Uno scrittore in cerca d’editore – 5 post, il quinto

 Per me una casa editrice dovrebbe rappresentare un modello di cultura, un modello di vita, un modello di comportamento etico morale umano intellettuale politico nazionale e internazionale dove scrittori e lettori s’incontrano e trovano un senso e una direzione esistenziale nel modo più spontaneo e naturale che si possa immaginare; per me una casa editrice dovrebbe essere una fonte, una sorgente, uno specchio, un luogo dove non dovrebbe esserci inquinamento mentale, falsità, corruzione; ecco cosa dovrebbe essere, grosso modo, per me una casa editrice.

Qual è allora il mio appello, l’appello d’uno scrittore in cerca d’editore? Eccolo: io cerco un editore ambizioso, aperto, deciso, che ama e rispetta il suo lavoro, la sua professione, che stima ciò che pubblica, che ama e rispetta i suoi lettori, che è orgoglioso del suo Paese, che desidera vedere il suo Popolo culturalmente e politicamente illuminato, avveduto e pronto, degno di essere un vero e proprio modello di cittadinanza, e non solo in Italia. In breve, cerco un editore che faccia respirare un po’ d’aria pulita, un po’ di sano vivere, un po’ di dignità umana, un po’ di poesia, ecco l’editore che cerco.

Io, lo scrittore, a questo mio potenziale editore, cosa avrei da proporgli? Tanto per cominciare 4 romanzi, 3 collezioni di racconti, 5 saggi e altri scritti sperimentali. È già un inizio, no? E, dato che ho appena compiuto la fantastica età di settant’un anni e ho ancora tanto tempo di fronte a me e tante altre cose da scrivere e raccontare, gli proporrei un’ottima collaborazione, sempre naturalmente se gli fa piacere e lo desidera, e questo sia nel promuovere il lavoro sia nell’avventura che inevitabilmente, anche se per poco, ci legherà. Inoltre, il mio potenziale editore, dovrebbe prendere in considerazione una cosa non da poco, il fatto che io sono un figlio del popolo e solo un figlio del popolo sa parlare al popolo!

A proposito, vuole che le dia un’idea di ciò che scrivo? Lo faccio subito e con piacere. La mia è una scrittura nata dall’esperienza, non meno di quella di Primo Levi, nata nei campi di concentramento; non meno di quella di Henri Charrière nata nei Lager della Guyana Francese; non meno di quella di Gavino Ledda nata in una povertà tragica e dalla barbara brutalità d’un padre padrone.

I miei racconti, romanzi, scritti sperimentali, piacciano o meno, raccontano la mia vita, la vita di uno che per sopravvivere e farsi un’educazione, ha dovuto sottoporsi ai Lager sociali.

Il racconto che più mi rappresenta (per Primo Levi è “Se questo è un uomo”; per Henri Charrière è “Papillon”; per Gavino Ledda è “Padre padrone”) è il romanzo “Un bambino del sud Italia”.

Allora, mio caro would be editore, si faccia avanti, non tema, perché anche in questa tana dove abito al quarto e ultimo piano senza ascensore, anche da qui si vedono le stelle, anche qui c’è luce e materiale di riflessione e, mi creda, insieme faremo letteratura, faremo storia, storia pulita, storia degna di esseri umani. L’aspetto!

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