Lettera aperta ai terremotati Emiliani

Il primo novembre 1755 Lisbona è stata rasa al suolo da un terremoto. Alcuni dicono che ci sono stati 30mila morti altri addirittura 100mila, la cifra esatta non la conosceremo mai. Questa notizia ha sensibilizzato e colpito fortemente l’Europa di quell’epoca. L’uomo dei Lumi, grazie a quest’evento catastrofico, ha capito ch’era solo e che la natura poteva trasformarsi d’un momento all’altro nella sua peggior nemica.

Notizie del genere, più gravi e meno gravi, fanno parte del nostro mondo, un mondo fatto da una materia “indifferente” ai nostri gemiti, ai nostri mali, alle nostre paure. Detto diversamente, la natura non vede, non sente, non si addolora. È spietatamente sorda a tutte le nostre suppliche, grida di aiuto, soccorso. Come si dice, non ha né cuore né cervello né occhi, è cieca e mostruosamente indifferente.

Di più. Che le cose poi succedano o non succedano, non cambia nulla per essa. Non dovremmo quindi meravigliarci se uno di questi giorni ci trovassimo tutti seppelliti sotto dieci mila metri di materia cosmica oppure leggessimo sui giornali che Los Angeles è sprofondata in una voragine. Queste notizie non dovrebbero sollevare né sorprese né accuse, perché non c’è niente, nulla e nessuno da accusare, le cose stanno così.

Farci capire come funziona la natura, è compito della scienza. Infatti è l’unica che potrebbe darci una mano in certe situazioni. Deviare le meteoriti pronte a colpirci, ad esempio, prevedere i terremoti, gli tsunami, i tornado, le valanghe, le alluvioni; costruire case più sicure, insegnarci come comportarci in situazioni estreme. Quando parliamo di scienza parliamo dell’uomo: solo gli uomini possono aiutare e migliorare gli uomini.

Dobbiamo imparare ad adeguarci ad un mondo pazzo e imprevedibile, ad un mondo per com’è e non per come vogliamo che sia.

Ecco cosa scrive Voltaire sul “Poema sul disastro di Lisbona” :

“Poveri umani! e povera terra nostra!

Terribile  cumolo di disastri!

Consolatori in ognor d’inutili dolori!

Filosofi che osate gridare tutto è bene,

venite a contemplar queste rovine orrende:

muri a pezzi, carni a brandelli e ceneri.

Donne e infanti ammucchiati uno sull’altro

sotto pezzi di pietre, membra sparse;

centomila feriti che la terra divora,

straziati e insanguinati ma ancor palpitanti,

sepolti dai lor tetti, perdono senza soccorsi,

tra atroci tormenti, le lor misere vite…”

Il poema continua. Il brano qui riportato non ha bisogno di commenti. Forse solo due parole su “tutto è bene”. Sono indirizzate al filosofo Leibniz che sosteneva che vivevamo nel migliore dei mondi possibili, un pensiero il suo soggettivo, non superiore a quello dei cani di Pavlov. Voltaire, e non solo lui, aveva già capito come funzionavano le cose. Oggi, per come esse stanno, non c’è più il minimo dubbio: nessuna luce divina illumina il cielo e come dice il fisico e Nobel Steven Weinberg nel suo libro “I primi tre minuti” : “Quanto più l’universo ci appare comprensibile, tanto più ci appare senza scopo.”

In queste parole c’è tutto, per chi vuol capire. Non ci resta allora che apprendere e fare tesoro della nostra realtà. Dobbiamo. E non solo. Dobbiamo imparare ad appropriarci della nostra vita con forza e determinazione, perché la vita, culturalmente parlando, ha un valore cosmico. Ogni uomo che nasce è un universo che nasce e un universo che muore. L’uomo, se vuole essere uomo e non bestia, ha un grande dovere verso se stesso, il dovere di vivere la vita con dignità.

La lezione è chiara, allora, la natura, per com’è fatta, se può, ci ammazza. La vita, a questo punto e con questa consapevolezza in mente, diventa d’una bellezza e preziosità inestimabile, unica. Sprecarla in stupidaggini, in cose grottesche, volgari, mitologiche, sarebbe un’imperdonabile mancanza di rispetto verso la vita. È un insegnamento duro questo, ma non c’è un altro modo se vogliamo capire come funziona la natura.

È tutto? No, mai! C’è dell’altro, c’è l’amore. Noi possiamo fare molto l’un per l’altro; noi possiamo trasmetterci solidarietà, affetto, simpatia, pietà, umanità, comprensione, stima, amore e tanti altri sentimenti umani condivisi e questi ci sono di molto aiuto. Dov’altro sta la grandezza degli esseri umani se non nella conoscenza e nell’amore? Arrivare a fare d’un secondo un’eternità e d’una eternità un secondo, ecco un obiettivo degno da perseguire.

Coraggio amici Emiliani! Vi sono stato vicino dalla prima scossa e vi resterò sempre vicino. E mi raccomando, perché presto inizierete a ricostruire di nuovo il vostro paese, non sprecate, per favore, non sprecate le vostre forze, le vostre energie in ricostruzioni inutili e nocive per la mente, per la salute, per la gioia di vivere, siate umani, solo umani e questo basta e avanza!

Faccio le mie più sincere e sentite condoglianze alle famiglie delle vittime del terremoto e a tutti gli Emiliani un forte solidale caloroso abbraccio.

 

 

 

 

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