L’Indifferenza divina (10)

Personaggi

Iniziamo col primo, Lattanzio. Come buona parte dei padri della Chiesa, Lattanzio, intorno al 300 dopo la nostra era, andava in giro per le strade di Roma predicando con grande ardore la tolleranza, l’amore, i valori della religione. Questi per lui erano tutto, il resto solo volgarità, atti scimmieschi. Lattanzio era un accanito difensore della vita e contro ogni tipo di violenza: “Se pensate di difendere la religione causando spargimenti di sangue e infliggendo tormenti, andava dicendo, di fatto non riuscirete nel vostro intento, piuttosto arrecherete alla religione stessa vergogna e disonore”, KarlHeinz Deschner, “Storia criminale del cristianesimo”, p. 222.

“La parabola di Lattanzio rifletteva quella della Chiesa, continua Deschner. Dopo avere in passato subito l’esilio e sofferto duramente la povertà, poco dopo il 313 (data emblematica questa, Rossi: Costantino aveva appena accettato nel suo esercito la setta cristiana), Costantino l’aveva scelto come precettore di suo figlio Crispo e incluso nella cerchia dei propri consiglieri. La rapida carriera, lo splendore della corte, le ville della valle della Mosella, i palazzi di Treviri, in breve, le relazioni con i personaggi più influenti del regno, fecero presto dimenticare al vecchio Lattanzio ciò in cui, per tutta la vita, aveva creduto. Così egli decise di dedicare al sovrano il suo trattato in cui non solo cessava di condannare il servizio militare, ma arrivava addirittura ad esaltarlo”, p. 222.

Voilà come funzionano le cose divine con questi signori, Rossi: oggi predicano la non violenza e domani, così, di brutto, per un piatto di minestra in più, si rimangiano tutto ciò che di divino avevano predicato fino al giorno prima ed esaltano la guerra. Perché si comportano così? Ovviamente le risposte potrebbero essere molte, ma una è certa: perché ciò che avevano predicato fino ad allora era solo menzogna! Colui che crede per convinzione in un concetto, non cambia idea da oggi a domani e nessuno lo compra. Solo i falsi idolatri, come Lattanzio, possono vendersi per un piatto di minestra, possono passare da un’idea all’altra. La vera credenza, quella che si costruisce con fatica e ragione, non si piega al primo assalto di un volgare impostore che vuole farci credere nelle sue follie.

L’altro uomo di cui voglio parlarti è il curé di Étrépigny, un francese delle Ardenne. Pensa che, alla sua morte, lasciò un “Testamento” in cui aveva riversato tutto il suo furore contro l’organizzazione dell’Indifferenza divina, lui che era un prete! Morì a sessantacinque anni, nel 1729 e, per quarant’anni, aveva continuato a dire una cosa al suo gregge e a pensarne un’altra. Vedi dove porta la religione: alla schizofrenia, alla doppiezza, ad un continuo risentimento.

La religione non è altro che “errore, menzogna e raggiro,” scrive il prete di Étrépigny. Se la prende in particolare coi preti, li accusa di idolatria: “In effetti adorate delle fragili statuette di pasta e di farina, e adorate le statue di legno e di gesso, d’oro e d’argento … Vi divertite, Signori, a interpretare e a spiegare in senso figurato, allegorico e mistico delle scritture vuote che definite comunque sacre, e divine; date loro il senso che voi volete; fate dire loro tutto ciò che volete per mezzo di questi bei presunti significati spirituali e allegorici che voi create per loro, e che voi decidete di fissare per loro, con il fine di trovarci, e di farci trovare delle supposte verità che non ci sono, né mai ci sono state”, dal libro di Georges Minois, “Storia dell’ateismo”, p. 290.

Sai, Rossi, e scusa questa digressione, ma a volte non posso fare a meno di sbellicarmi dalle risate quando penso che degli uomini, uomini adulti, maturi, addirittura coi baffi, fanno tutte quelle inginocchiate, tutti quei segni della croce, quei gesti, quelle formalità, e tutto questo di fronte a queste statuette di gesso, di farina, di plastica, di legno. Trovo che tutto questo sia di una volgarità unica. Aveva ragione Einstein quando diceva che ci sono due cose infinite, l’Universo e l’ignoranza umana. Lì, tutti genuflessi di fronte a un pupazzo di legno! Ma ti rendi conto del ridicolo e della stoltezza che regna nella nostra civiltà? E poi, una volta fuori dal luogo di culto, eccoli inorgoglirsi, gli uomini coi baffi, inorgoglirsi per essere andati in Chiesa e aver fatto per un’oretta i bravi ragazzi!

