L’inesistenza di Dio dimostrata evoluzionisticamente,storicamente,linguisticamente

Che cos’è un concetto? “Un concept n’est ni un mot, ni une chose, ni une image, ni un signe. C’est une idée produite par l’esprit pour penser une partie de la réalité. Concevoir une chose, c’est comprendre ce qu’elle est, c’est construire l’idée de cette chose dans la pensée” – “Un concetto non è né una parola, né una cosa, né un’immagine, né un segno. È un’idea prodotta dallo spirito per pensare una parte della realtà. Concepire una cosa è comprendere ciò che essa è, è costruire l’idea di questa cosa nel pensiero”, Bruno Giuliani, “L’amour de la sagesse”.

Il concetto d’una cosa ha a che fare con la “verità” di questa “cosa” che ci siamo creati noi lungo la storia. Te ne darò quattro esempi, lettore, due astratti e due concreti. Nel primo ti parlerò di come si è formato il concetto di “Dio”, nel secondo di come si è formato il concetto di “America”, nel terzo del concetto di “pige” e nel quarto del concetto di “Gud”. Prima, però, voglio descriverti, in nuce, un personaggio molto importante della nostra evoluzione.

Tu sai che il primo ominide che ha iniziato l’avventura culturale è stato, come hanno dimostrato Louis e Mary Leakey, due paleoantropologi, homo habilis, vissuto due milioni e mezzo di anni fa. Homo habilis (habilis perché sapeva utilizzare le mani con destrezza) è colui che diede il via alla nostra avventura culturale. È il nostro padre culturale. Solo un Democrito, un Darwin, un Einstein, si avvicinano a lui. È proprio lui, infatti, homo habilis, che ha avuto per primo l’idea di creare utensili, scheggiare pietre per tagliare carni e appuntire bastoni. Con questi attrezzi poteva anche difendersi da animali predatori, oltre ad utilizzarli per le sue necessità giornaliere. Ecco la nascita della cultura, un momento straordinario della nostra evoluzione.

Dopo homo habilis sono esistiti molti altri ominidi. Non li esamineremo tutti, non è l’obiettivo di questo libro. Facciamo, quindi, un salto in avanti e approdiamo all’homo sapiens e all’arte paleolitica, a circa ventimila anni fa. È stato intorno a questo periodo che homo sapiens, il nostro antenato più vicino, si è messo a dipingere animali nelle caverne che abitava. Nota bene, lettore, animali non santi! Di questi, nel suo cervello, non c’era neppure l’ombra. Homo sapiens dipingeva ogni genere di animale. L’impulso a ritrarre le cose in natura è innato, fa parte del nostro corredo biologico, basta solo tirarlo fuori, svilupparlo. Sicuramente anche tu, lettore, quand’eri bambino hai tracciato linee e fatto scarabocchi.

Più tardi, a causa dei sogni (i sogni ti possono trasformare in un uccello durante la notte, anche se la mattina, quando ti svegli, ti ritrovi di nuovo ciò che sei) e della nostra totale ignoranza, homo sapiens ha cominciato a pensare che in natura tutto fosse animato. Perciò, per i primi homo sapiens, tra un ramo d’albero sbattuto dal vento, una roccia che rotolava giù da una montagna, un mammut che si muoveva in un campo, un uccello che volava, un tuono, non c’era molta differenza, tutto aveva un’anima. Figurati che, per gli aborigeni australiani, non soltanto il mondo intorno a loro era vivente, ma bastava che sporcassero una parete rocciosa con qualche ghiribizzo per mettersi subito dopo ad adorarlo come una cosa sacra, vivente. Per loro, il mondo dei sogni era quello reale e quello che vedevano da svegli era illusione.

Così è nato l’animismo, lo spiritismo, le ierofanie. Ne abbiamo già parlato in questo libro, ma certe idee è bene ribadirle. Dalla nascita dell’animismo, dello spiritismo e delle ierofanie si svilupparono tutte le religioni che conosciamo oggi, inclusa, of course, quella dell’Indifferenza divina (vedere L’Indifferenza divina(

Ora, caro lettore, dopo averti accennato alla nascita del nostro padre culturale, dunque della nostra cultura, passiamo pure dal primo concetto.

 

Il concetto di Dio. Dio, come unico demiurgo, è stato creato, sempre sul modello di altri dèi che l’hanno preceduto, da un gruppo di pastori rozzi e violenti nella regione siriopalestinese. In un primo tempo, questi rozzi individui (rozzi perché il loro livello culturale era bassissimo) del deserto lo chiamavano Elohim, poi El, poi Jahvè e infine Dio. Come vedi, lettore, prima di arrivare al dio cristiano, ce ne sono stati molti altri.

Per i primitivi, come c’era un capo tra loro, così ci doveva essere anche un capo tra gli dèi: appunto, Dio, il capo, il boss, il duce degli dèi. Era facile dedurre questo, no? Il concetto di Dio, quindi, essendo pura astrazione, pura fabbricazione dell’immaginario, non ha neppure, non soltanto un nome, ma neanche un’immagine. È un concetto privo di immagine. E come potrebbe averla, dato che nessuno l’ha mai visto, dato che è il prodotto dell’ignoranza ancestrale, dato che è un concetto astratto?

“Da dove si deduce, si chiede Jean Meslier, che un Dio immutabile e immobile per sua natura possa comunque muovere dei corpi? Da dove si deduce che un essere inesteso e indivisibile sarebbe comunque immenso e, per così dire, infinitamente esteso? Da dove si deduce che un essere senza testa e senza cervello sarebbe comunque infinitamente saggio e illuminato? Da dove si deduce che un essere privo di qualità e di affezioni sensibili sarebbe comunque infinitamente buono, affabile e perfetto? Da dove si deduce che un essere privo di braccia e di gambe e che non riuscirebbe a muoversi da solo sarebbe comunque onnipotente e farebbe ogni cosa? Chi ne ha avuto esperienza?”, dal libro di Georges Minois, “Storia dell’ateismo”, p. 297.

Il filosofo inglese, David Hume, diceva che noi abbiamo costruito i nostri santi e i nostri demoni dando loro le nostre stesse forme, proiettando in loro i nostri attributi. Per esempio, all’angelo abbiamo dato le ali di un rapace e il corpo di un bambino; a Dio la barba di nostro nonno; al Demonio gli occhi cattivi di una pantera stizzita, e così via. Ecco come ci siamo creati le immagini, quindi i concetti, delle creature soprannaturali: immagini e concetti che non hanno nulla a che vedere con una realtà ultraterrena, metafisica, ma che sono immagini e concetti di una realtà terrena.

Dio, dunque, o il concetto di Dio, via via che cresceva nella testa dei redattori della Bibbia e scandiva le vite del popolo ebreo, assumeva caratteristiche e attributi diversi. Come c’erano faraoni buoni e cattivi, così c’erano dèi buoni e cattivi. Così, Dio, questo prodotto dell’immaginario, si era trasformato, nel tempo, in un essere buono e comprensivo verso la tribù che l’aveva adottato; mostruoso, sadico e terribile coi suoi nemici. Ricordati, lettore, che, secondo Mosè, il Popolo Eletto non doveva uccidere gente del Popolo Eletto, ma quella degli altri popoli. Il dio ebreo è un dio zeppo di pregiudizi e di malvagità. Intendiamoci, lettore, quando io ti dico che Jahvè era un dio cattivo o buono, in realtà ti sto dicendo che era così nella testa di coloro che l’avevano escogitato, i redattori della Bibbia. Questi proiettavano in lui pregiudizi, malvagità, ambizione loro propri, perché, in verità, oltre che nella loro circonferenza cranica e abilità proiettiva, Jahvè non esisteva affatto.

Gli ebrei, storicamente parlando, erano, come abbiamo già detto, un popolo di pastori del deserto. Non avevano una terra loro; una loro cultura sofisticata. Erano i figli di una landa incolta e sterile e di una storia poco più che bestiale. Tutte le volte che mettevano il naso fuori dell’inferno in cui vivevano, subivano la violenza di genti – sumeri, egiziani, babilonesi, siriani – più forti di loro. Il loro desiderio di vendetta, di riscatto, era giustificatissimo. Solo che non erano in grado di fare nulla contro i loro nemici. Ecco, allora, l’idea d’inventarsi un dio forte, il più forte, Geova, appunto, il Dio degli dèi, il grande Boss degli dèi. L’idea fu una vera trovata. Il fatto che la loro tribù avesse un dio più potente e più grande di quello dei loro oppressori, se non era un appoggio reale, era almeno una consolazione mentale.

