Un orangutan seduto sul trono di Bogududù

Voglio darti, Rossi, un’immagine di come “io”, un habitué del teatrino papale, in ultima istanza, mi figuro il grande, divino, infallibile personaggio.

Ecco, prendi un orangutan, lo depili in tutte quelle parti che non possono essere nascoste dagli abiti, gli dai una passata di smalto bianco sul muso, sulle orecchie, sulle zampe, oppure gli metti i guanti, poi un po’ di rossetto sulle labbra, gli metti il cappello sulla testa, il camice, la croce pettorale, l’anello, il pastorale in mano, non dimenticare le scarpe. Una volta addobbato, gli fai fare una bella sfilatina tra il suo gregge più intimo e poi lo schiaffi sul trono di Bogududù: grande!

Questa è l’immagine che mi sono fatto di lui, Rossi, e non c’è verso di togliermela dalla testa. È più forte di me, non posso farci proprio niente. Tutte le volte che sento parlare questo clown, tutte le volte che vedo la sua immagine, zac!, scatta nel mio cervello la figura dell’orangutan circondato da scimmie e scimmiette di ogni calibro e dimensione. Altro, per quanto mi sforzi, non riesco a vedere.

Spero che non me ne voglia, Rossi, per averti svelato l’immagine che mi sono fatta dell’orangutan, la 194esima scimmia di Desmond Morris. Nel caso la cosa ti rincresca, chiediti: per quale ragione il cervello di Orazio Guglielmini ha partorito questa immagine dell’orangutan seduto sul trono di Bugududù?

Vedere L’Indifferenza divina

 

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