciò, ancora oggi, la Chiesa insiste a farlo passare per la Sindone di Gesù. Dunque, tutti questi fatti, evidenze, giudizi negativi non sono serviti a nulla: l’impostura continua.

E non ci crederesti, Rossi, migliaia di credenti, dal nord al sud, dall’est all’ovest della Penisola, lasciano le loro dimore per andare a vedere questa fregatura. La Chiesa, amico mio, conosce i suoi polli. Questi non sono chimici, filosofi, storici, scienziati; sono, come nella cristianità innocente degli albori, creduloni di ogni genere, zucconi con tanto di laurea, ottusi patentati, in breve, gente che crede ma non capisce.

 

La donazione di Costantino e la taxa camarae

La signora Chiesa scriveva anche falsi testamenti. Il più conosciuto è quello noto come “donazione di Costantino”. La falsità di questo testamento è stata scoperta dallo studioso rinascimentale Lorenzo Valla. Questi ha dimostrato che “la donazione di Costantino” non era altro che una fabbricazione della Chiesa. Pensa, Rossi, che nel falso testamento c’era scritto che l’imperatore d’Oriente lasciava al papa l’impero d’Occidente!

Sapessi, in quei primi tempi, di cosa non era capace l’Indifferenza divina! I preti, my friend, non si accontentavano di poco. E poi, a ben pensarci, perché avrebbero dovuto? Apparteneva tutto al Signore, quindi a loro.

Questo mi ricorda qualcosa del credo dei Masai. Questi africani alti, fieri e belli, hanno anche loro una credenza simile a quella della Chiesa. Dio ha chiesto ai Masai se volevano la “sapienza” o il “bestiame”. Scelsero il bestiame e, per essi, dato che Dio gliel’ha dato, il bestiame di tutto il mondo appartiene a loro. Rubare il bestiame degli altri, per i Masai, non è un furto, è un loro diritto e, infine, una benedizione di Dio. Chiunque possieda del bestiame, l’ha rubato a loro! I Masai, comunque, sono modesti in confronto ai preti. Si accontentano unicamente del bestiame. I preti, invece, sono più esigenti, dicono che Dio ha dato loro il mondo intero!

Con questa idea in mente, escogitavano di tutto per prenderselo, il mondo, e poco importava come. L’umanità, il pudore, la carità, la morale, la discrezione, tutta retorica, parole vuote. I servi del Signore, in quei favolosi tempi, erano capaci di tutto, pur di arricchirsi, pur di far loro il mondo.

Pensa, Rossi, alla taxa camarae di papa Leone X, nel cui elenco tariffario uno trova come farsi perdonare qualsiasi misfatto: fratricidio, parricidio, incesto, stupro, assassinio; qualsiasi crimine venisse menzionato, bastava “pagare” Sua Santità il papa e il “mostro” sarebbe stato perdonato. Poi, quando uno avesse tirato le cuoia, sarebbe andato in Paradiso, parola di papa Leone X!

Voglio citarti qualcuno dei 35 precetti di cui è formato il tariffario. Il primo: “L’ecclesiastico che incorresse in peccato carnale, sia con suore, sia con cugine, nipoti o figliocce, sia, infine, con un’altra qualsiasi donna, sarà assolto mediante il pagamento di 67 libbre, 12 soldi”;

ecco il decimo: “Se l’assassino avesse dato la morte a due o più uomini in uno stesso giorno, pagherà come se ne avesse assassinato uno solo”;

ecco il diciottesimo: “Colui che in anticipo volesse comperare l’assoluzione di ogni omicidio incidentale che potesse perpetrare in futuro, pagherà 168 libbre, 15 soldi”, Pepe Rodríguez, “Verità e menzogne della Chiesa cattolica”, pp. 263-264.

Potevi ammazzare chiunque, Rossi, poi pagavi il Santo Padre, e lui, una volta che avevi pagato, ti assolveva. Per tutto, però, dovevi sborsare soldi, anche per titoli, fattucchierie, cariche, malocchi, incantesimi, filtri, assoluzioni, per ogni genere di superstizione o di merce “sacra”, come veniva chiamata allora. Altro che i maghi e le streghe dei nostri giorni. Questi, a confronto dei signori con la sottana di quei favolosi tempi, fanno solo ridere.

 

I tre regni dell’aldilà

Al tempo di Lutero, e prima e dopo di lui, l’Indifferenza divina spingeva la gente con ogni sorta di propaganda a comprare indulgenze. I tre regni, il paradiso, l’inferno e il purgatorio erano molto richiesti. Anche l’inferno rendeva molto: se uno non voleva andarci, doveva sborsare soldi. Il più lucrativo, però, non era né il paradiso né l’inferno, ma il purgatorio. I preti, of course, sapevano per certo chi ci sarebbe andato dopo morto. Chi sarebbe andato in paradiso, niente da dire, era sistemato bene e per l’eternità; chi sarebbe andato all’inferno anche: bruciava per sempre. C’era chi, invece, finiva per essere parcheggiato in purgatorio, e i preti lo sapevano e sapevano anche quanti giorni, mesi, anni o secoli avrebbe dovuto trascorrere lì tra dolori e tormenti prima di raggiungere il paradiso. Proponevano così ai suoi cari in vita di comprargli un immediato lasciapassare per il paradiso, sostenendo che con quei soldi, divinamente spesi, si diminuiva il numero degli anni che il poveretto altrimenti avrebbe dovuto scontare in purgatorio. Si poteva fare anche di meglio, assicuravano, era solo una questione di denaro. In altre parole, più uno pagava, più in fretta il peccatore parcheggiato in purgatorio sarebbe andato in paradiso.

