L’Indifferenza divina (16)

Cerchiamo di capire meglio

Tradizione, autorità, rivelazione. Richard Dawkins, ne “Il cappellano del Diavolo”, una raccolta di saggi, scrive una lettera a sua figlia decenne e la intitola “Una preghiera a mia figlia: buone e cattive ragioni per credere.” In questa lettera le parla di tradizione, di autorità, di rivelazione. Queste tre parole hanno, tra l’altro, un doppio senso, si possono interpretare sia negativamente che positivamente. Ad esempio, la tradizione, nel senso linguistico è positiva. Ognuno di noi trasmette la sua lingua ai propri figli. L’autorità, quando viene usata con giudizio, è positiva: “Hai un cancro, voglio che ti operi!” La rivelazione, che Dawkins traduce con sensazione, quando invece un religioso la traduce con rivelazione. Ebbene, anche questa può essere sia positiva che negativa. La sensazione che uno prova per l’essere amato, è positiva: sento che lui mi ama.

La parte negativa, Rossi, di queste tre parole, tradizione, autorità, rivelazione, te la faccio spiegare da lui. Iniziamo con la “tradizione”.

“I cattolico-romani, scrive Dawkins, credono che Maria, la madre di Gesù, fosse così speciale che non morì ma fu assunta fisicamente in cielo. Altre tradizioni cristiane non sono d’accordo e sostengono che Maria morì come chiunque altro. Gli esponenti di queste altre tradizioni religiose non parlano molto di lei e, a differenza dei cattolico-romani, non la chiamano la “Regina del cielo”. La tradizione secondo cui il corpo di Maria fu assunto in cielo non è molto vecchia. La Bibbia non dice niente su come o quando ella sia morta; di fatto, la povera donna è scarsamente menzionata nella Bibbia. La credenza che il suo corpo sia stato sollevato in cielo risale a circa sei secoli dopo il tempo di Gesù. All’inizio, fu semplicemente inventata, nello stesso modo in cui è stata inventata qualunque storia come ‘Biancaneve’. Ma con i secoli diventò una tradizione, e la gente iniziò a prenderla sul serio solo perché la storia era stata tramandata per così tante generazioni. Più vecchia diventava la tradizione, più le persone la prendevano sul serio. Infine, fu definita come una credenza cattolico-romana ufficiale solo molto di recente, nel 1950. Ma la storia non era più vera nel 1950 di quanto non lo fosse quando fu inventata la prima volta, seicento anni dopo la morte di Maria”.

L’ “autorità”.

“Quando dico che fu solo nel 1950 che ai cattolico-romani fu detto infine di credere all’assunzione in cielo del corpo di Maria, intendo che nel 1950 il Papa dichiarò alla gente che doveva credervi. È andata così. Il Papa disse che era vero, così doveva essere vero! Ora, probabilmente, tra le cose che il Papa ha detto nel corso della sua vita alcune erano vere e altre no. Non v’è nessuna buona ragione per cui, solo perché egli era il Papa, si dovesse credere a qualunque cosa dicesse, nessuna ragione in più rispetto a quelle di cui disponiamo per giustificare la nostra credenza nelle parole di molta altra gente. Il Papa Giovanni Paolo II ha ordinato ai suoi seguaci di non limitare il numero dei loro bambini. Se la gente si sottomettesse servilmente alla sua autorità nella misura in cui lui desidererebbe, i risultati potrebbero essere terribili carestie, malattie e guerre, causate dal sovraffollamento”, p. 330.

“L’autorità, come ragione per credere in qualcosa, significa credere perché qualcuno di importante ti dice di farlo. Nella Chiesa cattolico-romana, il Papa è la persona più importante e la gente crede che egli debba avere ragione solo perché è il Papa. In un ramo della religione musulmana le persone importanti sono vecchi con la barba, chiamati Ayatollah. Molti giovani musulmani sono pronti a commettere omicidio, puramente perché gli Ayatollah da un paese lontano dicono loro di farlo”, pp. 329-330.

