Per un’arte di vivere (1)

Da giovane, volevo possedere un’arte. Non un’arte come quella che si trova nei dipinti, nei romanzi, nelle composizioni musicali; tanto meno un’arte di vestire, di abbuffarsi, un’arte dei gesti calcolati, delle battute argute. Nulla di tutto questo. La mia voleva essere un’arte di vivere che fosse conforme alla natura delle cose e all’essenza dell’uomo visti come realmente sono. Era questa l’arte che cercavo e questo tipo di arte non poteva nascere che da una conoscenza del reale e non del fantastico.

Si sa ormai, la vita è caos, caos biologico, culturale, istituzionale; il mondo degli elementi è anch’esso caos. Viviamo in un universo che, nel suo intimo, è caos: tutto si sgretotola, tutto va in frantumi, tutto perisce. La mia arte voleva fare i conti con questa realtà: trovare il giusto nell’ingiusto, il senso nel nonsenso, l’armonia nella disarmonia, il succo della vita nel pandemonio, l’immortale nel mortale.

Sì, desideravo fare della mia vita un’opera d’arte. Non m’interessava, of course, quel tipo di arte che creano la maggior parte degli artisti. Questa è spesso fasulla, un’arte acchiappa nuvole, dell’irrealtà. Infatti, la stragrande parte della fiction è un’arte infantile, della fuga, un insulto alla vera arte. A me interessava un’arte dura, concreta, vissuta, fisica, fisica come lo sono gli atomi e i fiori. In breve, un’arte che mi aiutasse a carpire il midollo degli elementi e della vita.

L’arte, quella che conosciamo, è ancora in embrione. L’artista che la produce è giovane, è il bambino che si cerca nell’adulto, il bambino che brancola nel magma degli ideali, delle passioni scapestrate, delle illusioni inferocite. La mia arte doveva andare oltre questo tipo di arte, doveva armonizzarsi col caos in cui viviamo e per farlo bisognava conoscere le regole del gioco della natura e le regole del gioco che si sono creati gli uomini.

L’arte è forma contro caos e contenuto contro vuoto, ma, al nocciolo, nell’arte non c’è che l’istante: l’esperienza del momento, un momento che non cessa di cambiare, incantare, stupire. Volevo vivere questo “momento” in modo totale; saper cogliere l’attimo dell’esistere in tutti i suoi aspetti, ecco cosa intendevo e intendo ancora oggi per arte.

Dopo tutto nessuna arte è riuscita a spiegare la vita, tutt’al più ha tentato d’interpretarla. La vita non si lascia imbrigliare facilmente in questa o in quella definizione, la vita è una perpetua meraviglia o, se si preferisce, un incubo vita natural durante. Si trasforma in arte unicamente per colui che vive con la costante consapevolezza che sul palcoscenico si sale una sola volta, una volta e basta. Costui sa che se sbaglia la recita non ci sarà poi un’altra chance. Gli occhi su questo teatro si aprono unicamente una volta e questo vale anche per gli attori. Stando così le cose, volevo fare bene la mia parte!

Insomma, l’arte, per come la intendevo io allora, allora quand’ero giovane, e per come la intendo ancora oggi, ormai un uomo dai capelli bianchi, dev’essere al servizio del “buon vivere” e il “buon vivere” ha a che fare con la totale realizzazione di sé. Che arte mai potrebbe essere un’arte che non mi aiuta a crescere e a realizzarmi? La mia arte doveva permetermi di succhiare il massimo dall’esistenza, proprio come fanno i poeti. Era questa l’arte che cercavo. Dopotutto, l’arte e lo stile di vita dovrebbero essere la stessa e medesima cosa. Le persone evolute l’arte la vivono, non la creano, sono diventate esse stesse arte, arte viva. Il giorno in cui l’artista smetterà di essere un bambino e diventerà un adulto, sarà la fine dell’arte. Questa continuerà nel gesto.

Vedere Ha un senso la vita?

 

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