Per una filosofia perenne ovvero viaggio nell’immortalità fisica e virtuale (3)

3. La fisica come esercizio spirituale

Due tipi di “spirituali”: quello fisico e quello religioso

Il cervello ha tre principali modi di pensare: istintivo, razionale, meditativo. Il primo è il più veloce, il secondo è più riflessivo, il terzo più contemplativo. Per dare qualche esempio, potremmo dire che il primo, il pensiero istintivo, è naturale, non possiamo governarlo, non ne abbiamo controllo. Se toccassi un oggetto rovente col dito, il trarsi indietro della mano sarebbe immediato e molto rapido. Questo modo di agire e reagire di fronte all’imprevisto è determinato e può essere salutare, ma anche fatale, come quando ci immobilizziamo di fronte ad un pericolo. Il secondo, il pensiero razionale, riflette sul fare prima di agire. Se volessi organizzare una cena, prima dovrei pensare alla data, poi al numero degli invitati, poi a come assegnare i posti a tavola, poi al menu, alle bevande ecc. Il terzo, il pensiero meditativo, senza che ce ne accorgiamo, ci viene alla mente nei modi più inconsueti, magari mentre passeggiamo o stiamo riflettendo su certi comportamenti nostri o dei nostri amici. La meditazione appoggia l’intuizione, è un pensiero ruminante. Vedere un albero è vedere anche la foresta e viceversa. Nella meditazione affiora il pensiero a priori, quel modo di pensare che cerca di prevedere ciò che potrebbe o non potrebbe succedere in certe situazioni.

Di questi tre esempi a noi interessa il primo, il pensiero istintivo. Ovvio, anche gli altri due fanno la loro parte, ma il primo è più determinante. Cosa succede nella nostra testa quando facciamo un’esperienza forte, scioccante, traumatica? Si stampa in essa. In seguito si trasforma in ricordo, in esperienza fatta e, infine, si materializza, diventa parte integrante del nostro corpo. È l’inizio del culturale e dello spirituale.

 

Lo spirituale fisico

Quali sono le esperienze che creano lo spirituale? Quelle che scaturiscono in noi da forti emozioni, come la meraviglia, lo spavento, lo stupore, lo shock, l’amore a prima vista, i terremoti, la furia d’un mare in tempesta, la guerra, la perdita d’una persona cara, un’opera d’arte che ci colpisce profondamente, il senso dell’ignoto. Questi fenomeni e molti altri ancora creano nella nostra psiche delle forti impressioni, sentimenti, stati d’animo; emozioni che si imprimono nel nostro cervello come quando uno è morso da un serpente oppure esce per la prima volta con la persona amata. Sono esperienze che si fissano e si cristallizzano in noi e che, col tempo, diventano parte del nostro patrimonio mentale e spirituale.

Ha un nome tutto questo? Sì, anzi ne ha tanti, ma uno in particolare. È il sublime e succede tutte le volte che ci troviamo di fronte ad un qualcosa di straordinario, com’è stato il caso del Viandante sul mare di nebbia nel quadro del pittore romantico tedesco, David Caspar Friedrich. Di fronte ad una tale vista si rimane fortemente scossi, turbati, impressionati. È un’immagine shock per il Viandante trovarsi, lui così microscopico e insignificante, davanti ad una visione immensa e spettacolare. La sua è un’emozione straordinaria, di grande stupore, meraviglia. Un vero e proprio assalto alla materia grigia, al cuore e a tutto il resto del corpo. Ed è a questo punto che scatta il sublime, l’esperienza che si stampa nel cervello e dalla quale scaturiscono, diciamolo ancora, il culturale e lo spirituale.

Ci sono altri modi per acquisire lo spirituale? Molti, tanti quanti gli uomini sulla terra. Lo spirituale fa parte della nostra biologia, della nostra cultura e ogni individuo partorisce il suo. C’è lo spirituale di tutti i giorni, della routine, della vita semplice, della quotidianità, del lavoro, degli amici, dello sport, della famiglia, lo spirituale soft, poetico, riverente, campestre, ecc.

Come il cervello secerne il pensiero, il fegato la bile, la materia la vita, così la cultura secerne lo spirituale. È la purezza del nostro vivere. Siamo fatti di questa pasta. Le azioni ci trasformano, diventano parte dell’innato, dell’anima, della vita, diventano un insieme e si ripresentano a noi tutte le volte che le ricordiamo. Ripetere un’azione, coltivare un sentimento, rimuginare un pensiero è dare inizio alla costruzione di idee, ideologie, teorie. Il cervello è come un muscolo, più lo eserciti, lo stimoli con argomenti interessanti, funzioni, mestieri particolari, più lo ingrandisci e si ingrandisce.

All’inizio della nostra civiltà, solo le esperienze shock avevano effetto su di noi. In quei tempi il cervello era più rozzo, ottuso, meno sviluppato, ci metteva molto tempo a comprendere le cose. Il senno di poi era la regola non l’eccezione. E comunque, nonostante ciò, un ominide non poteva non distinguere tra un erbivoro e un carnivoro, tra una pianta velenosa e una innocua, tra un burrone e la terra pianeggiante, perché, in caso contrario, sarebbe stato spacciato. Sempre se aveva già fatto questo genere di esperienza. Le esperienze shock si dimenticano raramente, per non dire mai, sono come le offese e le ingiustizie. Tutto ciò che ci fa venire i brividi, s’imprime con forza nei nostri circuiti neuronali, non lo si dimentica più. Ecco la scuola e l’apprendimento che si fa in natura. Di fronte ad un’esperienza sconvolgente, emozionante, la materia grigia cristallizza e spiritualizza il fenomeno.

Lo spirituale, che è figlio della cultura, è un percorso fisico, appartiene alla nostra natura. È la spiritualizzazione del corpo e la materializzazione dello spirito. Se l’evoluzione potesse parlare, direbbe che, per la materia, il big bang è stato un momento spirituale, come la formazione delle prime stelle, il primo volo degli uccelli, il primo parto delle donne e via di seguito. È il fare silenzioso dei fenomeni, a noi di capirlo. Potremmo dire che, come gli atomi creano la materia, così la vita crea lo spirituale.

Questo ha una storia unica, individuale. La sua ontologia è formata dalla sua stessa esistenza. Gli elementi che lo compongono sono la grammatica della vita. Prendono dimora in lui e, pian piano, giorno dopo giorno, gli crescono dentro, gli scuotono corpo cuore e cervello. E così, via via che il soggetto li filtra, li pensa, li sogna, li sublimizza, li cristallizza, inevitabilmente li spiritualizza.

In poche parole, è tutto materia, materia sonante, trasparente, luminosa. La coscienza è fisica, la mente è fisica, l’anima è fisica, lo spirituale è fisico, ogni nostro respiro naturale e culturale è fisico. Non c’è altro, non c’è stato mai altro. Detto diversamente, i fenomeni scoperti fanno parte della nostra realtà; le cose inventate esistono solo nella nostra testa, al di fuori della nostra testa c’è unicamente la fisicità del mondo: un brulichio di atomi. Il pensiero è fatto di particelle, di cose come le pietre, i fiori della prateria e gli uccelli di alta montagna. Tutto è atomi, diceva Democrito, e diceva giusto

 

Lo spirituale religioso

Ahimé, non possiamo dire la stessa cosa dello spirituale religioso e per molte ragioni. Intanto non si tratta d’uno spirituale genuino, naturale, ma di uno spirituale fantastico, che si acquisisce con una tecnica diversa da quella dello spirituale fisico. L’impianto religioso è una costruzione dell’immaginario, è invenzione. La materia grigia, partendo dalla realtà fenomenica, riesce a escogitare qualsiasi cosa: macchine che corrono su ruote quadrate, personaggi che camminano sull’acqua, lo spirito che si trasforma in bestia; quindi, in spirituale, uno spirituale falso, truffaldino, privo di contenuti veri. Lo spirituale nato dalla fantasia lo si deduce dalla realtà. Diventa spirituale, ma nasce da un pensiero artefatto. Chiunque può dedurre, una volta viste le macchine correre su ruote normali, che potrebbero farlo anche su ruote quadrate. Ecco il gioco. Le cose, nella realtà però, non funzionano così. Le macchine non corrono su ruote quadrate. Un cervello che pensa a qualcosa del genere è comunque un cervello storpio, mal funzionante. Lo spirituale fantastico è fantastico e basta, ha a che fare con una mente che esce dal normale, dalla realtà che conosciamo. Lo spirituale religioso è uno spirituale, sì, ma uno spirituale inventato e nocivo.