La “rivelazione”.

“Il terzo tipo di cattiva ragione per credere in qualcosa è chiamato ‘rivelazione’. Se nel 1950 si fosse chiesto al Papa come sapesse che il corpo di Maria scomparve in Cielo, egli probabilmente avrebbe detto che gli era stato ‘rivelato’. Si rinchiuse nella sua stanza e pregò di essere guidato. Pensò e pensò, tutto per conto proprio e diventò sempre più sicuro dentro di sé. Quando i religiosi sentono dentro di sé che qualcosa deve essere vero, anche in assenza di qualsiasi evidenza di verità, essi chiamano la loro sensazione ‘rivelazione’. Non sono solo i papi che rivendicano di avere rivelazioni. Molti altri religiosi lo fanno. È una delle loro principali ragioni per credere in quello in cui credono. Ma è una buona ragione?”, pp. 330-331.

Dawkins conclude dicendo:

“La credenza che vi sia un dio, o degli dèi, la credenza nel Paradiso, la credenza che Maria non morì mai, la credenza che Gesù non ebbe mai un padre umano, la credenza che le preghiere vengano esaudite, la credenza che il vino si trasformi in sangue – non una sola di queste credenze è sostenuta da alcuna buona prova. Eppure, milioni di persone credono a tutto questo. Forse, perché qualcuno ha detto loro di farlo quando erano abbastanza giovani per credere a qualunque cosa”, 333-334.

Come vedi, Rossi, la massa, la massa degli adulti bambini, accetta queste parole – tradizione, autorità, rivelazione – come la Chiesa gliele propina e così l’inganno continua.

Qual è la differenza tra religione e superstizione?

Nessuna, risponde Orazio Guglielmini. Proprio così, Rossi, nessuna. Tutto cibo preso dallo stesso desco. Tra superstizione e religione c’è solo una differenza di opinione, non di contenuto. Entrambe, religione e superstizione, si nutrono del soprannaturale: ossia, da una parte si crede a Dio e dall’altra a Satana.

“Il legame tra superstizione e religione è costante e forte in ogni epoca e in ogni religione, ma lo fu particolarmente nella vicenda delle streghe, che erano un’altra faccia della religiosità. Sia le streghe (o i “maghi”) sia i religiosi partono dal principio che la vita è dominata da forze superiori, spiriti, dèi. Streghe e futuri santi sono in contatto diretto con queste forze superiori e ne ricevono poteri soprannaturali. Ma i religiosi, garantiti dalla Chiesa, hanno il monopolio delle forze buone, alle streghe restano solo quelle cattive”, Giordano Bruno Guerri, “Gli italiani sotto la Chiesa”, p. 111.

In altre parole, se si crede in Dio o in san Rocco, allora la si chiama religione; se si crede all’astrologia o al gatto nero, allora diventa superstizione. In realtà chi dice religione dice superstizione e chi dice superstizione dice religione, il resto è retorica, retorica vuota.

Cosa vogliono dire religiosità e spiritualità? Queste due parole, in un certo qual modo, ti riguardano, Rossi, fanno parte del tuo patrimonio biologico-culturale. La religiosità è una parte integrante della nostra biologia culturale (ti spiegherò strada facendo cosa intendo per “biologia culturale”). Come dire, è quel sentire che emerge nel contemplare il mondo che ci avvolge. “Il cervello secerne il pensiero come il rene secerne l’urina,” diceva il fisiologo olandese Jakob Moleschott. Allo stesso modo l’esperienza secerne la religiosità dalla vita, proprio come il rene secerne l’urina. Un tramonto, una serata a passeggio con l’amata, la nascita d’un figlio, la contemplazione d’un paesaggio fanno scaturire forti emozioni che, via via, si trasformano in visione del mondo e, infine, si cristallizzano in noi diventando spiritualità. Religiosità e spiritualità, che press’a poco vogliono dire la stessa cosa, fanno parte della nostra esperienza esistenziale. La religione no, perché la religione, intesa cristianamente, è rivelazione, artificio, falsità.

