L’Italia analfabeta – post 12

Bambina danese, signora italiana e il giro

Voglio raccontarvi tre brevissime storie, due di parecchi anni addietro e una recente. La prima.

Sono vissuto per un paio d’anni, verso la fine degli anni Settanta, in Danimarca, a Copenhagen. Condividevo un appartamento con una giovane coppia danese che aveva due figli. La bambina, che non doveva avere più di 7/8 anni, una mattina entrò nel bagno e mi vide fare la doccia. Le dissi subito un po’ sgarbatamente di uscire e di chiudere la porta. Lei, che aveva capito il mio disagio, composta e tranquilla mi apostrofò dicendo che a scuola aveva imparato tutto sull’anatomia sessuale dell’uomo e della donna e sapeva anche cosa succedeva quando si faceva all’amore: nascevano i figli. Poi, sempre composta e padrona di sé, uscì chiudendo la porta e facendomi un gesto, una specie di saluto sfottente e teatrale con la mano destra.

Ero rimasto di stucco.

La seconda è successa verso la metà degli anni Ottanta.

Una sera, mentre ero con Lorenza a cena da nuovi amici, la nostra ospite, una signora sui 35, madre di tre figli, ancora bella e disinvolta, disse qualcosa che ci stupì molto. Disse che, fino a quando non si era sposata, a ventun anni, non sapeva da che parte del corpo nascessero i bambini né come si facessero.

La signora in questione non era analfabeta, se per analfabeta s’intendono solo quelli che non sono andati a scuola, pas du tout, era andata a scuola e aveva fatto anche qualche anno di università. Poi, mentre era all’università, aveva incontrato il suo “uomo ideale” e, come conseguenza, aveva smesso di studiare e si era sposata.

Questa rivelazione, questa totale ignoranza in materia di riproduzione e di nascita della signora, non la conosceva neppure il marito. Nel sentirla ne era rimasto di stucco. Anche noi.

La terza storia.

Quest’anno, 2014, il giro arrivava al santuario di Oropa, a circa 1.200 metri di altitudine. La strada che portava i corridori a Oropa passava da Biella ed era tappezzata di scritte. Tra le quali ce n’era una che non parlava di ciclisti, ma imprimeva sull’asfalto a lettere grandi e maiuscole “Viva la figa!”. Quando il cameraman ci ha fatto vedere questa scritta, io sono scoppiato a ridere. E non solo. Ho subito pensato ch’era la scritta più interessante e più sensata di tutte, quella che spiegava la ragione agonistica del ciclismo e di ogni altro sport.

Bene, alcuni giorni dopo il giro, sono andato in montagna e ho fatto la stessa strada dei ciclisti. Quella scritta, “Viva la figa!”, non c’era più, l’avevano coperta di catrame!

 

Nel prossimo post: I semi che non germogliano

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