Comunque, questo Dio, il Dio ebreo, fece cose stupende, creò la Terra e tutto l’Universo ex novo. E sai quando, lettore? Non ci crederesti. Ebbene, in tempi cosmici, possiamo dire un secondo di un secondo di un secondo fa, ma per semplificare diciamo, ieri, cioè nel 4004 avanti l’era di Bogududù (d’ora in poi, lettore, scriveremo a. B. e intendiamo ‘avanti l’era di Bogududù’, vale a dire avanti la nostra era, vedere L’Indifferenza divina), come ci dicono i cristicoli: “Nel 1642, John Lightfoot, uno studioso dell’Università di Cambridge, proclamò che la creazione era avvenuta il 17 settembre del 3928 a. C., alle nove del mattino in punto. Alcuni anni dopo, l’arcivescovo di Armagh, James Ussher, poté correggere questa versione e fissare la data della creazione al 3 ottobre del 4004 a. C., che divenne la data della creazione accettata, in quanto insegnata dalla Chiesa, per oltre un secolo”, Paul Davies, “L’Universo che fugge”.

Se poi vuoi conoscere altre creazioni che si aggirano intorno a queste date, anno più anno meno, non hai che leggerti il libro di Michael Shermer How we believe anche solo il capitolo “What is the millennium?” dove parla di inizio e di fine del mondo secondo la concezione cristiana.

Nel capitolo in cui ho parlato de Le imprese del Padre (pagina 88), non ti ho detto come Dio creò il mondo, lo faccio ora. Ti sei mai chiesto, lettore, in che modo Dio creò il mondo? Non ci crederesti, ma è così: lavorando, non con la luce, ma nelle tenebre! “In principio Iddio creò il cielo e la terra. La terra era una cosa senza forma e vuota: una tenebra ricopriva l’abisso e sulle acque si muoveva lo spirito di Dio”. Poi e solo poi Iddio disse: “Sia la luce!” e la luce fu”, “I libri della Bibbia”, Genesi.

Era proprio un personaggio strano questo Dio. Tutti lavorano con la luce, lui no, lui lavorava al buio e ci vedeva anche. Figurati, era Dio!

Le fatiche di questo Signore non si fermano qui. Con tutte le risorse e inventive che gli avevano attribuito i suoi creatori, poteva fare molte cose. Era così pieno di brio e di vocazione imprenditoriale che fece due mondi. Tu, lettore, quale creazione preferisci, quella in cui il mondo era solo acqua o quella in cui il mondo era solo terra bruciata? Io te le riporto tutt’e due come stanno scritte nella Genesi, poi scegli tu. Nella prima Dio disse: “Vi sia fra le acque un firmamento, il quale separi le acque dalle acque”; e nella seconda creazione Dio disse: “Quando il Signore Iddio fece terra e cielo e ogni arbusto della campagna prima che ce ne fosse sopra la terra e ogni erba della campagna, prima che fosse germogliata; poiché il Signore Iddio non aveva ancora fatto piovere sulla terra”, p. 4, ecc. Ti tornano i conti, lettore? E non è finita qui.

Nel 1564, Andrea Vesalio, anatomista fiammingo e il padre fondatore della moderna anatomia, fu accusato di eresia dall’Inquisizione. E sai perché? Perché aveva scoperto che all’uomo non mancava la famosa costola da cui, secondo la Bibbia, sarebbe stata creata Eva.

E non solo. Ti sei mai chiesto, lettore, perché tutti pensano che il frutto proibito, il frutto del peccato originale, viene identificato in una mela, quando, in realtà, la Bibbia non lo dice? “Allora la donna (Eva) vide che l’albero era buono da mangiare…” Gn. 3/6. Nella Bibbia si parla di albero buono da mangiare e non di una mela. Allora, da dove è saltato fuori questo nome?