Cosa vuol dire ritualità? Ritualità è uguale a sterilità. È qualcosa di fissato per sempre dalla tradizione. È un rito! È l’opposto di tutto ciò che è dinamico e vivente. I preti sono i custodi dei riti, amano i riti perché amano la morte. In loro si annida, più che in qualsiasi altro essere della Terra, la pulsione di morte.

Odifreddi spiega la ritualità così: “Per dirla con Freud, la ritualità religiosa è la manifestazione di una nevrosi collettiva, e la nevrosi individuale è l’espressione rituale di una religione personale”. Un po’ più avanti: “Come già disse Platone nelle Leggi (X, 909d), l’idea che ci si possa ingraziare una divinità con offerte e preghiere la riduce infatti alla stregua di un cane da guardia che si può ammansire con un boccone di cibo, e la pone al di sotto degli uomini retti che non tradiscono la giustizia accettando bustarelle e tangenti. In una parola, per Platone la ritualità era una forma volgare di ateismo, peggiore delle credenze che la divinità non esista, o che esista ma non si curi degli eventi umani”, “Il Vangelo seconda la Scienza”, pp. 19-20.

Che cos’è la Trinità? Per quello che mi riguarda, è il colmo del grottesco, un insulto all’intelligenza e all’uomo di buon senso. Certo, non per Agostino che ci scrisse quindici libri! In ogni modo, cosa sono Padre Figlio e Spirito Santo? Aria fritta. Niente di niente. Vogliono farci addirittura credere, Rossi, a cose del genere: che da Elohim venne fuori El, da El, Geova, da Geova, Dio, da Dio, Gesù. Questi si fece carne, si fece uomo, divulgò il suo credo, si lasciò crocifiggere, morì, resuscitò, ritornò ad essere di nuovo spirito, divenendo Padre Figlio e Spirito Santo! Su, dai, cazzo!

E poi cosa vuol dire consustanzialità? Vuol dire cannibalismo, vampirismo stile cristiano, perché, in realtà, di cannibalismo e di vampirismo si tratta. Quando ai fedeli viene somministrata l’ostia sacrificale durante la comunione (nell’ostia ci sono il corpo, il sangue, l’anima e la divinità di Cristo), questi, simbolicamente, si mangiano Cristo. Questa è necrofagia, teofagia e, in ultimo, abominio.

Ma insomma! C’è un limite? Fino a che punto si possono prendere per il culo gli esseri umani?

 

Gusci vuoti alla mercè dei preti

Il problema è che ormai la gente è diventata sorda, cieca, stolta. Si adegua. I rappresentanti dell’Indifferenza divina questo lo sanno benissimo e ne approfittano. Hanno sempre approfittato dell’ignoranza della gente. Continuano a farlo.

E poi, come fai a non crederci? Non appena nasci, ti battezzano; non appena incominci a camminare, ti portano in Chiesa; non appena incominci a balbettare, t’insegnano il catechismo; quando sei un po’ più cresciutello, ti fanno fare la cresima; continuano a portarti in Chiesa, t’insegnano come devi comportarti in questo edificio; inizi ad andare a scuola, anche qui cominciano ad insegnarti la religione; tutti: i genitori a casa, gli insegnanti a scuola, i preti alla parrocchia, poi nei testi sacri, poi nella letteratura religiosa, poi l’Angelus, poi in televisione, poi, via via che cresci, scopri che c’è la via san Finocchio, la festa in onore di santa Shittotta e la piazza san Filiberto Pilpecco, per non parlare di tutti quei cadaverini crocifissi in ogni aula scolastica, in ogni camera di ospedale, in ogni tribunale.

Non è finita qui. Ci sono madonne ad ogni angolo di strada, croci sui monti, e scritte che ti assaltano dicendo: Dio c’è! Il punto esclamativo andrebbe eliminato, dato che c’è. Non puoi dare uno sguardo in giro senza vedere qualche impronta religiosa; non puoi fare un passo senza scontrarti con la favola divina. In breve, nella Santa Santissima Terra Italica, tutto è religione.

