L’Universo per com’è in 12 immagini

 

 

Einstein pubblicava, nel 1905, i suoi famosi articoli sulla rivista scientifica “Annalen der Physik” dove solo pochi scienziati e con fatica riuscivano a capirci qualcosa; io pubblico i miei articoli sul Web, su Facebook, su Twitter e chiunque, data la loro semplicità e realtà, può leggerli e capirli nel mondo intero.

L’unica immortalità tollerabile è quella virtuale, quella che conosce l’universo di oggi, di domani, di sempre e in eterno, ed è proprio quella che vi propongo io, amici del Web, in questo post.

In queste 12 immagini sull’universo, partendo dalla specie homo e finendo con l’immortalità virtuale, ognuno di noi dovrebbe trovare se stesso e il senso della propria vita. Partirei dicendo che la meccanica quantistica e la relatività generale* rappresentano il micro e il macro. In altre parole, la prima appartiene al micro-mondo, la seconda al macro-mondo; la prima nasce dal nulla del nulla, la seconda è apparsa coi fenomeni (e cioè la forza di attrazione relativa alla grandezza dei fenomeni in questione); la prima ci impone un interrogativo metafisico, la seconda uno fisico; la prima ha a che fare col caso, la seconda con la fine: big crunch o big chill; la seconda senza la prima non esisterebbe, la prima senza il nulla del nulla neppure. Tutto questo è logico come 2+2=4, e questo ci aiuta a sfiorare con le mani le vere origini del nostro universo, ma non ci aiuta ad avere un senso, questo no o forse sì? Vediamo.

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L’Universo e La Vita

 

Einstein pubblicava, nel 1905, i suoi famosi articoli sulla rivista scientifica “Annalen der Physik” dove solo pochi scienziati e con fatica riuscivano a capirci qualcosa; io pubblico i miei articoli sul Web, su Facebook, su Twitter e chiunque, data la loro realtà e semplicità scientifica, può leggerli e capirli nel mondo intero.

 

In quello che segue in questo articolo, cercherò di abbozzare la vera base dell’universo e della vita. Non fraintendetemi. Non sono un folle e tanto meno uno che va alla ricerca  di riconoscimenti deliranti, sono uno che cerca il cuore e l’anima della realtà che ci ha messo al mondo ed è questa che tenterò di illustrare nelle sette principali definizioni sull’origine e sull’evoluzione dell’Universo.

 

Partiamo con la prima definizione. All’inizio c’era solo “il nulla del nulla”. Oltre al nulla del nulla non c’era altro. In quel tempo solo esso esisteva. Il nulla del nulla lo si può vedere grande quanto la punta d’uno spillo o immenso tanto quanto uno riesce a immaginarlo. In esso però non c’era niente, neppure la punta d’un ago. Noi chiamiamo questo vuoto cosmico il nulla del nulla, la prima base dell’universo.

La seconda definizione. È dal nulla del nulla che si è generata spontaneamente “la prima particella”, quella che poi, dopo miliardi e miliardi di anni, ha dato vita all’universo che conosciamo oggi. È questa la sua origine e la sua nascita, e cioè la seconda base dell’universo. Certo, potremmo scrivere un’intera enciclopedia riguardo a questo inizio, ma non progrediremmo d’una sola virgola per quello che concerne questo momento fisico iniziale.

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Quella che ha sempre l’ultima parola

 

 

Cosa dire? Cosa pensare? Come capire questo sentimento sordo tenero doloroso che crea in noi una persona cara appena mancata? La guardi, la guardi e ancora la guardi. Allunghi una mano. La tocchi. È ancora calda? No, è già fredda. Le parli. Non risponde. Tiene la bocca aperta. Riflette. Ti chiedi: cosa sta succedendo nella mia testa, cervello, cuore, anima? D’un momento all’altro non li riconosco più. Sono alla loro mercé. Non so come gestire il feeling che mi ha legato a questa persona per tanti anni e adesso non c’è più. Mi si mozza il fiato, mi viene da piangere, ma non piango. Noi vivi? Cosa vuol dire? Noi morti? Cos’altro vuol dire? La vita che cos’è? Una corsa a ostacoli. Lei, Liliana, è arrivata all’ultimo e l’ultimo ostacolo è sempre letale. E cosa lega la morte alla vita e la vita alla morte? Dì al cervello di pensare ad altro. Non ho questo potere. Accarezzi il viso della morta, quel viso che hai visto tantissime volte ridere, parlare, mangiare, bere, quegli occhi, quel naso, quel mento, la fronte, le guance, i capelli, le nostre conversazioni, la sua paura. Solo così si è liberata di quest’ultima! Tocchi e ritocchi il suo viso, lo accarezzi con infinita dolcezza come se fosse quello di tua madre. Guardi anche il corpo. Non si muoverà mai più. Senti che stai per scoppiare a piangere. Fai uno sforzo. Ti trattieni. Il fenomeno che si è attaccato alla tua mente ti trascende, va oltre le tue abilità intellettive. Ma insomma cosa siamo!? Un punto interrogativo attraversato da tanti pensieri e malanni e poi più niente. Liliana, Liliana Sereno, la nostra cara carissima Liliana, ci ha lasciati, non la rivedremo mai più, ma resterà nei nostri cuori.

 

Ma io, Francis Sgambelluri, chi sono in realtà?

 

Einstein pubblicava, nel 1905, i suoi famosi articoli sulla rivista scientifica “Annalen der Physik” dove solo pochi scienziati e con fatica riuscivano a capirci qualcosa; io pubblico i miei articoli sul Web, su Facebook, su Twitter e chiunque, data la loro realtà e semplicità scientifica, può leggerli e capirli nel mondo intero.

 

Vi ho parlato in questi giorni della mia autobiografia culturale; ora vorrei parlarvi della mia vita dandovi un’autodefinizione della sua concretezza ed evoluzione fisica.

Tanto per cominciare, io sono una specie animale che rappresenta il mondo inanimato e il mondo animato in miniatura.

Che cos’è “il mondo” per lei?, mi si chiede.

Rispondo.

È un insieme di atomi raggruppati in un piccolo spazio dell’universo che compongono i fenomeni inanimati e animati che lo abitano e durano quel che durano e poi spariscono.

Da dove vengono questi atomi?

Dal nulla del nulla.

E che cos’è “il nulla del nulla”?

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La mia vita, parte dodicesima e ultima

 

Il crepuscolo *

 

A causa dello studio, e per molti anni, ho sacrificato la mia vita sentimentale, affettiva, familiare, generazionale: nonostante vivessi nel mio tempo, ero fuori dal tempo. Lo sport, la musica, il teatro, i cantautori, il ballo, lo sci, la moda dei giovani, le vacanze e altre cose non le ho conosciute né sperimentate come avrei dovuto  e poi, quasi quasi, non mi rendevo neppure conto che esistessero. Non ho preso nemmeno parte alle ribellioni studentesche del Sessantotto, nonostante fossi uno studente, nonostante mi trovassi a Parigi. Li guardavo sfilare in rue de Rivoli e place de la Concorde mentre io ero appollaiato su un muro con un libro in mano. Non mi sentivo uno di loro, non mi sentivo come loro, sentivo che fra me e loro c’era un abisso. E in ogni modo, se volevo recuperare gli anni vissuti nell’incultura più nera, non avevo scelta. Lo studio, dunque, a qualsiasi rinuncia, prezzo e privazione.

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La mia vita, parte undicesima

 

La nuova vita

 

Ed era nuova in tutti i sensi. Questo non vuol dire che avevo fatto tabula rasa della mia vita passata. Tutt’altro. Questa era diventata lo zoccolo, il pilastro portante, la parte più solida e più vitale di me. Era il nutrimento e l’ispirazione da dove traevo il mio insegnamento e comportamento quotidiano.

Da quando avevo incominciato a lavorare come guida turistica alla Paris Vision, la mia vita era cambiata radicalmente, era passata da essere uno straccio umano calpestato da tutti, a un uomo di idee. Queste le avevo sempre avute, ma poi era diverso. Avevo anche dei principi. Volevo vivere la mia vita sotto il segno della natura, della ragione e di quell’“umanità” degna di questo nome. Questo trittico mentale non era composto di un’opera pittorica divisa in tre parti, ma d’un comportamento giusto, umano e razionale: mi aiutava a trarre il massimo della mia esistenza.

L’insegnamento poi era uno svago. E non solo. Imparavo più io dai miei studenti che loro da me. Insegnando s’impara e s’impara molto. La mia nuova esistenza, infatti, non era più un lavoro, non per come io avevo lavorato nei primi trent’anni della mia vita, era una vacanza. I lavori che facevo – interprete, traduttore, insegnante, scrittore –, non erano lavori per me, erano un divertimento, un passatempo, un piacevole esercizio della mente, un continuo arricchirmi di cultura e di vita interessante e bella. Insomma, una vacanza, una vacanza che dura ancora oggi.

La mia vita, parte decima

 

Il probo

 

Mi è capitato, e più d’una volta, di rifiutare la così detta “fortuna”, ovvero una certa agiatezza economica. Tre esempi, ma ce ne sarebbero altri. Il primo è stato con Paris vision. Il proprietario, monsieur Georges (non ho mai conosciuto il suo cognome, a meno che non fosse stato questo, lo chiamavano tutti così, monsieur Georges), voleva che facessi carriera nell’azienda. Sarei potuto diventare, con un po’ di buona volontà e le lingue che conoscevo, un ottimo organizzatore per i clienti esteri della Paris Vision e guadagnare dei bei quattrini. Per conto mio guadagnavo già un fracco di soldi tra la paga che prendevo e le mance dei turisti che portavo in giro per Parigi e dai padroni di ristoranti e di locali notturni. Ero passato dall’essere un perpetuo squattrinato e morto di fame, a un signore con un conto in banca! Ho rifiutato l’offerta di monsieur Georges.

Il secondo è stato in Australia e più precisamente alla European School of Languages. I genitori di Rebecca G., un’incantevole e gioviale ragazza (la cui madre, la signora G., per conoscermi, aveva seguito per due anni un mio corso di francese, anche se, il francese, lei, lo conosceva meglio di me!), mi volevano far sposare con la loro unica figlia, offrendomi, se avessi accettato, una villa e una considerevole somma di denaro. Rebecca, che insegnava inglese nella mia scuola, non per bisogno, era innamoratissima di me, ma io, purtroppo, non ero innamorato di lei. Ho rifiutato.

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La mia vita, parte nona

 

L’irrisione

 

Riguardo ai miei feelings – il cuore, l’amore, il sesso, il piacere, l’affetto, insomma la mia vita sentimentale – , fino all’età di quarantacinque anni, sono stati un’esperienza amara, fustigante e dolorosa, particolarmente a partire dal mio primo innamoramento a Torino. Fisicamente parlando, la natura mi ha dato quello che il mio paese natale non ha saputo darmi culturalmente. Questo fatto è stato causa di tanti dispiaceri e frustrazioni. Il mio io, quello della mia infanzia e adolescenza, per com’era stato strutturato mentalmente e psicologicamente, mi ha portato non alla gioia di vivere, ma ad una intossicazione dopo l’altra, per non dire a una continua sofferenza fisica e infelicità.

Le donne, dunque. Non avevo difficoltà con loro, tutt’altro. Il più delle volte erano loro a cercarmi e a innamorarsi di me. Qual era allora il problema? Non un problema di impotenza, di omosessualità o altro. Il problema era che io, nei loro confronti, ero, a dir poco, un bruto, uno cui mancava tutto: finezza, scioltezza mentale, savoir faire, buongusto, grazia, raffinatezza, garbo, stile, conoscenza, tutto. Non avevo praticamente niente. Ero solo un barbaro, a barbaric lover.

Erano, la maggior parte delle donne con cui sono venuto in contatto, anni luce più civili, educate, istruite e signorili di me. Questo fatto mi creava complessi e disagi a non finire. Non mi sentivo a loro livello culturale. Come dire, mi sentivo un ladro, un impostore, uno spregiatore dei loro corpi, delle loro menti, corpi e menti che io non meritavo, non ne ero degno. Come conseguenza, uscivo da uno sfacelo melodrammatico per trovarmi subito dopo impigliato in un altro.

La colpa di tutto questo, se di colpa si vuol parlare, non era né loro, né mia. Le cose stavano così. Detto tutto in una volta: devo molto al gentil sesso, io!

 

La mia vita, parte ottava

 

Io scrittore?

 

Ad ognuno le sue esperienze borderline. Una di queste l’ho vissuta a Parigi qualche anno prima di lavorare come guida turistica alla Paris vision. Non so cosa mi fosse successo di preciso, so solo che, grazie alla mia mente, che da alcuni anni ormai si andava nutrendo di materia letteraria e filosofica, grazie anche agli autori che stavo leggendo avidamente in quel periodo – Camus, Beckett, Marx, Sartre, Marcuse, Cioran – , qualcosa si era inceppato nel processo e nella digestione di questo cibo mentale. Può darsi che fosse troppo ricco e nutriente per il mio impreparato corpo e cervello. Come risultato, la mia esistenza era dominata, non dall’illuminazione filosofica, ma da un mal de vivre totale.

La prima cosa che è esplosa nella mia testa è stata l’idea della morte. La mia non era una vita di agi e piaceri, tutt’altro, ma l’idea di dover morire mi terrorizzava lo stesso. Il solo pensiero mi dava i brividi. Non l’accettavo, non accettavo questa condanna priva d’un giudice e d’un tribunale. Non c’era senso. Io e-ro-inno-ce-nte! Non avevo ammazzato nessuno! Non avevo neppure chiesto di venire al mondo. Allora? E poi a che scopo fare tanti sacrifici per migliorarmi quand’ero condannato a morire? E perché? C’era uno scopo, una ragione, qualche tipo di giustificazione? Perché quest’uccisione senza un motivo, senza un processo e a sangue freddo? Una fissazione unica, la mia! Ma era così! Non potevo farci niente e non potevo farci niente perché non c’erano parole, non c’era niente che giustificava la mia morte e io non sapevo come sfuggire a questo cieco destino, a questa tragica e dura realtà. No, non trovavo risposta (quella degli altri non mi consolava), nuotavo in una muta violenta ribellione dominata dall’impotenza.

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La mia vita, parte settima

 

Lo studente giramondo

 

 

Ritornato nel vecchio Continente, grazie ai guadagni fatti con la European School of Languages, grazie all’amore e alla passione che continuavo a nutrire per la conoscenza in generale e per l’arte, le lingue e la filosofia in particolare, ho potuto dedicarmi per alcuni anni unicamente allo studio, seguendo, a mio modo e piacere, conferenze, convegni, seminari e corsi di lingua e cultura in diverse scuole e università.

In Danimarca, oltre a studiare il danese e tentare di leggere in originale Kierkegaard, ho insegnato anche lingue alla H.O.F. (Hovedstadens Oplysnings Forbund) Undervisning di Copenhagen.

Ero affascinato dai vichinghi. Quando nevicava, arrivavano in classe con gli abiti coperti di neve e prendevano posto in silenzio e con grazia, senza far rumore. Il loro modo di fare mi sconvolgeva, e mi sconvolgeva perché non riuscivo a far collimare questa loro attuale raffinatezza coi vichinghi bruti e ammazza tutti che spesso ci fanno vedere nei film. Erano molto attenti e cercavano di non perdersi una lezione. Parlavano diverse lingue e non rifiutavano mai, se si presentava l’occasione, di farsi una bella risata. I Danesi: gente unica e straordinaria!

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La mia vita, parte sesta

 

Il sogno

 

A Melbourne, all’inizio degli anni Settanta, ho cominciato a dare lezioni di francese e d’italiano a piccoli gruppi di studenti delle scuole private – International School of languages, Holmes language school, Berlitz language school. Non avevo, come avrei voluto avere, una conoscenza solida e profonda di queste lingue, comunque, quella che avevo bastava per quello che dovevo insegnare. Inoltre avevo un’ottima esperienza personale con le lingue e questo mi rendeva il mestiere più facile.

Qualche anno dopo, con l’aiuto economico d’un amico italo-australiano e restando fedele a un mio principio: se gli altri ci riescono, perché non dovrei riuscirci anch’io?, ho aperto una scuola di lingue nel centro della città: European School of Languages.

Il successo è stato, a dir poco, strabiliante. Nel giro di qualche anno, alla European School of Languages insegnavano part-time circa venticinque professori di madre lingua e tutte le aule disponibili erano impegnate al massimo. Fantastico!

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La mia vita, parte quinta

 

Il costo

 

 

Oggi, grazie al buon uso che ho fatto del mio tempo, ho un paio di diplomi universitari ottenuti uno in Spagna, alla Universidad de Complutense de Madrid e uno in Italia, all’Università per Stranieri di Perugia e altra roba scolastica (ho seguito corsi universitari che interessavano a me in parecchie università sia in Australia che in Europa) che non sto qui a elencare. Non ho la minima idea di quel che valgano. Forse niente, forse sono solo pezzi di carta che danno a tutti quelli che frequentano i loro corsi e nulla più. Comunque, io non sono mai stato interessato ai titoli di studio, né ho mai fatto uso di essi a scopo lavorativo, e tanto meno li ho mai menzionati tutte le volte che ho potuto. Quando mi sottoponevo a degli esami, non era per ottenere diplomi, era perché desideravo studiare, imparare e la sfida era sempre con me stesso. Non era per ottenere riconoscimenti che mi lambiccavo il cervello, era la conoscenza che volevo: volevo capire, capire in che mondo e universo vivevo. Desideravo conoscere lingue, popoli, la loro storia, la vita, tutto. Il mio motto era ed è rimasto: “Non so, quindi soffro.” Lo studio nelle fabbriche della mente – scuole, collegi, università, ecc. – per quanto limitate, discriminatorie e ideologiche, era pur sempre importante per me.

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La mia vita, parte quarta

 

Il tempo è studio

Gli americani dicono, “il tempo è denaro”; i filosofi dicono, “il tempo è vita”; i fisici dicono, “il tempo non esiste”; per me “il tempo è studio”.

Avevo elaborato un piano per sfruttare al massimo tutto il mio tempo libero. Consisteva nell’applicare ogni idea e marchingegno in favore dello studio. Ad esempio, il luogo dove abitavo – pensioni, camere in affitto, mono locali, piccoli appartamenti – lo riempivo di citazioni scritti su pezzi, strisce e fogli di carta che poi appendevo su muri, armadi, frigoriferi, scaffali, ovunque. Le pareti del bagno erano tappezzate di fotocopie di libri zeppi di regole grammaticali, di poesie che cercavo di imparare a memoria, di teorie scientifiche, concetti filosofici, importanti eventi storici. Scrivevo anche a mano, copiavo tutto quello che m’interessava e piaceva. L’atto di copiare, di premere la punta della penna sulla carta bianca era importantissimo per memorizzare le parole: s’imprimevano con più facilità nella memoria. E non solo. Questo modo di fare mi aiutava, dopo un po’, a capire meglio cosa stavo leggendo, imparando, studiando. Era come se entrassi nel cervello dell’autore e seguissi, insieme a lui, le sue idee, intenzioni e sentimenti.

