L’innominabile ovvero per una visione del mondo senza osservatori

In altre parole, come si presenterebbe l’universo se non ci fossero esseri umani? Si presenterebbe senza nome, senza qualità, senza senso. Si presenterebbe così com’è. Cosa vuol dire questo? Vuol dire, appunto, senza nome. Le sue montagne, pianure, bestie, piante, mari, pianeti, stelle, galassie, spazi vuoti, quasar, buchi neri, ecc, tutti questi nomi e mille altri ancora glieli abbiamo date noi, sono un prodotto dell’immaginazione, delle nostre invenzioni, appellativi e nulla più.

Cosa vuol dire questo? Vuol dire che tutte le descrizioni, le definizioni, le idee e le rappresentazioni che ci siamo fatti del mondo, sono solo “nostre”, inclusa quella che sostiene che il mondo è “così com’è”. Siamo noi a descrivere il mondo e non il mondo a descrivere noi, noi che ci siamo fatti un’idea del mondo e non il mondo di noi; noi che siamo prigionieri nella sua pancia! La nostra visione è una visione soggettiva e questo non ha nulla a che fare se corrisponde o non corrisponde a realtà. È soggettiva e basta. Il realismo, qualsiasi tipo di realismo, in questo caso, è sempre e comunque un realismo soggettivo, umano, da “osservatori”.

A questo livello di interpretazione, di pensiero, la realtà e la falsità si confondono, perdono il loro senso, il senso che gli abbiamo dato noi. Il mondo, quello vero, è l’innominabile. Non lo si può descrivere, perché ogni descrizione è personale. Detto diversamente, il mondo non ha un nome, ma tutti i nomi immaginabili e inimmaginabili; non ha una forma, ma tutte le forme immaginabili e inimmaginabili; non ha una definizione, ma tutte le definizioni immaginabili e inimmaginabili. Questo vuol dire che non ha alcun nome suo. È, appunto, l’innominabile. Non si può nemmeno dire alla Parmenide: “è”, perché, questo “è” parmenideo, qualsiasi cosa voglia dire, è pur sempre una definizione umana, quindi soggettiva, personale, di Parmenide.

L’uomo ha iniziato a escogitare idee sul mondo da quando è diventato uomo. Avrei voluto proprio sapere come homo habilis si è figurato il mondo 2 milioni e mezzo di anni fa, ma è impossibile. Comunque, molto tempo dopo di lui, l’uomo, cioè homo sapiens, se lo figurò in tantissimi modi: animistico, caotico, perfetto, creato dagli dèi, creato da un dio, un mondo questo impastato e creato dall’immaginario, dall’ignoranza, in breve, un mondo di favole e miti.

Poi, molto poi, l’uomo, nel descrivere il mondo, cambiò musica e metodo. Se lo figurò costituito da quattro elementi, gli elementi presocratici e aristotelici: acqua, aria, terra e fuoco. In seguito, nel quarto secolo avanti la nostra era, Aristarco, un filosofo e scienziato greco, sostenne la teoria dell’eliocentrismo, cioè che il sole è fermo e si trova al centro dell’universo.

Sei secoli dopo di lui, Tolomeo, astronomo e matematico alessandrino, tolse il sole dal centro dell’universo e al suo posto mise la terra. Questo concetto tolemaico resistette per molti secoli, fino a Copernico, nel Cinquecento. Con Copernico si ritorna di nuovo all’eliocentrismo di Aristarco, rimettendo il sole e non la terra al suo posto, cioè al centro dell’universo.

Dopo Copernico, Galileo Galilei, fisico e astronomo italiano del XVI secolo, scopre le macchie solari, Giove e i pianeti medicei, le fasi di Venere, l’anello di Saturno e i mari della luna e conferma la teoria di Copernico.

Giovanni Keplero, a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, liberò nello spazio gli astri imprigionati nei cerchi tolemaici. Newton nel XVII secolo, a sua volta, scopre la gravitazione universale e teorizza che il mondo sia chiuso in una specie di scatola mastodontica con delle noccioline dentro che si attraggono l’una all’altra.

Laplace, nel XVIII secolo, matematico e astrofisico francese, corregge gli errori di Newton sulle orbite dei pianeti, sostiene che questi si muovono intorno al sole e annuncia l’esistenza di buchi neri.

Viene la volta dell’universo malato di Boltzmann nel XIX secolo. Questi dichiarò che l’universo sta morendo, il secondo principio della termodinamica non lascia dubbi. Ogni corpo celeste brucia energia e quando questa non ci sarà più, muore, ecco l’effetto del secondo principio della termodinamica.

Segue l’universo stazionario di Hoyle, Gold e Bondi nel XX secolo. Georges Lemaître, anche lui nel XX secolo, fisico e astronomo belga, sostiene che l’universo ebbe inizio con una conflagrazione, il big bang come poi viene chiamato. Einstein conferma la teoria del big bang e il suo principio di relatività. Edwin Hubble smentisce la teoria dell’universo stazionario, dimostrando che l’universo si sta espandendo, il così chiamato red shift, che le galassie si allontanano l’una dall’altra e conferma la teoria del big bang di Lemaître.

Nel 1964, Arno Penzias e Robert Wilson, due astrofisici americani, scoprono la radiazione cosmica di fondo confermando definitivamente la teoria del big bang. Oggi non si parla solo di un big bang, ma di tanti big bang nell’infinita storia del cosmo. Come risultato abbiamo i multiversi, cioè universi baby e universi senior.

Siamo così riusciti, sempre secondo i nostri metodi e interpretazioni, a spiegarci come funziona il cosmo in cui ci troviamo. Ma poi, in definitiva, cosa vogliono dire tutte queste belle descrizioni e definizioni dell’universo? Niente, niente di niente direbbe il filosofo americano, John Searle. Detto in poche parole, quando gli uomini non ci saranno più, e questo prima o poi avverrà, non ci saranno più neppure i loro deliri, le loro precisazioni, i loro strumenti di misurazioni, la loro scienza, la loro cultura.

Possiamo chiederci quindi: prima della nascita del mondo, c’era un nome che lo descrivesse? Rispondiamo: no. Dopo la sua scomparsa, chiediamoci ancora, resterà un nome per ricordarlo? No. Allora cosa resterà di esso? Resterà, appunto, l’innominabile. L’universo, infatti, è l’innominabile.

Vedere  Per una filosofia perenne

 


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *