Curiosity si posa su Marte

Questa mattina mi sono alzato a fare pipì alle 7 e 25. Mi sono ricordato, mentre la facevo, che Curiosity, la sonda della Nasa, stava per atterrare su Marte. Bene. Non appena ho soddisfatto la richiesta della natura, sono andato in cucina, ho acceso il televisore e mi sono visto l’atterraggio alle 7 e 31.

Sicuramente, mi è venuto spontaneo pensare, che quest’evento aggiungerà un altro tassello alla storia evolutiva dell’uomo che, giustamente, non smette mai di cercare altri indizi, fenomeni, particelle, reperti, pianeti, forme di vita, affinché possano aiutarlo a capire le sue origini e la sua presenza in questo mondo.

La cosa però che più mi ha sorpreso, mentre stavo guardando quest’evento in diretta, è stato l’entusiamo dei tecnici della Nasa: una vera e propria esplosione di gioia fra di loro quando è stato detto che Curiosity si era posato con successo sul pianeta. Qualcuno addirittura piangeva dalla felicità.

Ed è stata questa, l’esplosione di tanta gioia e felicità da parte dei tecnici, e vai a capire perché, che io sentivo di non condividere. Strano, ho pensato. Forse la ragione era perché mi sono appena svegliato, forse perché mi sono alzato di cattivo umore, forse perché ieri sera ho mangiato qualcosa di pesante e il mio stomaco non l’aveva ancora digerito. Il fatto è, comunque, che continuavo a sentirmi un estraneo di fronte a tutto quell’entusiasmo, un vero e proprio extraterrestre.

Eppure, mi sono detto, anch’io sono un essere umano, anch’io sono un cittadino del pianeta Terra, condivido anch’io le belle e le brutte esperienze della mia specie, perché, allora, perché non condividere anche questa in modo gioioso ed euforico come quei tecnici e scienziati della Nasa? Affatto! Anzi, per dire la verità, quell’entusiamso mi era apparso addirittura infantile e sciocco, mi dava persino fastidio.

Poi, via via che il cervello si riscaldava, ho iniziato a inquadrare la vicenda, la causa del mio stato d’animo, quindi la nostra ubicazione nello spazio, quindi la nostra prigione cosmica, quindi la Via Lattea, il Sistema Solare, la tomba in cui viviamo! A questo punto la cosa era chiara: erano arrivati i pipistrelli nella mia mente.

Questi signori volanti hanno ormai un posto fisso nella mia scatola cranica. Li vedo volare, a volte spesso, a volte meno, in questo buco cosmico dal quale noi siamo tutti prigionieri. È, infatti, la nostra gabbia bara cimitero spaziale. Capita, sometimes, che alcuni pipistrelli avventurosi riescono a fare dei lunghi voli, riescono a raggiungere le pareti più lontane del crepaccio cosmico. Grande!

Tutto si spiegava, allora. Ho capito, definitivamente ho capito cosa mi era successo. A questo punto ho spento il televisore e sono ritornato a letto.

Stavo per addormentarmi, quando ho sognato, anche questo ormai è diventato per me un sogno ricorrente, ho sognato un corpo celeste, proprio così, un corpo celeste, né più né meno che un corpo celeste che sbuca dall’ignoto e sparisce nell’ignoto. Altro di esso, mi ha detto un giorno uno che di queste cose se ne intendeva, non si è mai saputo, né mai si saprà.

 

 

 

 

 

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