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La mia vita, parte terza *

 

 

E fu luce

 

Alcuni anni dopo, una sera a Parigi, in un drugstore vicino all’Arc de Triomphe, dove mi recavo il sabato sera a cenare prima di andare al cinema (il premio che mi concedevo dopo una settimana di duro lavoro e studio), mi era presa la voglia di fare un giro per il locale. Era grande e c’era tanta merce dappertutto. Guardavo ogni cosa con meraviglia e piacere. Tutto luccicava ai miei occhi, tutto mi sembrava irreale, fantastico, di un altro mondo. Ero finito, passo dopo passo, in libreria e, ammaliato da tutti quei libri, mi ero messo a guardarli avidamente. A un certo punto ne ho preso uno in mano, non per caso, ma perché mi aveva incuriosito. Era piazzato su un piccolo poggia libri di plastica e aveva una fascetta rossa con la scritta: “Lettre ouverte à un jeune homme”, di André Maurois. Ho letto il retro di copertina, ho letto la prima pagina, l’ho sfogliato leggendo qui e là e, più leggevo, più mi sentivo prigioniero della lettura. Sono andato alla cassa e l’ho comprato. Quella sera non sono andato al cinema, sono ritornato a casa e, vestito, mi sono buttato sul letto con quel libro in mano e non l’ho mollato fino a quando non l’ho finito di leggere.

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La mia vita, secondo post *

 

Il salto

 

Compiuti i sedici anni, confuso e smarrito fra tante idee, desideri e incomprensioni, ma deciso e contro la volontà della mamma, me ne sono andato, andato via da casa, lasciando la famiglia, le bestie, la mia Timpa, i miei sogni da bambino e il luogo dov’ero nato e vissuto la mia prima giovinezza, e sono partito per il nord Italia.

A Torino ho dormito in garage freddi, bui, scalcinati, con la neve sul tetto e l’acqua che gocciolava dentro. Mi è capitato anche di abitare in case e locali disastrati dove non c’era un gabinetto, non c’era acqua potabile, non c’era igiene, non c’era niente, solo un lurido materasso per terra sul quale si dormiva vestiti insieme ad altri.

Il lavoro l’avevo trovato quasi subito. Non mi piaceva lavorare in fabbrica, preferivo, anche perché quell’impiego non mi era completamente estraneo, lavorare in cantieri edili e, in questo campo, il lavoro si trovava facilmente. Il mio primo impiego l’ho ottenuto da un pazzo ma simpatico piccolo imprenditore romano che aveva preso in appalto la costruzione d’una villa in montagna. Ci portava lì, me e altri 3 disgraziati, ogni lunedì mattina in una camionetta della volkswagen che guidava in quelle strade piene di curve e pericolose a tutto gas. Ci terrorizzava. Veniva poi a riprenderci il sabato sera. Il capo mastro era del luogo.

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La mia vita *

 

L’io chiuso

11 febbraio ‘42

 

Accenno solo, a questa mia breve autobiografia, che io sono uno scrittore che non può fare a meno di scrivere ciò che scrive, proprio come le donne, una volta incinte, non possono fare a meno di partorire il bimbo che portano in grembo. Anche per me, come per le madri, è un fenomeno genetico, non posso tenere dentro di me quello che è figlio, non della mia fantasia, ma della mia esperienza, quindi della mia vita. È di questo che vi parlerò in ciò che segue.

Se qualcuno dei siti specializzati non desidera riceverla, me lo dica. Non ci sarà nessun problema. Capisco e ringrazio per avermelo detto.

Il caso

Sono nato nel 1942 in un vecchio rudere di famiglia che chiamavamo casa, in un paesino di montagna, in Calabria. Era febbraio, un mercoledì nel tardo pomeriggio. Lontano, sul mare, raccontava poi la mamma, mentre io venivo al mondo, si sentivano le cannonate lanciate da una nave da guerra contro gli aeroplani che cercavano di affondarla. Quest’idea, più tardi, mi avrebbe fatto riflettere non poco: da una parte nasceva la vita e dall’altra la si distruggeva; da una parte la gioia, la felicità, dall’altra il terrore e la morte.

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Vacanze 2021

 

 

Il mio dottore mi ha detto che devo andare in vacanza quest’anno. Io, di fronte a tanta autorità professionale e anche amichevole, non ho osato dire di no. Quindi sì, vado in vacanza con la mia compagna Lorenza.

Solito posto, solito mare, solito hotel, non la solita camera e tanto meno la solita atmosfera, suppongo. Porteremo tutti delle mascherine, forse non al mare, forse non sotto gli ombrelloni, ma nei ristoranti e negozi sì. Malgrado tutto, noi cercheremo di trarne il massimo beneficio di questa vacanza contaminata col Covid 19.

Spero che andiate anche voi in vacanza, se lo desiderati, amici di Facebook. E non dimenticate che ogni minuto che passa è un minuto in meno di vita; ogni giorno che passa, brutto o bello che sia, è un giorno in meno di vita, e così via. Bisogna tenere conto anche di questo. La vita, se è possibile, la vorremmo vivere bene. Vivete, dunque, ubriacatevi di vita, di amore, di piaceri, di cose che vi divertono e vi rendono gioiosi a voi e ai vostri cari. La massima è: godete e fate godere!

Un abbraccio a tutti e buone vacanze, buon riposo e siate felici!

Il Mondo-Universo in poche parole chiare e concise

 

Einstein pubblicava, nel 1905, i suoi famosi articoli sulla rivista scientifica “Annalen der Physik” dove solo pochi scienziati e con fatica riuscivano a capirci qualcosa; io pubblico i miei articoli sul Web, su Facebook, su Twitter e chiunque, data la loro semplicità e realtà, può leggerli e capirli nel mondo intero.

 

“E del contenuto, tra i suoi articoli e quelli di Einstein, cosa ne dice?,” mi ha chiesto una volta un lettore.

