La politica dello Stato predatore – due post, parte seconda

Scrive Agostino di Ippona “Una volta che si è rinunciato alla giustizia, che cosa sono gli Stati, se non una grossa accozzaglia di malfattori? Anche i malfattori, del resto, non formano dei piccoli Stati? Si tratta infatti di un gruppo di uomini comandati da un capo, tenuti assieme da un patto comune e che si spartiscono un bottino secondo una legge tacita. Se questo male si allarga sempre più a uomini scellerati, se occupa una regione, fissa una sede, conquista città e soggioga popoli, assume più apertamente il nome di regno, che non gli viene dalla rinuncia alla cupidigia, ma dal conseguimento dell’impunità”, La città di Dio, pp. 221-222.

Scrive Nietzsche in “Così parlò Zarathustra”:“Stato si chiama il più freddo di tutti i gelidi mostri. Mentisce anche a (sangue) freddo: e questa menzogna esce strisciando dalla sua bocca: “Io sono lo stato, sono il popolo … Ma lo stato mente in tutte le lingue del bene e del male; e qualsiasi cosa esso dica, mente; e qualsiasi cosa esso possieda, l’ha rubata. Tutto è falso  in  lui: esso morde con denti rubati ad altri, quel mordace. Anche le sue viscere sono false”, p. 87.

Scrive Alexander Berkman: “Sempre e ovunque, qualsiasi sia il nome che prenda il governo, qualsiasi sia la sua origine o la sua organizzazione, la sua funzione essenziale è sempre quella di opprimere e sfruttare le masse e di difendere gli sfruttatori e gli oppressori. La sua principale caratteristica e i suoi strumenti indispensabili sono il poliziotto e l’esattore fiscale, il soldato e la prigione”, sito Internet “L’anarchismo e parecon”.

Scrive Karl Löwith in “Il nichilismo europeo”: “Lo Stato ha imparato dagli industriali a sfruttare il credito, e lo fa con l’ostinazione di chi sa che la nazione non può farlo fallire: ora lo Stato se ne sta lì, accanto a tutti i truffatori, come supremo capo-sfruttatore”, p. 21.

Noam Chomsky, nel suo libro “Sistemi di potere, conversazioni sulle nuove sfide globali”, alla domanda di David Barsmian “Quanto peso ha la macchina della propaganda nel ridurre alla docilità e alla passività i cittadini statunitensi?”, risponde così:

“È questo il punto, e lo è fin dalla notte dei tempi. È così che funziona la soggezione ai sovrani, ai sacerdoti, la sottomissione alle autorità religiose. Sono i sistemi dottrinari del potere a cercare di ridurre la gente alla passività. I grandi apparati propagandistici con cui abbiamo a che fare oggi, molti dei quali derivano dall’imponente industria delle pubbliche relazioni, furono scientemente creati circa un secolo fa proprio nei paesi più liberi al mondo, il Regno Unito e gli Stati Uniti, quando si approfondì la questione e ci si rese conto che il popolo aveva conquistato così tanti diritti che sarebbe stato arduo sopprimerli con la forza. Era quindi necessario tentare di controllarne i comportamenti e le convinzioni, o provare a modificarli in qualche modo. Come ha notato l’economista Paul Nystrom, bisogna creare il consumatore per poi indurre in lui dei bisogni, così da metterlo in trappola. È un metodo molto diffuso.

“Vi facevano ricorso gli schiavisti, ad esempio. All’epoca dell’abolizione della schiavitù, il Regno Unito possedeva diverse piantagioni nelle Indie occidentali, in cui venivano usati gli schiavi. Quando la schiavitù fu abolita ufficialmente, si aprì un ampio dibattito parlamentare su come tenere in piedi lo stesso sistema. Cosa avrebbe impedito a un ex schiavo di andarsene sulle alture, dove c’era  tantissima terra a disposizione, e vivere felice lassù? Così escogitarono lo stesso metodo seguito da tutti: cercare di irretirli con dei beni di consumo. Li allettarono con delle esche: pagamenti agevoli e offerte di vario genere. Quando la gente si fosse ritrovata in trappola perché voleva acquistare nuovi prodotti, e avesse cominciato a indebitarsi con gli spacci gestiti dalle stesse compagnie, allora, nella visione dei latifondisti, si sarebbe ripristinata una sorta di schiavitù,” pagine 38,9.

Scrive l’antropologo Marvin Harris ne “La nostra specie”: “Da un punto di vista evoluzionistico, il problema dell’ingiustizia sociale è inestricabilmente legato alla crisi dello Stato inteso come forma predatoria di organizzazione politica, che nasce, cresce e si diffonde con la spada. Se questo è vero, è molto probabile che la nostra specie non sopravviverà al prossimo secolo, o addirittura ai prossimi cinquanta anni, se non saprà trascendere l’insaziabile volontà di sovranità ed egemonia caratteristica dello Stato”, p. 366.

La storia della politica, ci dice un altro pensatore di cui ora non ricordo il nome, è la storia del fanatismo, dell’egoismo, delle scelleratezze ragionate, la storia del terrore e delle guerre. La sua lingua è progettata, non per parlare di giustizia, di amore, di verità, ma per fare in modo che il delitto sembri rispettabile, che le bugie sembrino vere, le truffe una saggezza demagogica e per dare un senso di solidità alle sue furie logorroiche.

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