La favola di Bogududù e la favola di Geova – in 10 post, il primo

Introduzione (1)

Vorrei proporre, nei seguenti 10 post, due favole, quella di Bogududù e quella di Geova. Prima, però, una brevissima introduzione.

Prima di parlarti della “favola di Bogududù” e della “favola di Geova”, Rossi, cercherò di farti capire come la religione si sia propagata e affermata ai suoi tempi. Dovrò parlarti, quindi, del suo motore principale: la divulgazione. Questa, grazie appunto ai favolosi tempi in cui si formò e si affermò e, grazie al suo insegnamento didascalico, ebbe carte blanche e lunga vita. I così chiamati preti, monaci, chierici, gente che lavorava per la diffusione della dottrina Cristocatto (“Cristo” sta per cristianità e “Catto” per cattolicesimo, quindi “Cristocatto”), erano, almeno fino al Concilio di Trento, ancora più beceri di coloro che dovevano convertire. Ma la cosa non si fermò solo a questo mezzo rozzo di divulgazione. La Chiesa si servì anche, e in particolar modo, dell’arte e degli artisti di quel tempo per meglio propagandare la sua ideologia. Attraverso l’espressione artistica riuscì a mettere in movimento una tremenda macchina di diffusione di idee in un periodo, il Medioevo, in cui il quoziente d’intelligenza non era al di sopra del mio cane Genio.

Il contenuto del messaggio era la resurrezione, il paradiso dopo la morte, la vita eterna, ecc. Una trovata geniale. Forse la più astuta e spietata di tutte le trovate fantastiche. Gli uomini, da quando erano diventati uomini, la paura della morte non li lasciò più e col tempo, più divenivano consapevoli della fine della loro vita, più divenivano spaventati della morte. 2 + 2 fa 4. La morte è la morte, terrore assoluto, piaccia o meno. I preti, dunque, con la loro favola, dall’oggi al domani, trasformarono la paura, il terrore, lo smarrimento, la vigliaccheria, in speranza, fede e vita eterna. Grande, vero? Tutti volevano resuscitare dopo la morte; tutti, anche i più miserabili e i più sanguinari, si convertivano al cristianesimo. La Chiesa era il luogo della salvezza terrena; il cielo la salvazione eterna. C’era anche l’inferno, naturalmente, per chi non la seguiva. Le fiamme erano il terrore. I poveri di spirito, solo a sentir menzionare il forno ardente, cambiavano all’istante colore, si pisciavano addosso, la paura gli mozzava il fiato.

Per alleviare questa tortura mentale dalle atroci punizioni dopo la morte, la Chiesa s’inventò, genialmente, un secondo espediente. Il primo, of course, è la favola di Geova, e il secondo le donazioni, e cioè ogni sorta di obolo, oblazione, indulgenza, prezzo, costo, parcella (Martin Lutero si scagliò contro le indulgenze con 95 tesi che inchiodò sulla porta della sua cattedrale a Wùrttemberg ed è da qui, dalle indulgenze, che nasce il protestantesimo). Cosa voleva dire questo? Voleva dire, Rossi, che se tu ammazzavi tua madre, tua sorella, i tuoi figli, tutta la tua famiglia, tutta la tua parentela, tutto il tuo vicinato, nessun problema. Ma figurati! Affatto. Bastava solo pagare, ovvio, secondo la gravità del crimine!, e il papa, la Chiesa, Dio in persona ti liberavano, scolpavano, ti toglievano da tutti i tuoi peccati ( vedere “Taxa Camarae” di papa Leone X ). Così, con un solo colpo di spugna, vale a dire con tanto denaro, tutti i tuoi crimini e peccati, dal più soft al più efferato, venivano cancellati e tu eri di nuovo libero e potevi volare in paradiso dopo la tua santa santissima morte. Di più. Volevi un posticino vicino al Signore? Nessun problema. Pagavi e il posticino era tuo. E così, amico mio, la Chiesa diventava, grazie a questo spennamento divino, sempre più ricca e più ricca e più ricca.

Il clero, corrotto fino al midollo, utilizzava la favola religiosa per trarne vantaggi economici e di potere; non credeva né all’inferno né al paradiso, ma solo al particulare suo, come diceva Guicciardini. C’erano anche gli ingenui, of course, sempre del clero. Questi, quando commettevano peccati, per redimersi, si pestavano a sangue, si flagellavano, si autopunivano. E non solo loro. Anche poeti e artisti, come Jacopone da Todi, si autoumiliavano a tal punto quando peccavano contro lo Spirito Santo da considerarsi peggiori della merda d’un lupo. La Chiesa, amico mio, se da una parte ti aveva ( falsamente ) risolto il problema della paura della morte, dall’altra l’aveva incrimentato con altri mille castighi ancora peggiori se non seguivi i suoi ordini, precetti, regole, obblighi. Insomma, era riuscita a terrorizzare tutti con le sue mostruose e raccapriccianti invenzioni dell’orrore e della morte.

Dante, un tomista, un credente cieco, una creatura pia, un plagiatore, era convinto che il mondo fosse piatto com’era scritto nella Bibbia e che, dopo la morte, sarebbe andato dritto dritto in paradiso a congiungersi con la sua Beatrice ( che sua, in realtà, non era: era stata sposata ad un altro uomo! ) e a vivere felice e contento insieme a lei per l’eternità. Questo signore ha trascorso la sua vita masturbandosi una volta nell’inferno, una in paradiso e un’altra in purgatorio.

Impensabile oggi una cosa del genere, ma per quei tempi, quei favolosi tempi, era invece il momento ideale per trovare poeti, pittori, artisti di ogni sorta che mettessero il loro talento al servizio della Chiesa, la più grande mistificatrice, corruttrice e raccontatrice di favole del pianeta, rendendo così molto più facile il suo lavoro di diffusione e d’indottrinamento religioso.

Dopo questo accenno introduttivo, ecco a te, Rossi, “La favola di Bogududù” e “La favola di Geova”. Partiamo con la prima.

 

Nel prossimo post, la favola di Bogududù (II)

Tratto  da L’Indifferenza divina

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