Lo zio Carlo e le parole che più mi hanno fatto riflettere sulla vita

 

Avevo cinque o sei anni allora. Eravamo in pieno inverno. Fuori faceva freddo, si sentivano raffiche di vento e pioggia mista a grandine sul tetto. Io e lo zio Carlo eravamo seduti in silenzio vicino al focolare in cucina. A un certo punto, lo zio, di punto in bianco, mi assalì dicendo:

“Lo sai, lo sai che tu sei più ricco di me?”, ha detto in dialetto.

“Non è vero, zio,” ho risposto io pronto come se quella domanda me la fossi aspettata, “sei tu il più ricco.”

“Non intendo ricchezza materiale, soldi case terreni animali,” ha risposto lui tetro e con disgusto, “intendo ricchezza in età, in giovinezza, vita. Tu sei un ragazzino, io quasi un vecchio; tu hai tutta la vita davanti a te, io la fossa. Capisci?”

“No,” ho risposto.

“Peggio per te!” ha fatto lui.

“La zia,” (sua moglie), ho detto io allora, “dice che dopo la morte andremo in paradiso e lì vivremo tutti felici e per sempre.”

“Quindi capisci!,” ha urlato lui con stizza. “E comunque non parlarmi delle stupidità che dice tua zia.”

“Stupidità?,” ho fatto io. Non l’avevo mai sentito parlare in quel modo della zia.

“Sì, stupidità!”

“Spiegami.”

“Non so spiegartelo.”

“Prova.”

“Ti ho detto che non lo so.”

“E io non capisco.”

“Un giorno forse capirai. E ora stai zitto!” ha troncato lui, mettendosi, nervoso e arrabbiato, ad attizzare il fuoco.

L’ho guardato, poi ho chinato la testa e non ho detto altro.

Lui neppure.

Nonostante la mia tenera età, questo episodio con lo zio Carlo mi scosse profondamente, suscitando in me domande che fino ad allora ignoravo: domande sulla vita, sul tempo, sulla giovinezza, sulla morte, sul mondo, sull’esistenza o la non esistenza di Dio. Volevo risposte a questa mia improvvisa inquietudine interiore, ma non ne trovavo. Neppure lui, lo zio, anche quand’era più avvicinabile e meno scontroso, era in grado di rispondere alle mie insistenti e sentite domande. E intuivo, fortemente intuivo, che avrebbe voluto tanto sapermi rispondere.

Nel 2021, se lo zio Carlo fosse stato ancora in vita, gli avrei detto questo:

“Zio, oggi io ho 79 anni, sono un po’ più vecchio di quanto lo eri tu allora, e posso dirti riguardo a tutto quel tormento che mi hai messo in testa quella sera in cucina che la vita, sia a livello mondiale che a livello universale, non ha senso e non ce l’ha perché il mondo in cui viviamo ne è privo. Qualsiasi cosa pensiamo e facciamo, se la analizzassimo a fondo, scopriremmo che è priva di senso. L’intero universo annega nel nonsenso. Sia la vita che la morte non hanno nessun senso, perché si nasce dal nulla e si ritorna nel nulla. L’universo intero è solo un cumolo di eventi totalmente privi di significato. Questa realtà ci spinge a interrogativi, interrogativi che non hanno più nulla a che vedere col soprannaturale, ma con la ferrea realtà che ci circonda. Non è facile vivere in un così fatto mondo zio, e la felicità oggi è solo pascolo per gli acefali”.

 

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