Di più. Continui ad andare in Chiesa e la vigilia di Natale e il giorno di Natale e il giorno di Pasqua e il giorno che ti sposi e il giorno che ti seppelliscono (quest’ultima volta, almeno, non sei tu che ci vai, ti ci portano!). Come vuoi, allora, come vuoi che qualcuno metta in dubbio tutte le cose che gli sono state inculcate nel cervello e sparate negli occhi sin dalla nascita?

La stragrande maggioranza del popolo nella Santa Santissima Terra Italica è irrimediabilmente oppiato, condizionato, fottuto per sempre in qualcosa che non ha mai suscitato dubbi sulla sua esistenza, a causa della micidiale dose d’indottrinamento ricevuto. Ormai, passivamente, il popolo accetta tutto, ingloba tutto nel suo guscio vuoto, dalla nascita alla tomba, senza mai chiedersi perché si creda in questo e perché in quest’altro.

Ascoltare per l’ennesima volta le stesse parole, le stesse storie, trascorrere tutta la vita senza capire proprio nulla di una cosa così fondamentale, dev’essere molto frustrante oltre che debilitante. I credenti non possono che sentirsi svuotati, privi delle loro energie, a causa della loro persistente attenzione rivolta verso un quid indifferente. Ad esempio, quando c’è un problema grave in famiglia – un bambino si è ammalato gravemente; uno si trova in una situazione economica disastrosa; sta per arrivare una tempesta ecc. – il credente invoca Dio che gli venga in aiuto, ma Costui non lo fa. E come potrebbe se è indifferente all’esistenza altrui? Allora il credente, che si vede il figlio morire fra le braccia, si sente tradito, si sente solo, abbandonato, disperato. Nonostante ciò, invece di reagire, di cercare di capire, continua a credere, a fare il pecorone, ad andare in Chiesa!

Questo è ipnotismo, Rossi, non credenza. I credenti sono ipnotizzati, oppiati, stregati, condizionati a credere ma non a capire. Il loro cervello, nei confronti della religione, è zero assoluto. A questo punto viene accettata e praticata a livello inconscio, diventa parte dell’ignobile routine.

La spaccatura tra i concetti religiosi e i credenti è totale. S’illudono che non sia così, perché non hanno mai cercato di capire. Credono ma non capiscono. Vanno in chiesa pensando di investire in un’altra vita futura, mentre, in realtà, sprecano quella che hanno. Crescono fisicamente ma non maturano spiritualmente. Rimangono infantili, perché devono rimuovere i loro veri sentimenti e adottare un credo che li svuota senza che se ne accorgano.

Vanno in Chiesa come tanti imbecilli, si fanno il segno della croce come tanti idioti, si inginocchiano davanti a statuette di cera come tanti cretini, guardano davanti a sé come tante oche, aprono la bocca come tanti zombi, masticano Cristo come tante bestie masticano il foraggio, ascoltano le parole del prete come tanti allocchi, fanno i santi come tanti babbei.

La loro, in realtà, non è fede, È IGNORANZA. Viviamo ormai in un mondo popolatissimo di deficienti. Tra un robot che mette sempre lo stesso bullone e uno che esegue sempre lo stesso gesto, il segno della croce, non c’è differenza, perché non capisce nulla del nonsense che si nasconde dietro il suo gesto, come il robot che esegue manovre meccaniche senza esserne consapevole. Il robot però svolge un lavoro utile; il credente logora se stesso inutilmente.

 

Il cane e il gregge

Questo tipo di credenti, anche se al nocciolo la colpa non è loro, noi li definiamo, Rossi, d’ora in avanti, come coloro che non sanno da che parte sta il culo e da che parte sta la vagina. La ragione di questa definizione è semplice. Tra il gregge, come viene giustamente chiamato, e il cane, non c’è differenza. Il primo bela, fa bla bla, il secondo abbaia, emette lamenti; il primo ubbidisce al prete, il secondo ubbidisce al padrone; il primo crede in Dio anche se lo imbroglia, il secondo nel suo padrone anche se lo bastona; il primo muore servo di un’invenzione, il secondo servo del suo padrone.

