Biella, città non di vita, ma di suicidi – 3 post, il primo

urlo-munchRipropongo 3 post sui suicidi a Biella che avevo già pubblicato sul mio blog nel 2013. Le cose non sono cambiate, anzi, col passare del tempo, divengono ancora più incalzanti e drammatiche. Come dire, pare che ci sia qualcosa di trascendente, una specie di vocazione al suicidio: il suicidio che invita al suicidio come l’abisso invita all’abisso. Verrebbe da dire, ironicamente, se si può ironizzare su un argomento del genere, si vive così bene in questa piccola città del nord che la gente non vede l’ora di ammazzarsi. Cosa e chi spinge queste persone a quest’atto estremo? Ci dovrebbe essere una ragione: qual è? Valori che non sono più valori? Stili di vita sbagliati? Cieco adeguamento dai risvolti ribelli e inconsci? Problemi economici? Disoccupazione forzata? Bigotto conformismo? Pecoraggine dai frutti insapori? Disperazione esistenziale? Problemi famigliari? Amore che non è più amore, ma catene? Mancanza di strutture adeguate? Rigidità di sentimenti e pensieri? Un pessimo clima? Troppa fantasia, ideali? Poca flessibilità culturale? Cosa, cosa fa sì che thanatos abbia tanta fortuna a Biella?

Il primo post

Un direttore di banca, alcuni anni fa, mi disse che Biella è, se non la città più ricca d’Italia, sicuramente una fra le più ricche. Allora, mi è venuto da pensare, dato il flagello di suicidi che sta avvenendo, che qui la gente si suicida, non perché ha problemi di carattere economico, ma perché è stufa di vivere, come fanno spesso i ricchi suicidi svedesi. Avendo vissuto fino in fondo la propria vita, sazi e però stufi di questa routine e temendo l’inevitabile, si fanno fuori. Oppure, come diceva già nel Diciottesimo secolo il dottor Samuel Johnson: “When a man is tired of London, he is tired of life – “Quando un uomo è stanco di Londra, è stanco della vita.” Così i Biellesi, quando sono stufi e sazi di Biella, sono stufi e sazi della vita. Ecco, mi sono detto, un bel modo di concludere la propria vita. È un privilegio e un’illuminazione scegliersi la propria fine. Il suicidio, infatti, quello che ci libera d’una condanna annunciata, inteso in questo modo, è una liberazione ideale oltre che una vera e propria rivoluzione esistenziale. Ma le cose, poi, stanno proprio così?

Intanto ci sono diversi tipi di suicidio e vanno dal più nobile al più ignobile. C’è il suicidio stoico, politico, ideologico, esistenziale, filosofico; poi ci sono i suicidi per disperazione, i suicidi di quelli che vanno in bancarotta, i suicidi di coloro che sono forzati a suicidarsi, tipo quello dei kamikaze; per non parlare dei suicidi per scommessa, i suicidi d’amore, i suicidi per malattia, dei drogati, dei nazisti, ecc.

Per il suicida la vita vale meno dell’atto che lo spinge a togliersela. Il suicidio è un atto assurdo, contro natura. Lo si può giustificare solo e solo se lo si commette per un grande ideale, ragione, scopo, altrimenti, per giustificarlo, bisognerebbe conoscere cosa c’è dopo l’atto distruttivo, mortale. E questo non si sa, nessuno lo sa, nessuno è mai ritornato da quel continente sconosciuto che segue alla breve vita umana, tanto per citare il vecchio Shakespeare o chi per lui. “Il suicidio, diceva un altro grande del pensiero, Primo Levi, è un atto meditato e non un atto istintivo.” Corretto. Proprio come il suo. Anch’egli si suicidò. Un gesto meditatissimo, ne più ne meno che come quello del filosofo francese, Jules Lequier.

Questi voleva scoprire se veramente Dio esistesse oppure no. Così, un giorno, si recò deciso sulla spiaggia, si spogliò, si buttò in acqua nudo e poi, bracciata dopo bracciata, si portò in mare aperto, lì dove si vedeva solo il cielo e s’intuiva l’abisso che c’era sotto di lui. A questo punto non gli rimase che mettere alla prova l’Onnipotente. Ed è proprio quello che fece il filosofo francese. Smise di nuotare, alzò la testa dall’acqua, guardò verso il cielo, disse: “Dio, se esisti salvami!” Il suo corpo fu pescato alcuni giorni dopo in fondo al mare.

UN INVITO: passate parola, condividete, dite ciò che pensate. Per crescere e maturare culturalmente (non biologicamente, di questo si occupa la natura), abbiamo bisogno di comprendere, di comunicare, confrontarci, dire la nostra brutta o bella che sia. Fatelo! La vita è qui e ora e poi mai più! Non perdetevi questo confronto con voi stessi e coi vostri simili. Siamo tutti degli esseri umani! È questo ciò che raccomanda agli amici del Web, Orazio Guglielmini.

 

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