La religione è una prigione per il vero spirituale. Questo ha bisogno di spazi aperti e non di dogmi; ha bisogno di acqua cristallina e non di acquasantiera, che è sporca, stagnante, inquinata, pestifera. Quest’acqua non rappresenta lo spirituale, ma la schiavitù spirituale. Lo spirituale religioso nasce da una fabbrica artefatta, che produce macchine mal funzionanti. È una mistificazione della realtà. Lo spirituale religioso tutto è eccetto che un vero spirituale. È uno spirituale deleterio, diseducativo, contro natura. È costruito artificialmente, uno spirituale inautentico, astratto, che non ha nulla a che vedere con la realtà di cui facciamo esperienza. Come si può capire la resurrezione? Come si può fare esperienza del paradiso? Come si può spiritualizzare l’inesistente? È da questi argomenti falsi e artificiosi che nasce lo spirituale religioso.

Sia chiaro, l’invenzione è una cosa importantissima. Senza la capacità inventiva, la nostra specie, per il bene e per il male, non sarebbe stata la nostra specie. Solo che ci sono invenzioni e invenzioni. Alcune sono negative, altre distruttive, altre ancora positive e altre né negative né positive, invenzioni e basta. Naturalmente ognuno è libero di credere in quel che vuole. È giusto però che si sappia che l’universo e l’evoluzione ci hanno messo, a caso e per trial and error, quindici miliardi di anni per dare vita all’uomo, per crearlo. Quindi, l’uomo, se crede nelle invenzioni assurde che alcuni dei suoi simili si sono create, sta buttando nel nulla quindici miliardi di travaglio evoluzionistico. La vita ha valore cosmico.

La storia dello spirituale religioso, volendo, la si può sintetizzare così. Bri, il grande artefice, molto determinato furbo e cattivello, come tanti altri della sua razza, è sbucato dal nulla e, partendo dal nulla, ha creato il mondo, quindi ha creato Scri che ha diviso le acque del Mar Stri con un colpo di scopone smagico. Il Bri, poi, e vai a capire perché, si è adirato col prodotto che lui stesso ha pasticciato, cioè con i suoi burattini, e li ha eliminati in un bidone d’acqua fangosa e puzzolente. Ha annegato tutti eccetto Sdri e le sue mosche infestate che ancora oggi continuano a trasmettere la sua pestilenza su tutta la terra. Grande, veramente grande il lavoro di Bri. Ma insomma!

 

L’invenzione come fuga

Ci sono invenzioni e invenzioni. L’invenzione dell’aratro ci ha aiutato e continua ad aiutarci a lavorare i campi; l’invenzione del peccato originale ha assassinato per millenni la vita dei credenti e continua a farlo.

Quando del reale è stato tutto detto e stradetto, ecco apparire la strega, la prostituta di ogni tempo e di ogni luogo: l’invenzione. Questa crea altri mondi, luoghi dove tutti possono costruirsi il mondo che vogliono e come lo vogliono. Tutti hanno ragione, anche se questa è una ragione che sragiona, nel modo in cui presentano i loro prodotti fantastici, nessuno può smentirli. Non sul terreno dell’immaginario e dell’irrazionale. E come si potrebbero smentire i deliri della mente? Forse c’è stato qualcuno che è tornato dal suo mondo immaginario per dirci come funziona realmente? Il grottesco e l’inverosimile si annidano in questo genere d’invenzione. Detto tutto in una volta, il cervello di quelli che fuggono dal mondo che conosciamo funziona così: non esiste, quindi me “lo” invento.