Tutti i credenti, soprattutto quelli che credevano ma non capivano, quando sentivano dai dottori della Chiesa che i loro cari avrebbero potuto raggiungere più in fretta il paradiso in base a quanto avrebbero pagato, vendevano tutto e il ricavato lo davano a loro.

 

I lasciti ecc.

La cosa funzionava così. Il prete, uno dell’ordine dell’Indifferenza divina, andava dal morente, soprattutto se non aveva eredi (i preti questo lo sapevano benissimo), e gli diceva che lo avrebbe mandato dritto dritto in paradiso e che gli avrebbe detto una messa al mese se, alla sua benedetta morte, avesse lasciato alla Santa Santissima Benedetta Chiesa, tutto ciò che possedeva.

Figurati, il morente afferrava la proposta al volo. Cosa avrebbe potuto perderci lui, al punto in cui era, anche se dopo la morte ci fosse o non ci fosse stato qualcosa? Niente di niente. E poi l’idea che si parlasse di lui dopo morto, lo lusingava, stuzzicava la sua vanità. Non siamo forse tutti un po’ vanitosi? Quindi, il morente, alla sua benedetta morte, lasciava tutto alla Santa Santissima Benedetta Chiesa e la Santa Santissima Benedetta Chiesa, soddisfatta dell’affare concluso, prendeva tutto con la sua Santa Santissima Benedetta Coscienza.

Devi sapere, Rossi, che, ad un certo momento della sua storia, la Chiesa, con questo genere di business, un business molto ma molto religioso, addirittura divino, possedeva paesi interi, intere regioni, con città, uomini, bestie, tutto. Era diventata una delle più ricche istituzioni al mondo.

“In Italia i suoi possedimenti ammontano probabilmente a più di mezzo milione di ettari, tutti ovviamente nelle regioni più ricche… In Spagna “Verso i primi del XIX secolo a questa (alla Chiesa) appartenevano 6 milioni di ettari di terreno, il 17 per cento della superfice globale (spagnola), assieme a tutte le donazioni dei grandi nobili, per lo più proprietà terriere confiscate agli eretici. Al decorrere del XX secolo i gesuiti, nominalmente un “ordine di mendicanti” che si imponeva di vivere di offerte ed elemosina, controllavano un terzo dell’intero capitale spagnolo,” Karlheinz Deschner “Con Dio e con il Führer”.

I due quinti delle terre in Francia appartenevano, al tempo della Rivoluzione Francese, alla Chiesa. Scrive (sito internet) Giandomenico Ponticelli: “Il suo immenso peso politico (durante la Rivoluzione) gli veniva principalmente da questa enorme proprietà terriera e dalle altre sue ricchezze. Questa proprietà era nelle mani degli ordini religiosi, degli episcopati, delle abbazie, dei monasteri, ecc. I contadini della proprietà fondiaria ecclesiastica erano gravati dagli stessi oneri… La chiesa poteva contare anche sulle decime, le sportule per le funzioni religiose e civili e le donazioni dei privati. La chiesa era il maggiore e meno scrupoloso sfruttatore feudale del popolo.”

Oggi, in Italia, la Chiesa, tra l’altro, possiede un quarto dei fabbricati del paese. Insomma, il mondo le appartiene, Dio l’ha dato a lei come ai Masai ha dato il bestiame e, giustamente, se lo prende.

 

Perché i preti non si sposano?

Infatti, te lo sei mai chiesto, Rossi, perché i preti non si sposano? Perché, evidentemente, Sua Santità il papa non vuole che si sposino. E perché non vuole che si sposino? Per la semplice ragione che, se i preti si sposassero, in breve tempo svuoterebbero la Chiesa di tutti i beni accumulati lungo la sua Santa Santissima Onestissima scalata storica. Di più. Su un clero sposato non è facile esercitare un potere dogmatico, mentre su un clero celibe, su un clero di single, tutto diventa più facile.

I preti, ovviamente, possono fornicare. Questo sì. E con chi? Tanto per cominciare, con le suore. Queste appartengono loro di diritto: tutto ciò che è di Dio è anche loro. Poi ci sono le perpetue. Con queste ormai ci vivono insieme agli occhi di tutti in una specie di concubinato mascherato. E non parliamo poi delle pecorelle smarrite, sai, quelle che bazzicano la Casa del Santo Spirito, la parrocchia, il confessionale.

C’è posto anche per la trasgressione entro le Sante Mura. L’omosessualità, la pederastia, la pedofilia, l’incesto preti-monache, tutte cose ormai normalissime nella Santa Santissima Chiesa. Quindi, scopare, fornicare gratis sì, sposarsi no, e la ricchezza della Chiesa è salva!

 

1  Utilizzerò spesso questa locuzione: aria fritta. Con essa si deve intendere proprio aria fritta, cioè aria priva di particelle. Sai che, in ogni luogo dell’Universo, dove c’è vuoto, lì ci sono anche particelle, atomi ecc., perché, in realtà, il vuoto non esiste. Ebbene, nel modo in cui io intendo aria fritta, lì non c’è proprio nulla, neppure atomi o particelle: solo aria fritta, il nulla assoluto. Un altro modo d’intenderla potrebbe essere fiction, pura fiction, un prodotto estratto dall’immaginario.

In quello che segue, compagno di viaggio, vedremo quali sono i veri possedimenti della Chiesa, ovvero le fonti dalle quali essa trae tutte le sue ricchezze materiali.

 

 

 

 

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