Di più. Tu sai che è stato Dio che ha fatto ingelosire Caino di suo fratello Abele e infine a farglielo uccidere. E perché? Perché, Lui, Dio, ha discriminato tra i due fratelli; perché ha accettato le offerte di Abele e ha rifiutato quelle di Caino. Nasce così in Caino la gelosia che gli farà uccidere il fratello. A lavoro compiuto, Dio chiede a Caino: “Dov’è Abele tuo fratello?” Lui, Jahvè, che sapeva e vedeva tutto, quale bisogno aveva di fargli questa domanda se non per rendere cosciente Caino dell’atto criminoso che aveva appena commesso? E comunque Caino e Abele erano i suoi figli. Certo, erano figli di Adamo, ma chi aveva creato Adamo?

Tutti i figli di Caino, ad un certo punto della loro storia, avevano iniziato a costruire una città e in mezzo alla città una Torre imponente, la Torre di Babele, alta fino al cielo di modo che si vedesse da lontano. Jahvè, il loro padre, divenne geloso che i suoi figli fossero così intraprendenti e bravi. Cosa fece allora il prode Jahvè per disgregarli e allontanarli dal loro progetto? Di punto in bianco, con un colpo di bacchetta magica, stile Mosè quando spartì il Mar Rosso, stile Giosuè quando fermò il Sole, diede a tutti lingue diverse. Risultato: nessuno capiva più nessuno, quindi si smise di costruire la Torre e, inoltre, cadde la confusione tra gli uomini. Ce l’abbiamo ancora, la confusione, lettore, grazie a Jahvè.

Figurati che, ad un certo punto, Dio odia così tanto i suoi figli che decide di distruggerli tutti, eccetto Noè e la sua famiglia. Solo costui, i suoi e una coppia di tutti gli animali della Terra dovevano salvarsi. Ma poi, uno si chiede, perché ha voluto mettere nell’Arca una coppia di tutti gli animali, dato che a lui bastava solo dare un colpo di bacchetta magica per crearli di nuovo? E non solo. Per poter mettere una coppia di tutti gli animali della Terra sull’Arca, questa doveva essere grande almeno quanto tutta la Corsica per contenerli. E poi, tutti quelli che il prode Jahvè mandava al macello, erano pure un suo prodotto: carne della sua carne, sangue del suo sangue, spirito del suo spirito, pura espressione della sua creazione. Perché ucciderli allora? Niente da fare, Jahvè era incazzato nero e non volle sentir ragione, li volle tutti morti annegati, eccetto quelli che si erano rifugiati sull’arca.

Ma poi, il mito del diluvio, è farina del sacco biblico o farina rubata? Risulta, infatti, che il mito del diluvio, come i comandamenti ecc., sia stato copiato, quasi alla lettera, dal racconto di Gilgamesh che esisteva prima dei racconti della Bibbia. L’eroe Gilgamesh, dopo la morte del suo amico Enkidu, decide di recarsi sulla montagna di Mashu per cercarvi Utnapishtim, colui che ha fama di possedere il segreto dell’immortalità.

Utnapishtim racconta a Gilgamesh: “Gli dèi avevano deciso di distruggere l’umanità perché era selvaggia e si moltiplicava. Gli ordinarono di costruire una nave e “al settimo giorno la nave era pronta… Vi caricai tutto ciò che avevo, oro e creature viventi: la mia famiglia, i parenti, gli animali del campo sia selvatici sia domestici, e tutti gli artefici. Li mandai a bordo, perchè era già compiuto il tempo che Shamash (il dio Sole, supremo giudice e legislatore) aveva disposto allorché disse: “Questa sera, quando il cavaliere della tempesta manderà giù la pioggia distruttrice, entra nella nave e serra i boccaporti”… Gli dèi scatenarono il Diluvio e tutta l’umanità era stata trasformata in argilla… La nave si arenò sul monte Nisis e non si mosse. Tutto era acqua intorno… “All’albeggiare del settimo giorno liberai una colomba e la lasciai andare. Volò via, ma non trovando dove riposarsi fece ritorno. Poi liberai una rondine ed essa volò via, ma non trovando dove riposarsi fece ritorno. Poi liberai un corvo e questo vide che le acque si erano ritirate, mangiò, volò all’intorno, gracchiò e non fece ritorno”, “L’epopea di Gilgamesh”, da “Il racconto del Diluvio”.