“Dipende dai punti di vista,” ho risposto. Così sarà anche con questo.

Il nostro mondo-universo* si muove nel mezzo d’uno spazio infinito. Prima di esso c’era il nulla del nulla, vale a dire niente di niente, neppure il “nulla” per come lo intende la scienza. Per quest’ultima il “nulla” è pieno di particelle. Quindi, se è pieno di particelle, non può essere un nulla. Nel nulla del nulla non ci sono neppure le particelle.

Il proto-elemento, cioè il primo pulviscolo che è apparso nell’universo e dal quale esso si sviluppò, è figlio del caso. La nostra esistenza e quella dell’universo che ci ospita, sono un prodotto fondamentalmente metafisico, sono apparsi dall’inesistente. Il senso che io do alla “metafisica” è diverso di quello della “metafisica classica” che è una metafisica volgare e priva di ogni considerazione.

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La vita partendo dalle sue radici più profonde

 

 

Einstein pubblicava, nel 1905, i suoi famosi articoli sulla rivista scientifica “Annalen der Physik” dove solo pochi scienziati e con fatica riuscivano a capirci qualcosa; io pubblico i miei articoli su Internet e chiunque, data la loro semplicità e realtà, può leggerli e capirli nel mondo intero.

 

Vi propongo, in questo post, 19 domande fondamentali e 19 fondamentali risposte, e cioè la vita da quando è apparsa fino a homo sapiens sapiens. Non vorrei creare fraintesi. La vita non sarebbe mai apparsa se non si fosse prima formato l’universo. Noi siamo i suoi oggetti e anche tutti gli altri fenomeni inanimati e animati. In queste 19 domande fondamentali e 19 fondamentali risposte, c’è tutto quello che abbiamo bisogno per conoscere le nostre radici cosmiche e le nostre radici biologiche. Partiamo dall’inizio dell’inizio, e cioè dal nulla del nulla. *

Prima domanda: Chi viene prima, il nulla del nulla o il nulla? **

Il nulla del nulla.

Seconda domanda:  Chi viene prima, il nulla o il proto-elemento?

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A ognuno il suo sogno (racconto) *

 

Paolo, Paolo il muratore, non faceva altro che sognare il giorno in cui sarebbe andato in pensione. Una buona parte della sua vita era stata percorsa da questo forte desiderio: smettere di lavorare e prendersi la pensione. Le belle stagioni, il canto degli uccelli, il mormorio dei ruscelli in primavera, tutto, tutto sarebbe diventato incantevole, ma solo dal giorno in cui avrebbe smesso di lavorare e si sarebbe preso la sua tanto amata pensione, pensione, pensione: il sogno della sua vita!

C’è gente che sogna di scalare l’Everest, altra di viaggiare in paesi esotici e altra di diventare ricca. Il sogno di Paolo il muratore era quello di andare in pensione.

Vittorio, il suo aiutante, non la pensava così. Vedeva l’evento pensione in modo diverso. A sessantacinque anni, l’età della pensione, se uno ci arriva, non può più godersi la vita, è già vecchio, pieno di acciacchi, di piccoli e grossi mali che gli attaccano il corpo e si può quasi dire che è bello e pronto per il cappotto di legno, particolarmente per quelli come lui e Paolo che facevano dei lavori pesanti. Per Vittorio, ch’era d’una generazione più giovane di quella di Paolo, la pensione voleva dire la fine. Si diventava anche un peso per tutti: per la famiglia, per la società e per se stessi – una vera catastrofe!

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La vita, che cos’è in realtà?

 

Il mondo e l’uomo

Per quel che sono

E non pe come noi vogliamo che siano

 

Non ridete a questa domanda, perché lo so che è una domanda che può far ridere, dato che ormai anche i baby sanno che cos’è la vita. Ma poi, lo sanno veramente?

Sappiamo, però, che prima o poi, tutto quello che la vita ci ha dato, sempre se ci ha dato qualcosa, se lo riprenderà con gli interessi. E la cosa non finisce qui. Mentre seguiamo il destino che ci è stato assegnato senza averlo chiesto, e cioè vivere, scopriamo che la vita e la morte sono una degenerazione della materia. In altre parole, noi siamo carne malata. Questa crea un pensiero malato, uno spirito malato, una conoscenza malata, una vita malata, una morte malata o ciò che noi chiamiamo vita e morte.

Gli animali, tanto per chiarire meglio l’argomento, che vivono solo d’istinto, non sono malati (farei eccezione di quelli che vivono negli zoo o in casa), gli animali non sanno che nascono per vivere e morire, noi umani sì. Ecco la reale malattia di cui noi umani soffriamo. Questa malattia la si traduce in conoscenza: più uno conosce, più è malato. Il cervello, l’organo principale del pensiero, non è altro che un enorme groviglio di cellule malate. La cultura, la storia, la filosofia, l’arte, la tecnologia, la poesia, la scienza, la musica, tutto, tutto quello che abbiamo e abbiamo creato è sgorgato da un pensiero malato.

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“Schiavi del Tempo”

 

“Fino a quando una sola persona viene

astutamente usata e ingiustamente maltrattata,

tutte le istituzioni che compongono l’intero Pianeta,

non sono degne di esistere”.

Orazio Guglielmini

 

A volte certe cose non andrebbero dette, ma quando senti che non puoi fare a meno di non dirle, allora le dici. È quello che sto per fare io ora. Vi parlerò di questo libricino che voi non vedete, ma io ce l’ho davanti agli occhi “Schiavi del Tempo, La folle corsa del mondo postmoderno. Riflessioni per una vita più umana, lenta e consapevole”, comprato su Amazon per E 9,90. È poco più di 130 pagine. L’autore è un certo Ivan Petruzzi, nato a Berna nel 1983. Il suo libro è stato pubblicato da Amazon.

Ve lo riassumo così: mettiamo da una parte il 99,9% della saggistica italiana e dall’altra parte “Schiavi del Tempo” del signor Petruzzi. Non ci crederete, ma io sono arciconvinto che leggendo questo libricino, imparerete molto ma molto di più che leggendo il 99,9%, della saggistica italiana. In quest’ultima troverete di tutto eccetto ciò che riguarda la vita vera e propria e le dinamiche essenziali dell’esistenza. Nel libricino di Ivan Petruzzi, invece, troverete tutto il necessario delle cose più importanti e più fondamentali della vita e tutto questo e molto altro scritto in uno stile semplice e scorrevole. Quindi, leggendo questo libricino, vi approprierete d’una vera e propria filosofia sociale ed esistenziale che vi permetterà di scoprire, a voi e ai vostri figli oggi e sempre, un’arte di vivere, un’arte di godere e di far godere e anche vi farà intendere come una piccolissima parte della società umana, avida di averi e poteri, sta portando il mondo, passo dopo passo, alla rovina.

