Il Paese delle meraviglie (8)

Il dono della fede

Il nostro paese, Rossi, è pieno di quelli che si vantano di avere il “dono della fede”. Fortunatamente, per quello che ho potuto capire dalla nostra esperienza epistolare, tu non mi sembri uno di questi, altrimenti scriverti questa Lettera sarebbe stato inutile.

Ebbene, quando sento gente che dice di avere il “dono della fede”, mi viene subito in mente un quadro di Goya, di cui adesso non ricordo il titolo. L’artista si è sicuramente divertito a dipingere, in un posto vicino al mare, una di quelle fiere contadine dove la gente va per vendere o scambiare quel che produce. La giornata è bella e gli scambi sembrano andare bene. Poi, improvvisamente, succede qualcosa; c’è un trambusto, un panico generale e tutti, animali e umani, corrono a destra e a sinistra a rotta di collo. Solo una bestia, tra tutti, non si muove, non si fa neppure prendere dal panico all’avvicinarsi del mostro che arriva dal mare.

Indovina che bestia è, Rossi, quella che non si fa prendere dal panico? Bravo, proprio così, un asino. Questo, felice e sereno come una pasqua, malgrado tutto quel pandemonio, continua a mangiare come se nulla stesse succedendo intorno a lui. Incredibile! Lo spiazzo che poco prima era tranquillo e pieno di animali frutti verdure gente vita, da un momento all’altro, è rimasto vuoto, deserto. Solo lui, l’asino, prosegue placido a mangiucchiare, a ruminare, a star calmo. E tutto questo mentre il mostro marino esce dal mare e si avvicina a lui!

Ah, il coraggio dell’ignoranza, Rossi! Questo sì che è un dono! Lo diceva anche Flaubert. Non ricordo in quale libro l’ha detto. La metteva grosso modo così, lui: “Per essere felice occorrono tre cose: essere imbecilli, essere egoisti, avere una buona salute; però, avverte l’autore di Madame Bovary, se manca la prima, allora tutto è finito!” Essere felice, dunque, è essere imbecille. Come vedi, l’ignoranza è una benedizione, ed è proprio quella che ci vuole per avere il “dono della fede”, per vivere bene nel Paese delle meraviglie.

Voglio raccontarti ora, Rossi, una storiella diversa da quella del quadro di Goya. Una sera, mentre ero con mia moglie a cena da amici, la nostra ospite, una signora sui 35, madre di tre figli, ancora bella e disinvolta, disse qualcosa che mi stupì molto. Disse che, fino a quando non si era sposata e aveva avuto il primo figlio, a ventun anni, non sapeva da che parte del corpo nascessero i bambini, né come si facessero. Li portava la cicogna le avevano sempre detto e lei ci aveva sempre creduto!

Guarda, Rossi, che la signora in questione non era analfabeta, pas du tout, era andata a scuola e aveva fatto anche qualche anno di università. Poi, mentre studiava, aveva incontrato il suo “spiedo ideale” e, come conseguenza, aveva smesso di studiare e si era sposata.

La gentil signora, sicuramente, ha raccontato la sua storia sotto l’influenza del vino, in vino veritas, e il mattino seguente, forse, ripensandoci, se ne sarà pentita. Intanto le cose le aveva spifferate. Anche il marito era rimasto di stucco. Non conosceva questo prezioso segreto della consorte. Non gliel’aveva mai confessato, mai detto che fino all’età di ventun anni non sapeva da che parte del corpo nascessero i bambini né come si facessero.

Insomma, non so proprio come spiegartelo altrimenti, amico, ma posso assicurarti che tutte le volte che sento gente dire che ha il “dono della fede”, a me, in automatico, salta subito in mente l’asino di Goya e la storiella della gentil signora.

 

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