Dunque, lettore, e ricordatelo, che quando parliamo del “diluvio biblico”, stiamo parlando di plagio, di plagio bell’e buono; stiamo parlando di quanto erano bravi, esperti, competenti i compilatori della Bibbia nel copiare le idee altrui. E poi, in quei tempi, il plagio non era proibito, perciò chiunque poteva copiare alla lettera le idee altrui senza correre alcun rischio.

La durata della vita prima del Diluvio, secondo il Vecchio Testamento (anche questa idea è stata presa dall’Epopea di Gilgamesh), si aggirava intorno ai 900 anni. Adamo visse 930 anni; Enos 905; Jared, all’età di centosessantadue anni, generò Enoc, e, dopo aver generato Enoc, visse ancora ottocento anni e generò figlioli e figliole. Jared visse in tutto novecentosessantadue anni, poi morì”; “Matusala, all’età di centottantasette anni, generò Lamech, e, dopo aver generato Lamech, visse ancora settecentottadue anni e generò figlioli e figliole. Matusala visse in tutto novecentosessantanove anni e poi mori, “Genesi”, pp. 13-14.

Mica male per quei tempi! E poi cos’è successo? E adesso? Geova ci ha puniti tutti, ci ha accorciato la vita perché siamo diventati dei monelli cattivi, inclusi i suoi rappresentanti preti cardinali e papi. E questo è strano. Almeno loro, i suoi servitori, poteva lasciarli vivere un po’ più a lungo. Niente, presto ci manderà un altro Diluvio e poi accorcerà ancora la vita ai sopravvissuti!

Prima di finire con il concetto di Dio, lettore, voglio farti un’analogia tra “vivere sulla Terra” e “vivere oltre la Terra”. Nel primo caso, “vivere sulla Terra”, si rimane nell’ambito del reale, del veritiero, del fisico, del biologico, delle emozioni, a contatto con l’alito della vita pregno di particelle. Nel secondo caso, “vivere oltre la Terra”, come fanno i cristiani, significa lasciarsi dietro tutto il materiale, tutto il mondo fisico, la nostra stessa disperazione. Idealisticamente e metafisicamente, i credenti sono catapultati in un mondo dove le leggi della natura non esistono, dove non ci sono atomi né neuroni né niente, ma c’è soltanto l’immaginazione che domina. E, guarda caso, quest’immaginazione è stata presa a prestito da creature reali. Vivere metafisicamente, dunque, è vivere aldilà della realtà umana, è non fare parte di questo mondo. Ecco, lettore, come e di cosa è stato costruito il concetto di Dio.

Il concetto di America. L’esistenza dell’America non era conosciuta prima di Colombo. Certo, la conoscevano gli indigeni di quel luogo, ma non col nome di “America”. Nella nostra mente europea, comunque, l’America non esisteva. Con la scoperta dell’America, abbiamo iniziato a costruirci anche il concetto di America: una terra vastissima al di là del mare, abitata prima da indiani, poi da svedesi, olandesi, italiani, inglesi, spagnoli, francesi; in seguito da gente di tutto il mondo; paese razzista, imperialista, guerrafondaio, paese di cowboy, di ricchezza, di miseria, di opportunità, di voli spaziali, di western, dell’Empire State Building, della Statua della Libertà, delle Torri Gemelle distrutte dai kamikaze, della fabbrica di sogni più grande al mondo, Hollywood, eccetera, eccetera, eccetera. Questo è un concetto concreto, reale, vero. Perché? Perché l’America esiste e nessuno può negarlo. Il concetto di America è un concetto costruito su cose reali, esistenti, che chiunque può vedere e toccare. Non è stato estratto dal nulla, dalla fantasia, ma da cose esistenti, vere. Tutte le definizioni dell’America non sono altro che concetti che ci siamo costruiti noi di quel luogo e di quella gente e che, più o meno, li rispecchiano.

Prima di homo habilis, per non dire prima di Colombo, il nome “America”, “cowboy”, “indiani”, “Hollywood”, insomma, prima di habilis, nessun nome esisteva. Dopo tutto, il linguaggio è un prodotto sociale, almeno così scrive Ferdinand de Saussure nel suo “Corso di linguistica generale”. Siamo stati noi, noi esseri umani, lettore, che abbiamo riempito la terra di nomi, di concetti e che abbiamo attribuito caratteristiche, qualità, definizioni, tratte tutte dal nostro immaginario, ad ogni nome e ad ogni concetto.