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La Terra e l’universo

 

Il mondo e l’uomo

Per quel che sono

E non pe come noi vogliamo che siano *

 

Ciò che questa monetina da 5 centesimi che io mostro sul palmo aperto della mano destra è in grandezza per la Terra, la Terra, a sua volta, lo è per la Via Lattea. Se poi la Terra è vista in termini cosmici, cioè fra le altre 3-4 miliardi di galassie del nostro universo, la Terra allora diventa 100 miliardi di volte più piccola d’un solo atomo. Detto diversamente, non è neppure visibile al microscopio.

Fino a qualche tempo fa, e questo lo dimentichiamo spesso, ma non dovremmo, la Terra era al centro dell’universo, al centro del cervello, al centro delle nostre ideologie, al centro di tutto, grazie alla nostra ignoranza e alla nostra arroganza; ora, grazie alla nostra conoscenza e alla nostra “libertà di pensiero!”, non solo ha perso il suo centro e il suo prestigio, ma addirittura, nei confronti dell’universo, la Terra è invisibile.

Noi? Non ci vede neppure la Luna!

 

*                Preso dalla Trilogia, il secondo libro: “Dal nulla del nulla all’immortalità virtuale”

Il suicidio filosofico è una ribellione contro il mondo assurdo e vuoto in cui viviamo

 

Io non sono un pessimista, né un idealista

e non ho assoluti. Sono un naturalista, ac

cetto la realtà per quello che è e cerco di

vivere in essa come meglio posso. *

 

Quest’atto triste e drammatico, ha un mare di spiegazioni, ma ce n’è una che ci pare, almeno logicamente, tollerabile. Nasciamo piangendo e moriamo piangendo. Potremmo accettare la nascita perché, anche se nasciamo piangendo, a quell’età non capiamo le ragioni, e poi i nostri genitori si prenderanno cura di noi e questo fino a quando non siamo pronti a prenderci cura di noi, noi stessi.

Ma cosa dire della vecchiaia? Possiamo accettarla come accettiamo la nascita? No, non possiamo. Questa, la nascita, ci porta passo dopo passo, lungo tutta la vita, a capire che prima o poi, se abbiamo la fortuna o la sfortuna di diventare vecchi, diventeremo anche come quando eravamo bambini: dipendenti dagli altri. I bambini appena nati non sanno, ignorano tutto; i vecchi sanno, non gli sfugge più nulla. La vecchiaia, ai loro occhi, è vista come una sconfitta esistenziale e totale, perché è mostruosa: diventiamo degli oggetti poco piacevoli alla mercé altrui.

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L’immortalità virtuale e l’inizio d’una nuova scienza

Per “immortalità virtuale” qui s’intende sentirsi padrone d’una conoscenza universale che si ripeterà per sempre e per sempre più o meno allo stesso modo: nascita, evoluzione, morte o sparizione. Ad esempio, quando conosciamo le quattro stagioni e sappiamo che dopo la primavera viene l’estate e sappiamo che fino a quando il nostro sistema solare continuerà a funzionare come funziona adesso, allora sappiamo anche che se la vita del Sole è di 10 miliardi di anni, allora per 10 miliardi di anni dopo la primavera viene l’estate. Una ripetizione questa che dura 10 miliardi di anni.

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Il mondo per com’è e non per come vogliamo che sia

 

Viviamo, e questo oggi tutti quelli che hanno un po’ di cervello lo sanno benissimo, viviamo in un mondo spietato, dove il nostro casuale destino è stato inciso negli elementi che ci costituiscono ancora prima che noi nascessimo. Sapere è comprendere, è capire e capire e comprendere è giudicare. Quindi noi sappiamo che nasciamo su una graticola e che via via che prendiamo coscienza di ciò che ci aspetta, questa visione si trasformerà in fiamme. Da qui in poi scopriamo di vivere in un inferno a porte e finestre spalancate a 360 gradi.

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Dov’è nata la vita? *

 

“Too much ado for nothing

Molto rumore per nulla”.

Shakespeare

 

 

Invero, anche se scoprissimo che la vita sulla Terra viene da Marte, questo non spiegherebbe nulla riguardo all’origine della vita. E su Marte, chi l’ha portata, la vita? L’origine della vita non va cercata sui pianeti, neppure nella nebulosa che diede vita al nostro Sole, ma nel primo proto-elemento. È lì che è nata la vita. Vita e materia e materia e vita sono inseparabili, non c’è l’una senza l’altra e questo in un eterno abbraccio fra vita e materia.

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In che mondo viviamo?

 

Il mondo e l’uomo

Per quel che sono

E non pe come noi vogliamo che siano.

 

In un mondo vecchio, vecchio di idee, vecchio di gusti, vecchio di sentimenti, vecchio di comprensione, vecchio di credenze, vecchio nel governare, vecchio nel vivere, vecchio e basta. La tecnologia non migliora l’uomo umanamente, ma meccanicamente: lo rende un robot. All’uomo manca un’umanità vera, sentita, reale, un’umanità umana tutta umana.

L’educazione non è tutto, ma aiuta

 

Io non sono un pessimista, né un idealista

e non ho assoluti. Sono un naturalista, ac

cetto la realtà per quello che è e cerco di

vivere in essa come meglio posso.

 

La paura viene dall’ignoranza, dal non comprendere i fenomeni che ci circondano, dall’invisibile, dalle tenebre. I manipolatori di vite umane conoscono questa nostra debolezza mentale molto bene e ne approfittano tanto quanto possono.

Oggi, oggi nel 2021, viviamo in un mondo zeppo di bugie, di falsità, di tabù istituzionalizzati, santificati che sono diventati leggi; oggi, però, per molte persone e di ogni ceto sociale, questi tabù, bugie e falsità sono morti, morti e stramorti. Per queste persone, lì dove una volta c’erano le tenebre, oggi brilla la luce, la luce dell’intelligenza e della conoscenza, quindi non ci credono più. E allora?