Che cosa potrebbe allontanare il gregge dall’impostura religiosa? La conoscenza. Cosa potrebbe allontanare il cane da un cattivo padrone? La conoscenza. E non ce l’hanno, né l’uno né l’altro. Perciò, noi definiamo il gregge come il branco che non sa da che parte sta il culo e da che parte sta la vagina.

Eppure, Rossi, c’è qualcosa, qualcosa di paradossale che contraddice questo condizionamento asinino di gran parte dei mortali. Prendi, per esempio, quando comprano un’auto: si informano sul prezzo, sulle sue prestazioni, no? Quando vanno in vacanza in questo o in quel posto, chiedono informazioni e leggono i catologhi, no? Quando scelgono il medico di famiglia si informano se è un buon dottore, no? Allora, perché non dovrebbero informarsi anche sull’esistenza di Dio e sulla religione? Se chiedono informazioni su tutto ciò che fanno, perché non dovrebbero fare altrettanto anche sulla cosa più importante che hanno: la vita?

Questa, invece, ahimè, la consegnano ai preti senza un perché, come se fosse uno straccio. Accettano l’oppio religioso senza mai metterne in dubbio il suo paralizzante effetto, senza mai riflettere un solo istante se sia vera o falsa la manfrina che i preti raccontano loro. Il fatto è che, su certe cose, la maggioranza dei mortali non s’interroga e diventa così un facile recipiente, un recipiente passivo e vuoto alla mercé dei preti.

 

Gli shit head

Gli shit head, teste di merda, è così che li chiama Bukowski. Scrive ne “Il Capitano è fuori a pranzo”: “La cosa terribile non è la morte, ma le vite che la gente vive o non vive fino alla morte. Non fanno onore alla propria vita, la pisciano via. La cagano fuori. Muti idioti. Troppo presi a scopare, a vedere film, a fare soldi, e famiglia, e mangiare. Hanno la testa piena di ovatta. Mandano giù Dio senza pensare, mandano giù la patria senza pensare. Dopo un po’ dimenticano anche come si fa a pensare, lasciano che siano gli altri a pensare per loro. Hanno il cervello imbottito di cacca. Sono brutti, parlano male, camminano male. Gli suoni la grande musica dei secoli ma loro non la sentono”.

La gente ha il cervello imbottito di cacca, dice Bukowski, e un cervello imbottito di cacca, oltre a non essere all’altezza di pensare, puzza anche. Il cervello degli shit head è una cloaca, un mare sterminato di merda. Gli shit head credono, ma non capiscono. Non sono, però, persone necessariamente stupide. Sono state solo condizionate sin dalle fasce a non riflettere su certe cose. Queste, via via, sono diventate per loro tabù. Uno di essi è la religione: l’accettano senza domande e senza perché. È per questo che Bukowski li ha definiti shit head, teste di merda, perché, se c’è una cosa su cui bisognerebbe riflettere a fondo, questa è proprio la religione. Su questa uno ci investe la propria vita!

Come si può consegnare la propria vita ai preti senza prima cercare di capirci qualcosa? La vita è tutto quello che abbiamo. Qualsiasi altro bene al confronto è uno zero assoluto. Tutto sparisce: ricchezza, potere, bellezza, amore, giovinezza, di fronte al bene supremo che è la vita. Se questa non c’è, nulla c’è. È per questo che non possiamo delegarla a nessuno.

In altre parole, non possiamo morire con la verità degli altri. Né con quella di Platone, né con quella del papa, né con quella del dalai lama e tanto meno con quella di Einstein. Dobbiamo morire con la nostra verità. Non ha importanza quanto insignificante, purché sia nostra. È l’unica ad avere un senso, il senso che noi, noi diamo alla nostra vita.