Ad esempio, la parola “albero”, non è l’albero; così l’immagine “albero” non è l’ “albero”. L’immagine di una cosa non è mai la cosa visibile immediatamente e concretamente. Un edificio, una statua, un quadro, Pegaso, non sarebbero nulla al di fuori dell’immaginario che li ha creati: proiettiamo noi stessi su ogni oggetto che inventiamo. Il cervello contiene in sé non solo la terra, il sole, la Via Lattea, ma anche tutto l’universo insieme a tutti i possibili universi esistenti e immaginabili e, nello stesso tempo, è contenuto da essi, così si esprime la poetessa americana Emily Dickinson. Noi non abbiamo solo una testa nel mondo, ma anche un mondo nella testa.

L’immaginazione più corretta è quella che rispecchia da vicino il comportamento e le caratteristiche reali dell’oggetto in questione. Un’immaginazione povera di conoscenze scientifiche è una povera immaginazione. Se siamo bravi proiettiamo cose reali, se siamo una frana proiettiamo frane; se siamo buoni proiettiamo cose buone, se siamo cattivi cose cattive. Il mondo è costruito a nostra immagine e somiglianza. Tutto ciò che è stato creato dall’uomo lo rispecchia; tutto ciò che è creato dall’uomo è una sua estensione.

“Il Vecchio Testamento, scrive l’antropologo Richard Leakey ne “Le origini dell’uomo”, afferma che Dio creò l’uomo a Sua immagine e somiglianza. Noi propenderemo invece per l’opposto. Per la nostra capacità di usare l’esperienza personale come mezzo per capire l’esperienza degli altri, e per il ben noto fenomeno della generalizzazione, gli uomini hanno creato Dio, o gli dèi, a loro propria immagine, e non viceversa”.

Scrive Christopher Hitchens ne “Dio non è grande”: “Dio non ha creato l’uomo a propria immagine. Palesemente, è stato l’inverso: è stata la semplice chiave per spiegare sia la profusione di dèi e religioni sia la lotta fratricida tra le religioni e al loro stesso interno, fenomeni visibili ovunque attorno a noi e che tanto hanno ritardato lo sviluppo della civiltà”, p. 9.

Non è stato Dio a creare l’uomo a sua immagine e somiglianza, ma l’uomo a creare Dio a sua immagine e somiglianza. Qualsiasi approccio alla descrizione di un oggetto, deve fare i conti con l’immaginario. Il mondo e tutto ciò che ci abbiamo costruito sono una nostra creazione, proiezione, l’abbiamo tirato fuori dalle nostre viscere, proprio come il ragno trae dalle sue la ragnatela. Il mondo culturale è una nostra ragnatela. Il concetto di Dio, e non ci stancheremo mai di dirlo, è pura invenzione; il concetto di America, invece, è stato costruito su cose reali.

Bene, lettore, fin qui tutto okay, vero? Eccellente. Allora proseguiamo. Con i due prossimi esempi voglio farti toccare con mano la realtà del “concetto”, perché voglio che tu sappia che la cultura è un’estrazione dalla materia; che non è astratta, ma è concretissima.

 

Il concetto di pige (scusami, lettore, ma ora devo metterti in bocca delle risposte, mi auguro solo che siano quelle giuste, quelle che mi avresti dato anche tu se te le avessi fatte di persona). La parola “pige” (si pronuncia piie o piye), sai cosa vuol dire?

“No!”.

Bene. Ancora qualche domanda. Ti dice qualcosa la parola “pige”? Voglio dire, ti fa vedere qualcosa? Si intuisce da essa qualcosa?

“No, solo un suono, solo due vocali e due consonanti e nulla più”.

Corretto, quello che avrei detto anch’io. “Pige”, però, un senso ce l’ha nella sua lingua. Adesso, fai attenzione perché, non appena te la traduco in italiano, tu vedrai qualcosa, avrai davanti agli occhi un significante e un significato, ossia un’immagine e un concetto. Sei pronto? Ready? Ebbene, eccola. La parola danese “pige” corrisponde all’italiano “ragazza”.