Io sono convinto che una Vera Reale Educazione, sia a livello scientifico che culturale, ci trasformerebbe tutti, buoni e cattivi, in “Veri Esseri Umani” e, senza questa educazione, continueremo a comportarci più da bestie che da esseri umani, proprio come abbiamo fatto fino adesso e continuiamo a fare.

Le nostre scuole, collegi, università, oggi, grazie ai loro indottrinamenti ideologici ( vedere sul mio blog “Le università sono fabbriche della mente machiavellica” ), trasformano la bestia che c’è in ognuno di noi ancora più in bestia.

Quindi?

Le religioni

 

Io non sono un pessimista, né un idealista

e non ho assoluti. Sono un naturalista, ac

cetto la realtà per quello che è e cerco di

vivere in essa come meglio posso.

 

Le religioni sono un’invenzione a livello mondiale, quindi non si tratta di credere o di non credere, si tratta semplicemente d’una menzogna sociale e culturale che va contro la natura umana. Non è necessario elencare le conseguenze brutali che l’umanità subisce a causa delle religioni ormai da millenni – le guerre e le uccisioni più grottesche sono dovute a esse -, perché questi crimini religiosi li conosciamo tutti.

La religione, come il sistema monarchico, politico e capitalista, è un sistema di sfruttamento e lo si pratica con l’indottrinamento, con le favole, con la forza e con ogni altro mezzo. Non penso che oggi, nell’intero mondo, ci sia un solo prete che crede veramente, fa il prete perché gli conviene. Per lui, in un mondo così corrotto e bestiale, così inumano e assurdo com’è il nostro, il suo lavoro, pensa lui, non è peggiore di tanti altri!

Bene, tuttavia, io sono uno che crede: credo nell’istruzione, credo in uno spirito libero, positivo e creativo, credo in una Vera Reale Umanità; non credo nella discriminazione, non credo nella violenza, non credo nell’ingiustizia. Credo, dunque, in una Democrazia Vera Reale e Planetaria, tanto Reale Vera e Planetaria quanto lo siano la fisica e il Sistema Solare a cui noi apparteniamo.

“Viviamo nel migliore dei mondi possibili”

 

Io non sono un pessimista, né un idealista

e non ho assoluti. Sono un naturalista, ac

cetto la realtà per quello che è e cerco di

vivere in essa come meglio posso.

 

Il filosofo tedesco del diciassettesimo secolo, Leibniz, credeva che noi vivessimo “nel migliore dei mondi possibili”. Purtroppo, non è così. Noi non viviamo nel migliore dei mondi possibili. Per nulla. Come ha potuto pensare questo, lui un filosofo? Ha mai riflettuto sul vero stato, sul vero accadere delle cose nel mondo in cui viveva? L’ha mai visto per com’era e non per come “lui” voleva che fosse? Ha mai pensato che la società che lo rappresentava era governata dalle peggiori creature della sua stessa specie e, nonostante ciò, questi signori si facevano passare per dei migliori? Sapeva che tutto ciò che appariva nell’intero universo, fisico o biologico, inanimato o animato, vegetale o volatile, pesce o roccia, tutto, dalla prima particella alla più grande delle stelle, tutto era condannato a finire, prima o poi, nel peggiore dei modi possibile?

Certo, mi rendo conto che ai suoi tempi l’apertura mentale era quello che era, però da qui a dire che vivevamo nel “migliore dei mondi possibili” ce ne vuole! Giusto sarebbe stato di dire che “Vivevamo nel peggiore dei mondi possibili”.

Diciamocelo tutto in una volta: bisogna essere innocenti o bigotti o machiavellici per dire certe cose, filosofi o non filosofi!

Quello che È e quello che NON È : Ieri, Oggi e Sempre

 

Io non sono un pessimista, né un idealista

e non ho assoluti. Sono un naturalista, ac

cetto la realtà per quello che è e cerco di

vivere in essa come meglio posso. *

 

Qui parliamo di quello che NON È.

Abbiamo, consciamente o inconsciamente, riempito la Terra e la nostra testa, tra l’altro, di invenzioni, di cose che non esistono, che non si vedono, che non si sentono, che non si toccano, che non si trovano sulla Terra, né nel sistema solare, né nel resto dell’universo. Viviamo di bugie, ci alziamo il mattino e ci raccontiamo bugie, andiamo a letto la sera raccontandoci bugie, sogniamo durante la notte bugie, adoriamo le bugie, siamo una specie schiava delle bugie.

Alle bugie abbiamo costruito i più grandi e i più falsi edifici e monumenti. I pittori e gli scultori più geniali della Terra gli hanno dedicato le loro opere più belle; i poeti più illustri i versi più toccanti; tutti gli artisti, piccoli e grandi e da ogni angolo della Terra, hanno cantato e osannato bugie a questo e a quello idolo non esistente. Siamo una specie che si nutre di una vuotaggine ragionata, cioè di bugie.

Le bugie però non ci aiutano a crescere, né a vivere meglio. Tutt’altro, sono la base della discordia e della violenza fra noi umani. Infatti, nonostante la nostra lunga storia, siamo rimasti cattivi, cattivi e infantili. Stiamo, non solo distruggendo il mondo che ci ospita, ma anche ci stiamo autodistruggendo.

La domanda a questo punto è: “Fino a quando riusciremo a cibarci di bugie senza che ci vanno di traverso e ci affogano?

 

*          Io credo che la nostra salvezza come specie di questo pianeta, l’otterremo solo e solo se impareremo ad accettarlo per com’è e non per come NOI vogliamo che sia.

Mangia o sarai mangiato

 

La realtà per quello che è

E non per quello che noi

Vogliamo che sia

 

C’è un darwinismo atomico: le particelle, gli atomi, i corpi infinitesimali si mangiano l’un l’altro.

C’è un darwinismo dei fenomeni più grandi: i corpi fisici, e di tutte le dimensioni, si distruggono e si divorano a vicenda.

C’è un darwinismo biologico: il più forte mangia il più debole.

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Lo zio Carlo e le parole che più mi hanno fatto riflettere sulla vita

 

Avevo cinque o sei anni allora. Eravamo in pieno inverno. Fuori faceva freddo, si sentivano raffiche di vento e pioggia mista a grandine sul tetto. Io e lo zio Carlo eravamo seduti in silenzio vicino al focolare in cucina. A un certo punto, lo zio, di punto in bianco, mi assalì dicendo:

“Lo sai, lo sai che tu sei più ricco di me?”, ha detto in dialetto.