Ma io mi chiedo, qual è la differenza tra questi riti e quelli delle tribù africane? E rispondo: quelli africani sono più dignitosi, perché più naturali, genuini, meno ipocriti e pomposi. C’est du cinema, dicono i francesi, it’s the theatre dicono gli inglesi: è ignoranza elevata a sistema, diciamo noi, Rossi.

“Ho visto, continua il prete ribelle, e ho ricosciuto gli errori, gli abusi, le vanità, le follie, le malvagità degli uomini. Li odio e li detesto; non ho osato dirlo durante la mia vita, ma lo dirò almeno in punto di morte; affinché si sappia che scrivo questa memoria perché possa servire di testimonianza alla verità …”, p. 291.

“Ero, prosegue in un altro passo dove cerca di giustificarsi con il suo gregge, ero peraltro obbligato a insegnarvi la religione, e a parlarvene almeno ogni tanto, per sdebitarmi alla meno peggio da quel dovere fasullo al quale mi ero impegnato come vostro curato, e per il momento mi dispiaceva soltanto di vedervi in questa spiacevole necessità, e di parlare totalmente contro ciò che provavo, mi dispiaceva discutere con voi di sciocchi errori, di vuote superstizioni e di idolatrie che odiavo (…) Allo stesso modo odiavo tantissimo tutte le inutili punizioni del mio ministero e in particolare le idolatriche e superstiziose celebrazioni di messe e queste vuote e ridicole amministrazioni di sacramenti che ero obbligato a fare. (…) Sono stato più volte sul punto di fare esplodere in modo palese la mia indignazione, non riuscendo, proprio in queste occasioni, a nascondere più il mio risentimento, né a trattenere in me l’indignazione che ne provavo. Ho deciso quindi di trattenerlo, e fino alla conclusione dei miei giorni, non volendo espormi in vita all’indignazione dei preti, né alla crudeltà dei tiranni che avrebbero di certo trovato, a loro piacimento, tormenti così duri per punire una tale presunta temerarietà”, p. 307.

In quei tempi, come vedi, Rossi, prendere una posizione apertamente antireligiosa, poteva costarti la vita, com’è successo, come già sai, a moltissimi. Tanto per darti ancora qualche esempio, intorno al 1700, il prete Lefèvre, per essersi ribellato alla Chiesa, è stato arso vivo. Anche quell’altro nostro filosofo, non Giordano Bruno, ma Vanini, il pugliese, bruciato vivo per eresia nel 1619. Pare che questi, prima che il boia gli strappasse la lingua e lo consegnasse alle fiamme, abbia urlato: Andiamo, andiamo a morire da filosofi! Tra migliaia di altri, c’è anche Pomponazzi, un filosofo del Rinascimento. Anche lui finì male. Raccomandava ai suoi discepoli: Alla filosofia credete fin dove ragione vi detta, alla teologia quanto vogliono i teologi e i prelati con tutta la chiesa romana, perché altrimenti vi faranno fare la fine delle castagne! Eugenio Garin, “Storia della filosofia italiana”, volume secondo.

Se non bruciarono Pomponazzi, bruciarono il suo libro, L’immortalità dell’anima, dove sosteneva che quest’ultima non era immortale. Il filosofo, comunque, non resse a quest’atto criminale della Chiesa e, come conseguenza, si lasciò morire, un lento e terribile suicidio. Insomma, se non fece la fine delle castagne, finì ugualmente male.

Era pericoloso in quei tempi andare contro la Chiesa e l’eretico prete di Étrépigny questo lo sapeva.

Non odiava solo i cristicoli, odiava anche i tiranni. Aveva scritto “que  tous  les  nobles  fussent pendus et ètranglés avec les boyaux des prêtres” – “Che tutti i nobili venissero impiccati e strangolati con le budella dei preti”, Armand Farrachi, “Mémoire de le Curé Meslier”. Questa frase è stata poi ripresa da Diderot nel 1791 ed è diventata: “Quand le dernier roi sera pendu avec les boyaux du dernier prêtre, le genre humain pourra espérer d’être heureux” – “Quando l’ultimo re sarà impiccato con le budella dell’ultimo prete, il genere umano potrà sperare di essere felice”, p. 43.