Ora, lettore, tu dovresti dirmi a sangue caldo cosa si è presentato davanti ai tuoi occhi non appena la parola “pige” si è trasformata in “ragazza”. Hai visto una ragazza bella, brutta, alta, piccola, cosa hai visto di preciso?

“Ho visto mia moglie quand’era giovane”.

Va bene! Tutto questo, però, non ha importanza, quello che importa è che tu hai visto una ragazza, l’immagine di una ragazza. Spesso, in queste situazioni, uno richiama alla mente l’immagine di una donna che ha conosciuto, sognato, amato, sposato o quella che desidera ancora, ama ancora. Ma tutto questo è irrilevante. La cosa che conta è che, non appena io ho tradotto “pige”, tu hai visto una ragazza, appunto, tua moglie quand’era giovane. La parola che, in un primo tempo, ti era totalmente oscura, appena udita la traduzione si è trasformata nel tuo cervello in qualcosa di famigliare, in un’immagine reale, che conoscevi. Come vedi, allora, all’immagine è legato un concetto, cioè tutti quei valori, tutte quelle qualità, sentimenti, opinioni che noi normalmente usiamo per descrivere una ragazza. Tutto questo si chiama significato. In breve, tutte le definizioni che noi ci siamo costruite sulla “donna” dall’inizio della nostra civiltà fino al presente, formano il suo bagaglio culturale, cioè il concetto di donna.

Vediamo ora il quarto e ultimo esempio.

 

Il concetto di Gud. Adesso prendiamo la parola “Gud” (si pronuncia più o meno come si scrive). Sai cosa vuol dire Gud, lettore?

“No!”.

Quello che immaginavo. Quindi, come prima con “pige”, anche  adesso con “Gud” non si vede niente, vero?

“Nulla di nulla. Solo una vocale e due consonanti. Un suono, uno scarabocchio, tutto qui”.

Fai attenzione, perché, come ho fatto prima con la parola “pige”, così faccio adesso anche con “Gud”; te la traduco e, subito dopo, tu vedrai qualcosa. Dimmi esattamente cosa vedrai. È importante. Ti spiegherò poi. Sei pronto?

“Sì”

Bene. La traduzione del danese “Gud” è “Dio”. Cosa hai visto? Quale immagine si è presentata ai tuoi occhi?

“Niente. Niente di niente”.

Non è possibile! Hai pur visto qualcosa? Probabilmente, se ci pensi, hai visto un vecchio con la barba, un uomo dall’apparenza saggia.

“Adesso che lo dici, sì. Mi è parso di intravedere un vecchio con la barba che assomigliava a mio nonno. Di più non potrei dire”.

Corretto. Non potevi vedere altro perché, infatti, non c’era altro da vedere. Dio non ha un’immagine, come ce l’ha “pige”. Dio è solo una parola inventata, come Bogududù. Questo fantasma dell’immaginario, ognuno se lo rappresenta come vuole. Se, però, uno è credente, può vedere in questa parola un vecchio con la barba lunga, bianca, bella, con uno sguardo amichevole, buono ecc.

E perché uno vede queste cose, lettore? Perché le caratteristiche che si sono date a Dio sono caratteristiche umane. Tutto qui. Dio non è altro che una creatura buona tirata fuori dall’immaginario, copiata o estratta da esseri umani buoni e già esistenti. Non ci sono che questi. Non puoi trarne altro. Solo barba bianca, un vecchio, pelle lucida ecc. C’è però un’immensa differenza tra l’uomo e Dio: il primo esiste, il secondo no. Quando ti ho tradotto “pige”, hai visto una ragazza; quando ti ho tradotto “Gud”, hai visto un vecchio, ma non Dio, perché noi non sappiamo nulla di questo Signore, e non sappiamo nulla perché non esiste.

Diciamocelo tutto in una volta, lettore, la negazione di Dio è matematica: 2+2 uguale 4. Solo se vuoi che 2+2 faccia 5, solo così puoi avere il tuo Dio. Ma questo non vuol dire che Dio esista, vuol dire solo che tu imponi questa credenza a te stesso con la tua forza di volontà. Il concetto di Dio, dunque, è un concetto falso: aria fritta dell’aria fritta.

Vedere L’Indifferenza divina

 

 

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