L’Indifferenza divina (17)

Portrait del boss del vaticano (III) *

A volte, viene da chiedersi, perché il papa attuale, Giovanni Paolo II, ormai ridotto ad un rudere, si ostini così ossessivamente ad andare in giro per il mondo. Di risposte, of course, ce ne sarebbero tante: megalomania, viaggi dell’ego, non paga il ticket, lo pagano quei contribuenti che gli versano l’8 per mille ecc., ma la risposta che più lo tocca da vicino è, secondo me, che lui non sopporta la sua solitudine, solitudine umana e solitudine celeste. Sono convinto che, nel suo intimo, papa Karol Wojtyla è divorato dal dubbio e, infine, dal suo stesso nonsense. Crede, e su questo non c’è dubbio, per el particulare suo. Non c’è altra ragione. Di più: è posseduto da un fanatismo d’immortalità. Vuole riempire tutti i libri di storia religiosa con il suo nome; vuole santificare cani e porci. Quando si va al sodo, però, papa Karol Wojtyla è un uomo solo, atrocemente solo. Lui non porta la parola di Dio quando va in giro per il mondo e tanto meno la solidarietà umana, porta invece la sua spettrale solitudine terrestre e celeste. Non è un uomo spirituale, è solo un uomo di potere e l’uomo di potere è solo, come lo è lui.

Viaggia, viaggia, viaggia e nessuno sembra rendersi conto che non lo fa per gli altri, ma per il suo ego. “L’egotismo, scrive Savater nel suo “Dizionario filosofico”, è l’incapacità sia teorica sia morale di prendere sul serio la realtà indipendente, la genuina alterità del mondo e degli esseri che in esso esistono. È l’egotismo che sfocia nel delirio idealistico, volontaristico e collettivistico che da circa un paio di secoli sta avendo conseguenze tanto funeste sulle idee e sulle istituzioni umane”.

Papa Karol Wojtyla è la persona più egotista del Ventesimo secolo. I suoi accaniti e ossessivi viaggi, ovunque l’accettino all’estero, sono viaggi dell’ego, viaggi che l’aiutano a sfuggire alla sua infernale solitudine: solitudine celeste e solitudine umana. Si può  essere  soli  anche quando si è circondati da una moltitudine, come lo è Karol Wojtyla.

Certo, mentre viaggia potrebbe alleviare un po’ le sue fatiche sbarazzandosi dell’oro e dei ricchi e pesanti indumenti che indossa, ma non lo fa e non lo fa perché senza oro e senza ricchi indumenti addosso, la sua immagine verrebbe meno anche di fronte a quelli che non sanno ancora da che parte sta il culo e da che parte sta la vagina. Giovanni Paolo II, sotto questo aspetto, è davvero l’immagine sputata del suo Padrone e dei suoi apostoli che andavano in giro per le strade morti di fame e indossando stracci!

Ricordo che qualche anno addietro era malato e si doveva operare. Intanto c’è da dire che, se fosse stato coerente con il suo credo, avrebbe dovuto farsi curare dal suo Dio e non dagli uomini. Ma lasciamo perdere. Dunque, si doveva operare. Non si sapeva se, alla sua età, avrebbe resistito al bisturi del chirurgo. Avrebbe potuto restare secco sotto l’operazione e, nonostante la bella prospettiva che si sarebbe aperta di fronte a lui subito dopo aver tirato le cuoia (sarebbe volato in cielo dal suo Dio), sul suo viso c’era un’espressione cadaverica, allucinante, almeno così mi era parsa nelle inquadrature televisive. Mi sono chiesto: è per la malattia o per il terrore di morire sotto i ferri? Perché, perché questa faccia così sconsolata, così funesta proprio quando era sul punto di realizzare il sogno della sua vita: incontrare il suo Signore? Almeno così dice lui, no? Di chi, allora, di chi aveva paura Karol Wojtyla? Non era stato rassicurato dal suo Dio del posto di riguardo che l’attendeva in paradiso? Non lo credeva più? Avrebbe potuto essere imbrogliato appena tirate le cuoia? Ma allora che uomo di fede è? Kant dice che l’unica fede degna di rispetto è quella per cui uno è pronto a morire per ciò in cui crede. E lui, Giovanni Paolo II, non è pronto a morire per ciò in cui crede? E poi, quelli come lui, non considerano questo mondo solo come un luogo di transito? E poi, quelli della sua età, non dovrebbero essere già pronti e maturi per la morte? Ma insomma, che uomo di fede è Karol Wojtyla?

Non è, amico Rossi, credimi, non è tanto la religione che bisogna capire, quanto gli uomini che l’hanno inventata. La verità è che il potere religioso è un potere politico e nulla più. Togli la politica dalla religione e la religione è morta. Il potere, però, va degustato insieme alla solitudine, solitudine terrestre e solitudine celeste.

Non tutto, comunque, è negativo. Pensa, Rossi, pensa alla soddisfazione del vice di Dio in terra, quando vede mandrie di shit head che vanno a vederlo; mandrie, le sue, non come quelle che andavano ad ascoltare Gandhi, povere e macilente, ma mandrie bene addobbate, con la pancia piena di cibo e la macchina fotografica a tracolla, ma, of course, con la testa vuota, fagocitata dal grande personaggio. Il grande personaggio, a sua volta, è fagocitato dalle mandrie. Queste creature sono fatte le une per le altre, si attirano a vicenda, come la merda attira le mosche.

La solitudine, il vicario di Dio l’assapora insieme alla sua adorata mandria di pecoroni. Questa esperienza è qualcosa di straordinario e di indescrivibile; è il richiamo primitivo della specie. “Gru gru gru” e tutti si radunano. Non per nulla, quando va in giro per il mondo a spese di quelli che lo mantengono, si porta sempre dietro una moltitudine di paparazzi, di perdigiorno e di bacchettoni. Spesso questa gente è addirittura pagata dalla Chiesa Cristocatto per far numero intorno al suo boss. Altri ancora li trova sul posto. I compari locali glieli procurano, gli preparano altre schiere di beceri. Poi c’è lo stragrande numero di coloro che vanno a vederlo più per curiosità che per altro. Per loro è come andare al circo, né più né meno che come andare a vedere dei pagliacci esibirsi al circo. Solo che in questo caso è più conveniente: non si paga il biglietto di entrata. A volte, quando il cameraman inquadra certe teste, realizzi subito che hanno espressioni inebetite, zombie like. Questi sono i suoi fans, i fans del papa. Ecco con chi costui condivide la sua infernale solitudine celeste e terrestre.

* Questo brano ed altri che abbiamo già visto e vedremo, come è stato detto nell’introduzione, Guglielmini li ha scritti mentre Giovanni Paolo II era ancora in vita. Li ho lasciati così.

 

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