In ogni modo, per come funzionavano le cose all’epoca, preferì, come tanti altri personaggi – Montaigne, Cartesio, Spinoza -, essere cauto e vergare il suo pensiero contro l’istituzione del demonio la sera nel suo Testamento. Lì, nella parrocchia, nel silenzio e nella solitudine, scriveva al lume di candela le ignominie della Signora che serviva.

“Che i preti, scrive poco prima di lasciarsi morire, proprio come ha fatto il nostro Pomponazzi, che i preti, i predicatori facciano per il momento ciò che vorranno del mio corpo (una volta trovato morto); che lo squarcino, lo riducano in pezzi, lo brucino o lo arrostiscano, che lo mangino, se vorranno, in qualunque salsa, ciò non mi crea nessun particolare problema; sarò allora interamente fuori dalla loro portata, nulla sarà in grado di farmi paura”, “Storia dell’ateismo”, p. 304.

Il libro di Jean Meslier, pubblicato dopo la sua morte, ha riscosso grande successo ed è stato tradotto in molte lingue. Il suo pensiero ha alimentato l’anima della Rivoluzione francese. Ci sono statue di Meslier in giro per il mondo e figurati che i russi l’hanno osannato, a loro volta, come il padre della Rivoluzione. Nel suo Testamento ci sono passaggi che precedono di oltre un secolo le parole finali del Manifesto di Marx: “Proletari di ogni paese unitevi”, scrive questi, e Meslier: “Popoli della Terra, trasformate tutto il vostro odio e tutta la vostra indignazione contro i vostri comuni nemici, contro tutti i detestabili tiranni e contro tutta quella fiera e orgogliosa razza di gente che vi opprime, che vi rende miserabili e che vi rapina e vi strappa dalle vostre mani tutti i migliori frutti dei vostri penosi lavori”, “Mémoire de le Curé Meslier”, pp. 100 e 103.

Il prete di Etrépigny non era solo un eretico, era anche un rivoluzionario, uno che si batteva per gli oppressi della Terra. E vuoi sapere una cosa, Rossi? Vuoi proprio saperlo? Ebbene, di Jean Meslier, qui in Italia, non soltanto non è stato tradotto nulla, ma non si trova neppure il suo nome nella Treccani. Invece, ne “lo Zingarelli minore”, un dizionarietto da quattro soldi della lingua italiana, trovi già il nome di papa Karol Wojtyla!

Noi, amico mio, i personaggi che hanno più aiutato l’uomo ad aprire gli occhi alla realtà per com’è e non per come l’Indifferenza divina vuole che sia, noi, questi personaggi, li cancelliamo dalla faccia della Terra, se possiamo. Al contrario, quelli che fanno rimbalzare il mondo indietro, magari nel folto del Medioevo, magari nel periodo più oscuro della storia umana, noi, questi personaggi li lodiamo, mettiamo il loro nome in tutte le nostre pubblicazioni, stravediamo per essi.

C’È QUALCOSA, Rossi, QUALCOSA D’IMMENSAMENTE  CANCEROGENO nel Paese della Santa Santissima Terra Italica e noi ne andiamo addirittura fieri!

 

Jack Brock e Francesco Forgione

Adesso voglio riportarti brevemente due casi recenti. Il primo è quello di Harry Potter, un personaggio fiction della letteratura per bambini. Ascolta. Qualche tempo fa, in America, nel New Mexico, Jack Brock, fondatore e pastore della chiesa di Cristo, ha bruciato, il 31 dicembre 2001, i libri di Harry Potter sostenendo ch’erano un capolavoro d’inganno satanico! Come vedi, Rossi, per questi signori, persino i libri per bambini diventano libri satanici, libri da mettere al rogo! Come si dice: il lupo perde il pelo, ma non il vizio.

L’altro caso è il miracolo di padre Pio (Francesco Forgione) in Sicilia. Quest’isola, in men che non si dica, ha fatto esplodere in tutta Italia il grido del miracolo di padre Pio. Poi, mentre le pecorelle, quelle che credono ma non capiscono, correvano e si ammucchiavano attorno alla statua del Santo e altri lasciavano le loro dimore per recarsi nel luogo miracolato e altri ancora venivano curati dal generoso Santo Santissimo Padre Pio, ecco la crudel notizia: una madre telefona al giornale locale dichiarando che suo figlio, un drogato, aveva annaffiato il Santo di sangue umano.

Puoi immaginare la delusione dei devoti. Anche padre Pio, dopo la secca smentita della madre del drogato, ha cessato, guarda caso, di fare miracoli. Roba da non credere, Rossi. È bastata la voce ferma d’una donna per intimorirlo, per togliergli la magia dei miracoli. Così, tutto tacque tanto in fretta quanto in fretta era esploso.