Da quando siamo apparsi su questo pianeta, l’abbiamo popolato di nomi. Alcuni di questi nomi corrispondono a realtà e altri no. Un cane è un animale a quattro zampe e corrisponde a realtà; la Medusa coi serpenti per capelli è solo un’esternazione vocale che non corrisponde a realtà. Può darsi che per alcuni l’invenzione sia più suggestiva del reale, rimane però il fatto che è un’invenzione e nulla più. Potrei, grazie alla mia immaginazione, inventarmi un milione di mondi zeppi di ogni bene e di ogni cibo; però, nel caso avessi fame, tutti i miei mondi, dal primo all’ultimo, varrebbero meno della buccia di una patata marcia, per quello che riguarda la mia fame e la mia sopravvivenza. Se la nostra ragione non ci aiuta a capire la differenza tra reale e fantastico, tra scienza e superstizione, tra filosofia e religione, ci sono dei buoni motivi per pensare che non comprenderemo mai la realtà che ci circonda e di cui siamo fatti. Di più: finiremo male!

Le interpretazioni, sempre con la benedizione di Nietzsche e degli ermeneutici, sono sacrosante, inevitabili, ma soggettive, approssimative nelle loro stime, tappabuchi temporanei. Ad esempio, per la scienza, la Bibbia non è interpretazione, è un libro zeppo di stoltezze; per la scienza, il libro tibetano dei morti non è interpretazione, è una sfilza di rituali gratuiti; per la scienza, la morte non è un’interpretazione, è un fatto, un evento terminale, decisivo, stop; la povertà non è un’interpretazione, è un fatto, un fenomeno che crea sofferenza, miseria, dolore; il cancro non è un’interpretazione, è un fatto, uccide il corpo che l’ospita; l’ingiustizia non è interpretazione, è un fatto, una barbara prepotenza applicata dai forti sui deboli. Almeno sul pianeta terra, queste vicende non sono interpretazioni, sono fatti reali. La morte esiste, così il mare, il sole, la Via Lattea e questa è scienza. Per questo io distinguo tra scienza e interpretazione. La scienza è una, le interpretazioni sono tante, tante quante gli uomini sulla terra.

Ogni cultura ha la sua visione del mondo, una visione impastata col fantastico e con ogni altro tipo di abracadabra. Aborigeni, ebrei, africani, islamici, americani, polinesiani, cinesi, europei, indiani, sudamericani e via di seguito: tutte queste civiltà hanno una loro spiegazione dei fenomeni naturali e soprannaturali, una spiegazione soggettiva, circoscritta, che non ha nulla a che vedere, eventualmente, con una conoscenza reale, obiettiva, scientifica. Questo tipo di conoscenza, come le superstizioni e le religioni, vale quel che vale e solo localmente.

L’invenzione come fuga è una via senza ritorno, è decisiva. Ma chi ha creato questo bisogno di evadere? Noi, ce lo siamo creato noi, grazie al mondo che ci siamo costruiti. Il prezzo di vivere in esso, però, per tutti quelli che non lo capiscono, ma lo subiscono, è molto alto. L’invenzione è una evasione dal sociale, dal mondo barbaro in cui viviamo. Il fantastico è nato da questo bisogno. Questa fuga in un altro mondo, in un luogo dove l’immaginario si scatena indisturbato, è dovuta a leggi antinaturali, artificiose, dogmatiche, ingiuste e, soprattutto, alla nostra ignoranza. E ancora. Non c’è solo il sociale, c’è anche il mondo dell’immanenza, fenomenico, spietato per chi non l’accetta. Il fantastico allora è la risposta: fuga dal sociale e fuga dall’immanente. L’invenzione come fuga dal reale, quindi, è dovuta al reale. La salvezza sta nella fuga, nella fuga in mondi immaginari. Gli esiliati mentali si rifugiano lì dove si annidano le idee di una vita bella, quella che desiderano ma che non possono vivere sulla terra per com’è fatta, né nella società in cui vivono. La fuga, a questo punto, è inevitabile.

 

 

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