Eppure, gli shit head, quelli che non sanno da che parte sta il culo e da che parte sta la vagina, consegnano questo bene supremo ai preti senza neppure chiedersi un perché.

 

Conoscenza sana e abracadabra biblico

Vedi, amico mio, la differenza tra realtà e irrealtà è enorme. Quando tu, ad esempio, studi un oggetto reale, via via che lo studi, si forma in te una conoscenza della sua sostanza intesa empiricamente. Il tuo corpo e la tua mente, che poi sono tutt’uno, ne assimilano la sostanza in modo naturale, armonico e si sentono una sola cosa con essa. Questa “cosa” si trasforma in conoscenza e questo tipo di conoscenza è balsamica, è salutare, ti aiuta ad integrarti più organicamente e profondamente con la Natura e le sue leggi. Non c’è scissione tra te e la materia, tra te e la sostanza in questione. Ad un certo punto, tu diventi il mondo e il mondo diventa te.

Un altro modo per sentirti tutt’uno con il Tutto è quello di Michael Faraday quando dice che, qualunque fenomeno, se osservato abbastanza da vicino, risulta connesso all’intero Universo. La conoscenza, dunque, quella dei fenomeni naturali, è una conoscenza sana, ti dà una grande gioia, ti riempie di entusiasmo per la vita e per tutto quello che la circonda e fa di te un re nella Natura.

Prendi, invece, la conoscenza religiosa. Questa, a dir poco, è una conoscenza velenosa, alienante, cancerogena, non ti armonizza affatto coi contenuti che ti presenta, ma te ne estranea. L’attaccamento cieco e delirante al divino ha ormai una spiegazione scientifica: “Le visioni religiose sarebbero connesse con l’epilessia del lobo temporale”, Richard Dawkins “L’illusione di Dio”, p. 168.

Gli shit head che vanno in Chiesa domenica dopo domenica, festa dopo festa, anno dopo anno, ma che non hanno comunque mai capito un fico secco delle storie che il prete racconta loro su Dio, Cristo, la Trinità, l’Eucarestia, i profeti, i santi, divengono, inevitabilmente, creature divise, schizofreniche, psicopatiche, fagocitate dal delirio mistico. Diventano tutto ciò, of course, solo se cercano di capire. Se, invece, credono bovinamente, beceramente ma non capiscono – e tanto meno cercano di capire – lo storpiamento mentale non le tocca neppure. Sono solo straniate senza saperlo. Assorbono inconsciamente l’oppio. Questo li consuma, li annienta, cancella. Le loro energie vengono succhiate via da un dio-Dracula, da una mostruosità inesistente.

Pensa anche, Rossi, alla spaccatura che c’è tra loro e le parole del prete, il quale si fa portavoce di Dio, ma che, in realtà, anche lui, proprio come il suo gregge, parla di un dio che non conosce. Il prete padroneggia un lessico religioso per averlo studiato, come un farmacista padroneggia il linguaggio dei farmaci per averli studiati e il contadino quello del suolo in cui semina il grano per averlo vangato: così lui, il prete, conosce i testi biblici solo per averli letti, riletti, studiati a modo suo e per el particulare suo, cioè della Chiesa Cristocatto. Per quello che riguarda, però, il “senso”, oltre a quello che gli ha dato lui, altro senso non c’è. Quindi, tutto quello che il prete dice sull’argomento religioso è arbitrario, è fiction, è nonsense.

C’è, però, una bella differenza tra il farmacista, il contadino e il prete. Mentre i primi due hanno a che fare con un materiale utile, reale, vero, il prete si fa portavoce di una cosa irreale, inventata, illusoria, inutile, inesistente. Non può essere paragonato agli altri due, dato che tratta un argomento privo di contenuto. Il suo è un argomento metafisico di cui lui stesso non conosce nulla di nulla, zero assoluto. Tutta la conoscenza del prete è una conoscenza fatta d’aria fritta. Costui, quando parla di cose divine, è ignorante quanto chiunque altro che stia lì ad ascoltarlo. Un somaro che raglia ad altri somari. È per questo che si dice che, nel mondo, ci sono moltissimi ciechi che trascinano altri ciechi, moltissimi pazzi che guidano altri pazzi, moltissimi stolti che conducono altri stolti, moltissimi shit head che pilotano altri shit head.