E ti pare la cosa giusta da fare? Perché, invece di insabbiare la vicenda in fretta e furia, perché non creare uno scandalo nazionale, europeo, mondiale, galattico, buttare tanta cacca sul volto dei pecoroni e di quelli che li sostengono di modo che, la prossima volta che qualcosa del genere si verifichi, prima che i pecoroni si facciano abbindolare così ingenuamente, così mandrianamente, così asininamente, ci penserebbero, almeno pour une fois, un po’ sopra? Dopo tutto, un po’ di orgoglio e di cervello ce l’hanno anche le pecore o no? Invece non è stato fatto niente, invece tutto è stato insabbiato in men che non si dica.

È meglio parlare fino alla nausea del delitto di Cogne che svelare l’ignoranza nazionale. Questa deve rimanere nascosta, così ogni sacco di merda che cammina per le strade del Paese dei miracoli può illudersi di essere il più intelligente caccone d’Europa. È meglio continuare a parlare del delitto di Cogne, invitare sera dopo sera a parlare in tv strizzacervelli criminologi avvocati giornalisti vescovi scrittori preti poliziotti e vattelapesca, e dare, in questo modo, un altro tipo di spettacolo che poi, in fondo in fondo, è tanto volgare e oppioso quanto, con rarissimissime eccezioni, un qualsiasi altro.

No, Rossi, gli intellettuali e i giornalisti della Santa Santissima Terra Italica, quelli al servizio del regime di turno, non parlano di Francesco Forgione, parlano di madri che ammazzano i figli e di figli che ammazzano le madri. È un argomento, questo, molto eccitante, molto alla moda: orgoglio nazionale!

Voglio riportarti parte dell’articolo pubblicato dalla Stampa di Torino nel marzo del 2002, sul miracolo di padre Pio. “Da una giovane devota è arrivato il primo segnale di “miracolo”. Lei, che ha un fratello ricoverato in rianimazione al policlinico dopo un incidente, alle 19,25 di martedì si è inginocchiata davanti alla statua di bronzo, pregando perché Padre Pio salvasse il fratello: “Quando stava per andarsene, ha alzato gli occhi, ha fissato il volto di Padre Pio e ha visto una lacrima dall’occhio sinistro”. A raccontarlo è la cugina Enza, testimone oculare, che si trovava con la ragazza nel momento della “lacrimazione”. “Eravamo in 6 o 7 persone, ricorda Enza. Sono sgorgate lacrime anche dall’altro occhio. Ero incredula, stupita, ma con un grande senso di conforto. Quando sono andata via mi sono girata verso Padre Pio per salutarlo e ho colto nel suo viso un’espressione calda, accogliente, quasi un sorriso benevolo”. La notizia ha fatto il giro della città (Messina) e in serata davanti alla statua si erano radunate migliaia di persone. La gente arriva, si ferma, molti s’inginocchiano, tanti tirano batuffoli di cotone nel caso in cui il fenomeno dovesse ripetersi. Si racconta che una donna durante i momenti della lacrimazione si sia sentita male e sia finita in ospedale, di un’altra che ha toccato la statua e si è bruciata perché scottava; c’è chi giura di avere visto cambiare l’espressione del viso. Un ragazzo racconta: “A un certo punto è andata via la luce e ho visto nel cielo una palla rossa, è accaduto ben due volte”.

Connesso a quello che ha detto il ragazzo, voglio farti leggere un passaggio del Vangelo secondo Matteo, preso dal libro di Pepe Rodríguez, “Verità e menzogne della Chiesa cattolica”: “E Gesù, emesso un alto grido, spirò. Ed  ecco  il  velo  del  tempio  si  squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: “Davvero costui era Figlio di Dio!”.

Questa testimonianza, commenta l’autore, ispirata da Matteo, può dar adito a due sole conclusioni: o il racconto è una menzogna assoluta – e perciò è un’invenzione anche tutta la storia della resurrezione – o l’umanità di quell’epoca presentava il più alto tasso di imbecillità immaginabile.

L’imbecillità di quell’epoca, dice Rodríguez. Perché, domando io, nella nostra epoca, le cose sono poi tanto cambiate, soprattutto nel Paese dei miracoli, cioè nel paese della Santa Santissima Terra Italica?

Edmondo Berselli, in “Post italiani”, riportando e commentando un passo di Boncompagni, scrive: “Dal punto di vista dei rapporti uomo-donna la nostra è la stessa civiltà contadina di duemila anni fa”, in cui “il maschio è terribile, antico e ignorante” e dove il più persuasivo schema di giudizio trasmesso di padre in figlio è “la ragazza che ci sta è una troia, quella che non ci sta è una stronza”. Figuriamoci poi, Rossi, quando si tratta di trasmettere idee metafisiche, religiose, di Dio, cosa mai i genitori possono insegnare ai loro figli!

Per la mentalità del gregge, il concetto di Dio rimane totalmente al di fuori della sua portata, totalmente incomprensibile. Buio assoluto. Perché? Perché, il gregge, privo com’è di un’educazione storica, critica, filosofica, l’accetta e basta.

Voglio accennarti ad un altro nostro caro personaggio: Giovanni De Barba ossia, come più comunamente viene chiamato, il mago di Sanremo. Ebbene, questo signore, Rossi, ascolta, vendeva (e forse vende ancora), vendeva case, appartamenti, ville, stanze ecc., per decine e decine di milioni di vecchie lire, e sai dove?

“In paradiso!”

Bravo, Rossi, proprio così, in paradiso. Cerca di capire però, ti prego, ti prego, ti prego, cerca di capire, perché la cosa, se ci rifletti, e devi rifletterci, altrimenti sei un animale, è sconvolgente, è incredibile, è degradante, è un insulto nazionale! Oggi, Rossi, oggi in Italia c’è gente che si compra una casa, non sulla costa Azzurra, non in montagna, ma in paradiso!

 

I miracoli

“È detto, scrive Jean Meslier, che San Frascesco d’Assisi ordinava alle rondini e alle cicale e spesso anche ai pesci, ai conigli e alle lepri di venire a mettersi nelle sue mani e sul suo grembo”, Armand Farrachi ne “Mémoire de le Curé Meslier”, pp. 69-70.

“È detto, continua Meslier, che San Francesco da Paola (San Francesco da Paola nacque a Cosenza nel 1416) ha compiuto un’infinità di miracoli durante e dopo la sua morte. Cacciò, dicono, parecchi diavoli dal corpo dei posseduti. Ridiede la vista ai ciechi. Guarì gli zoppi e gli afflitti. Resuscitò i morti. Fece partorire madri sterili. Il pane che questo santo benediceva, i vestiti e gli stracci rattoppati, la corda che gli serviva da cintura, l’acqua con cui lavava i suoi piedi e le sue mani: in breve, tutto ciò che lui toccava serviva da rimedio alle malattie e alle avversità e di sollievo alla fatica. Parlava con gli animali (come san Frascesco d’Assisi) come se fossero persone e li chiamava fratelli e sorelle, ed essi obbedivano a tutto quello che lui ordinava (come obbedivano a san Francesco d’Assisi), testimoni le pecore e le cicale che lui chiamava sue sorelle, e gli uccelli che chiamava i suoi fratelli e ai quali predicava come se avessero avuto l’intelligenza di capire ciò che lui diceva. Il corpo di questo santo, dicono, rimane sempre ritto in piedi senza appoggiarsi da un lato o dall’altro. Ha sempre gli occhi aperti come un uomo vivo, gli occhi un po’ alzati al cielo. Dicono anche che il suo corpo è sano e integro, senza alcuna deformazione, bello e colorito come se fosse ancora vivo. È detto che Dio favorì san Francesco da Paola con così grande abbondanza di grazie che sembra averlo fatto signore di tutte le creature. Il fuoco, l’aria, l’acqua e la terra, gli ammalati, la morte, gli animali, gli uomini e i diavoli tutti sottomessi alla volontà di questo santo personaggio, perché lui liberò, dicono, parecchi posseduti, ridiede la vista ai ciechi, la parola ai muti, guarì malattie incurabili, resuscitò i morti, anche gli elementi gli ubbidivano. Il fuoco perdeva la sua forza se lui ci camminava sopra e lo teneva nelle mani senza bruciarsi. Entrò, dicono, in una fornace ardente e spense le fiamme che non si azzardarono a toccarlo. Attraversò il mare dalla Calabria in Sicilia (lo stretto di Messina), insieme al suo compagno, sul suo mantello che stese sopra le acque e che gli servì da barca. Oltre a tutto ciò, ebbe il dono della profezia e di un’infinità di altri simili miracoli che sarebbe troppo lungo riportare qui”, pp. 73-74.