“Non è vero, zio,” ho risposto io pronto come se quella domanda me la fossi aspettata, “sei tu il più ricco.”

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Le università sono fabbriche della mente machiavellica

 

 

La realtà sociale per quello che è

E non per quello che noi vogliamo che sia

 

La scienza, quindi le università. Queste, di cui noi andiamo così fieri, in realtà, sono fabbriche della mente. Non sfornano solo “scienza, filosofia e umanità”, sfornano anche e soprattutto servi, schiavi, bigotti, parassiti e psicopatici dell’Establishment, ma soprattutto sfornano quelli che non ne hanno mai abbastanza di averi e poteri. Potremmo dire, quasi quasi, che tutto quello che sfornano queste fabbriche della mente machiavellica, è al servizio dei briganti che governano il mondo.

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Un sogno che si trasforma in un incubo

 

Perché hai un viso così sorridente questa mattina?

Perché non dovrei averlo?

Perché, a volte, particolarmente appena alzato, hai un aspetto che solo a vederlo non so se piangere o ridere.

Non è sempre così.

Fortunatamente.

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Sono un apolide, però quello che mi piace di più è sentirmi un cittadino del mondo senza classe e senza frontiere

 

 

E, nonostante ciò, nonostante questa mia apoliticità, ho da dire questo alla nostrana politica. Per me Renzi non vuole una “Italia viva”, vuole una “Italia morta!” Punto. Il partito 5 stelle si dovrebbe vergognare, incluso il suo fondatore, e questo se avesse un poquito di rispetto per gli italiani e un poquito di umana dignità. Così dovrebbe fare anche il partito di quello che una volta si sgolava urlando nei microfoni e dai parchi “Roma ladrona”, per poi scoprire che in materia di ladroneria, superava la “Roma Ladrona” all’infinito.

Devo però ammettere che Giuseppe Conte è stato l’unico politico di questo paese che ha attratto la mia attenzione. Ho ascoltato due dei suoi interventi e anche le domande e le risposte che ha dato ai giornalisti, e quando l’ho sentito dire che amava il Popolo italiano, mi è parso che l’avesse detto col cuore e che era onesto. Era pronto a mettercela tutta per tirare l’Italia fuori dalla pandemia e dal bordello in cui si trova perennemente. Ho intuito, allora, e per la prima volta, che l’Italia aveva un politico che avrebbe fatto di tutto, nonostante i suoi sbagli, la sua inesperienza e i suoi limiti, per tirarla fuori dai guai. Ho pensato, a sangue caldo, che se mai fossi andato a votare, l’avrei votato.

Per conto mio, non c’è in Italia un solo partito che ritengo degno del mio voto e per questo non vado a votare, perché allora voterei Conte? Perché ha avuto il coraggio di dire in uno dei suoi speech che amava il Popolo italiano: “IO AMO IL POPOLO ITALIANO”. Non sono sicuro se ha usato queste parole e in quest’ordine, ma in sostanza è quello che ha detto, cosa questa che non ho mai sentito dire da un altro politico italiano e a me questa frase ha colpito molto.

I politici italiani, e il mondo intero ormai lo sa, fanno bene solo tre cose: la  prima come aumentarsi sempre, crisi o non crisi, lo stipendio e tutta una serie di diritti che i cittadini non si sognano neppure, la seconda come ridicolizzare il loro paese e, infine, of course, come distruggerlo. Tre cose, queste, che pare che facciano parte del loro DNA.

Cos’altro dire? Solo questo. Con certi doni, anche se io non ci credo, però la realtà lo conferma, con certi doni si nasce, e se si nasce così, cosa possiamo farci!?

 

 

L’Innominabile

L’Innominabile *

 

Einstein pubblicava, nel 1905, i suoi famosi articoli sulla rivista scientifica “Annalen der Physik” dove solo pochi scienziati e con fatica riuscivano a capirci qualcosa; io pubblico i miei articoli sul Web, su Facebook, su Twitter e chiunque, data la loro semplicità e realtà, può leggerli e capirli nel mondo intero.

 

 Come si presenterebbe il mondo se non ci fossero esseri umani? In realtà, se non ci fossero esseri umani, per quello che ne sappiamo, il mondo non si presenterebbe affatto, perché non esisterebbe. Oppure esisterebbe, però sarebbe come se non esistesse. La sua realtà, il mondo, la deve a noi. Senza di noi diventerebbe una realtà invisibile.

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Il manifesto dell’anti-arte *

 

Tutto quello che fino ad oggi abbiamo considerato arte, arte in realtà non è, è propaganda, è divulgare l’assassinio. Detto diversamente, è scrivere, dipingere, poetare, comporre, scolpire, costruire, fare film, creare canzoni, spettacoli, opere, in breve  e con qualche mini eccezione, è sintonizzare gli organetti del malaugurio sul fare di quelli che governano il mondo con il culo. Non si parla infatti che di loro, di loro! I veri autori d’una civiltà fallita e mostruosa.

 

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Credenza e tipologia di credenti

 

Otto punti di vista sulla credenza religiosa: quello dell’ignorante, quello dell’egoista, quello dell’avveduto, quello dell’assoluto, quello della volontà di fede, quello dell’agnostico, quello dell’ateo e quello della credenza istituzionalizzata.

 

La credenza IGNORANTE

Questa non ha nessun valore. Quale valore potrebbe avere una credenza ignorante (ignorare vuol dire non sapere, essere all’oscuro, non avere cognizione) e incolta? Nessuno. È una credenza pericolosa sia per l’ignorante sia per la società. Il credente ignorante è facilmente manipolabile, suggestionabile, è come un pesce che abbocca al lamo: gesto fatale! Tra la credenza ignorante e la credenza dei cani di Pavlov, non c’è differenza. Il credente ignorante, come la bestia, ignora, non sa, crede ciecamente. È il pollo che crede che il suo benefattore va a portargli da mangiare come fa tutte le mattine e, invece, da lì a poco, sarà esso stesso a essere mangiato. La credenza ignorante non ha una paternità culturale degna di essere presa in considerazione. È una credenza stolta e animalesca e nulla più.

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