 

Il prete e il gregge: che connubio!

Quest’ultimo, il gregge, è disprezzato dal primo. Il prete non può aver rispetto per gli imbecilli e il gregge rappresenta l’imbecillità. Il prete non riconosce la sua stessa imbecillità e, quindi, pensa di distinguersi dal gregge. Si crede superiore, of course, non lo dice, ma lo pensa. Ma è così? No, non è così. Lui imbroglia il gregge raccontandogli favole, ma rimane a sua volta imbrogliato dalla favola che gli racconta. Il suo è un autoinganno bell’e buono, perciò, prete e gregge, sono due imbecilli. Il gregge, in ogni modo, lui lo rispetta, certo, ma lo fa per il suo tornaconto, non perché lo stima veramente. Le persone che potrebbe stimare sono quelle che hanno un’educazione, che sono avvedute, ma queste persone si tengono lontano dalla sua volgarità mentale. Il prete è una persona che odia: odia il genere umano. La sua unica soddisfazione, una falsa soddisfazione, è quando il gregge va in Chiesa. Dico: va! Va, perché è stato condizionato ad andare. Ad esempio, durante i funerali, i battesimi, i matrimoni, le feste. In queste occasioni, nonostante il prete conosca benissimo le ragioni per cui il gregge è lì, si scatena comunque in discorsi che non finiscono più. Parla, parla, parla. Di cosa?

In fondo in fondo, bisognerebbe avere pietà per i preti. Proprio così, Rossi: avere pietà per i preti. Soffrire piangere pregare Bogududù (fra poco ti parlerò di questo Signore) per loro. Sono creature artefatte, scosse, aliene, terrorizzate dal Boss, dal diavolo e dalla morte. Per costoro bisognerebbe costruire, non chiese, non cattedrali, non monasteri, non luoghi di culto, ma cliniche, ospedali, luoghi d’igiene mentale, perché, in realtà, sono persone malate, gravemente malate. Si dovrebbe investire su farmaci, panacee, droghe, su tutto ciò che allevierebbe la loro falsa esistenza e scienza.

 

E il resto delle religioni?

Pare che le religioni nel mondo siano tantissime. Per conto mio, Rossi, e mi pare di avertelo già accennato (non fare caso, ti prego, ormai lo sai che mi ripeto), c’è una religione per ogni essere umano. Comunque, di cristiani, sembra ce ne sia un miliardo; tra musulmani ed ebrei, un altro miliardo. Diciamo, se vogliamo essere generosi che, tra cristiani, musulmani ed ebrei, ci siano due, tre miliardi. Dunque, se sulla Terra siamo quasi sette miliardi di anime, rimangono 4 miliardi di altre umane creature che non appartengono al credo del colosso Cristocatto. E come mai? Non è stato Dio a creare Adamo, il primo uomo? Eva, la prima donna? Se tutti gli altri esseri umani della Terra sono i discendenti di questi due genitori, dovrebbero essere tutti cristiani, non trovi, Rossi? Cosa è successo se non lo sono? E se non sono cristiani, allora sono pagani, sono dannati, sono il rifiuto di Dio e della Chiesa, di conseguenza condannati all’inferno per l’eternità!

Come sempre, i conti, con l’Indifferenza divina, non tornano e non tornano mai. Forse ci sono altri dèi, altri creatori. Allora, il dio dei cristiani, a questo punto, è un piccolo dio locale, come era Jahvè all’inizio: il dio di un branco di pastori rozzi e attaccabrighe del deserto, continuamente pestati e servi degli egiziani e di altri potenti di quel tempo. Se il mondo non è stato creato solo da dio il Grande, ma da tanti altri dèi, più o meno importanti di lui, come può uno accettarlo come unico Dio?