Cos’altro dire, amico Rossi, eccetto che il nostro passato è fatto di miracoli, mentre il nostro presente è diventato un incubo, e tutto questo grazie ai miracoli dell’Indifferenza divina!

 

A situazioni estreme, atti estremi

Ho letto una volta di un ometto che aveva una gran paura del fuoco. Una sera, ritornando a casa dal lavoro, trovò la sua casa in fiamme e moglie e figli intrappolati dentro. Non esitò un solo istante, malgrado la paura, a buttarsi tra le vampe in cerca dei suoi cari. I pompieri non erano ancora arrivati. Fuori la gente che si era fermata a guardare continuava ad accalcarsi, curiosa e terrorizzata contemporaneamente. L’ansia cresceva. L’uomo, il piccolo uomo, quello che aveva tanta paura del fuoco, ahimè!, non ne uscì più. Più tardi i pompieri lo portarono fuori, anche lui carbonizzato insieme al resto della sua famiglia.

Un altro esempio è quello di una madre che, mentre portava i figli a scuola in macchina, in una curva, per via della strada gelata, scivolò, sbandò, si capovolse. Uno dei figli restò incastrato sotto l’auto. Non c’era nessuno ad aiutarli. La donna, presa dal terrore di vedere il figlio schiacciato, riuscì a sollevare l’auto, una Volvo!, e a salvarlo.

Cosa vuol dire questo, Rossi? Vuol dire che, a situazioni estreme, atti estremi. È stato un atto estremo per l’ometto che aveva una gran paura del fuoco quello di buttarsi tra le fiamme per salvare la famiglia; è stato un atto estremo per la madre trovare la forza di sollevare la Volvo per salvare il figlio. Lo stesso discorso vale in molte altre situazioni simili. In situazioni disperate, le forze si concentrano al massimo e, a volte, riusciamo a fare cose che possono sembrare incredibili, addirittura miracolose.

È il caso di alcuni ammalati che, abbandonati dalla medicina formale, presi dall’ansia, dal desiderio di volersi curare a tutti i costi, tentano vie alternative. Quando, infine, si trovano a Lourdes, di fronte a padre Pio o al santone di turno, per dimostrare la loro cieca credenza e la loro buona volontà di volere essere curati, compiono sforzi inauditi, impressionanti, riescono ad alzarsi, a volte, dalla sedia a rotelle o dal letto e a muovere qualche passo. E questo basta per gridare al miracolo!

Glissez mortels, n’appuyez pas, scrive Sartre. Infatti, non infieriamo più di tanto sui miracoli e cerchiamo invece di capire meglio il comportamento di coloro che hanno bruciato i libri di Harry Potter e fatto esplodere la notizia del miracolo di Francesco Forgione, ovvero padre Pio. Tu capisci, tu capisci, Rossi, che il loro è un continuo grido nel deserto, un grido che in duemila anni di storia cristiana non ha mai trovato eco, risposta, un piccolo segno di comunicazione, di presenza. Per duemila anni si è sentito il grido disperato dei credenti da ogni parte del mondo e, come risposta, il silenzio più assoluto, un silenzio tombale, oppressivo, globale, cosmico. Mai, in quello che più sta a cuore a questa gente, mai un piccolo cenno è venuto ad essa dal suo Dio, mai una goccia d‘acqua, nell’arido deserto in cui viaggia, ha inumidito il suo viso. Dio il Muto non dà segni di vita. E così la gente aspetta e aspetta e aspetta un suo segno, una sua parola, un suo miracolo, ma, fino ad ora non l’ha mai ricevuto, solo un silenzio insopportabile, tirannico, cimiteriale.

Allora, in queste condizioni, tu capisci che credere, sperare in qualcuno è nevrosi, è patologia, è follia, oltre che una perpetua frustrante delusione. Puoi immaginare l’insoddisfazione che si nasconde nel loro cuore, puoi capire il loro fanatismo e tutto il nonsense e l’accanimento che questo silenzio produce. I libri al fuoco e i miracoli sono sintomi, spunti, allarmi di piccoli atti demenziali ed esasperati di gente che non sa più darsi pace nel vedersi sempre beffata e delusa nei suoi più intimi desideri. Il diabolico, però, in tutto questo è che, nonostante ciò, continua a credere, a prostarsi di fronte agli idoli di cartapesta.

 

Voglio parlarti, in quello che segue, Rossi, di Fatima, dell’Opus Dei, di padre Tissa Balasuriya, degli omicidi che sono avvenuti in Vaticano nel 1998 e di come funziona il colosso Cristocatto.

 

 

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