Rossi, mister Rossi, cerca di capire, di capire, di capire le storture della favola degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani. Tu capisci l’assurdità di Dio e di tutto il resto? Se non c’è un solo Dio, allora Dio come unico Creatore è un insulto alla nostra intelligenza e a tutti gli animali della Terra, dato che ce l’hanno sempre fatto passare per l’unico Dio in assoluto. E comunque, ciascuna religione, piccola o grande, vuole che il suo dio sia unico, autentico, grande: il SUO creatore!

Niente, amico mio, basta che tu metta in funzione, non il cervello intero, neppure la metà, nemmeno un quarto, ma solo un milligrammo di esso, e questo basta, se lo utilizzi con giudizio, a smantellare tutta la favola della Chiesa. Questa, di fronte a quel milligrammo di cervello pensante, si sbriciola, crolla, diviene una serie di banalità e assurdità allucinanti.

 

Ma poi, le grandi religioni dicono la verità?

Conoscono la verità? Si sono mai interessate alla verità? E se l’unica verità che sostengono fosse solo quella d’imbrogliare gli altri? E se stessero bleffando? E se fossero d’accordo con le classi dominanti, con gli Stati predatori, coi lupi a due zampe vestiti da abiti umani nell’aiutarli a sfruttare e governare il popolo? E se dicessero solo menzogne? E se non avessero né anima né cuore? E se si nascondesse in loro qualcosa di diabolico, di machiavellico, di criminale, di satanico? E se fossero solo una mostruosità culturale? E se non conoscessero per nulla la verità? E se il loro credo corrispondesse solo al loro egoismo? Non fosse altro che la trasfigurazione del loro egoismo? E se le loro fossero solo bolle di sapone in una fiera di animali cornuti? Dobbiamo proprio essere così babbei da credere a tutto ciò che ci dicono senza cercare di scoprire se ciò che dicono risulti verità oppure no?

 

La religione è innata?

Potresti chiedermi, Rossi, dato che tutti i paesi del mondo hanno una religione, se essa è innata. Ti risponderei che, nonostante tutti i paesi del mondo abbiano sviluppato una forma di credenza religiosa, nonostante ciò, la religione non è innata. E come potrebbe esserlo? Forse che nei nostri geni, nei nostri pezzettini di carne, nelle nostre sinapsi, nei nostri vasi sanguigni c’è iscritto lo spirito religioso? Forse che nel Dna, Francis Crick e James Watson, oltre a leggere il codice genetico, hanno anche letto il nome di un Creatore? Nell’uomo biologico non c’è iscritto nulla di nulla di divino né di qualsiasi altra cosa che abbia a che fare con la nostra eredità culturale. Questa è una nostra creazione. Le religioni sono il prodotto d’una mente primitiva, infantile, ignara, credulona.

Figurati che per i Sumeri, 6000 anni fa, gli dèi erano i pianeti che viaggiavano nel cielo: Sole, Luna, Venere. L’abbiamo detto già molte volte e continueremo a ripeterlo: all’inizio non era il logos, ma l’IGNORANZA.

L’essenza dell’uomo non è divina, è bestiale. Homo sapiens non si nasce, si diventa. Nessuno oggi fantasticherebbe d’inventarsi un nuovo dio, una nuova religione. Tutto quello che allora, in quei favolosi tempi, sfuggiva al giudizio dell’uomo, lo si accreditava agli astri, agli spiriti, ai morti, al soprannaturale, agli dèi, a porci e cavoli. Era l’IGNORANZA che descriveva il tuono come il battaglio di Dio incazzato nero contro gli uomini e non il risultato di una scarica elettrica. No, la religione non è innata; la religione è solo illuminata stoltezza.

 

In quello che segue, Rossi, tra l’altro, cercheremo di comprendere qualcosa di “Meaculpa”, del fare e disfare, del dire e disdire, del vice di Dio, il papa re.

Se sei d’accordo con il contenuto di questo articolo, lettore, fallo girare e spargi la voce. Grazie.

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *