L’Italia analfabeta – post 23

Pregi e difetti dei grandi e piccoli “io”

Le culture, in generale, hanno in sé qualcosa di ottuso, possono essere sorde e cieche nel loro intimo. Come dire, costruiscono dei tabù, delle difese, dei torrioni supercorazzati che spesso non permettono a nessuno, a torto o a ragione, di avvicinarle. Le culture, se le critichi, sono come gli animali feriti che puoi toccare ovunque, eccetto lì dove la piaga li tormenta. Anche gli individui sono così. Solo ch’è più facile medicare e prendersi cura d’un singolo individuo che non di tutto un paese.

Detto questo, disse sbrigativamente Orazio Guglielmini a Rossi, dopo aver bevuto l’ultimo sorso di caffè, proseguiamo con metodo e cerchiamo di capire come si sono sviluppate i piccoli e i grandi “io” e cosa rappresentano.

Tanto per cominciare, Rossi, le culture, con i loro diversi modi di pensare, di fare, formano un “io”, un “io” collettivo. In una cultura nazionale, come quella francese, inglese, italiana, ci sono un “Io” grande e un “io” piccolo. Il primo rappresenta la totalità della cultura del paese, è l’Io nazionale; il secondo, il piccolo io, l’io individuale, i diversi modi che hanno gli abitanti d’interpretare l’insieme storico e culturale del proprio paese.

L“io” non appartiene solo agli esseri umani, ma anche a tutti gli altri fenomeni animati e inanimati. Ogni specie o oggetto, nel suo genere, rappresenta un “io”: biologico, vegetale, fisico. Ci sono tantissimi “io” in natura. L’“io” degli esseri umani, per esempio, si distingue da tutti gli altri “io”, perché riesce a esprimere il suo stato d’animo, il suo pensiero. È un “io” conscio di se stesso. Poi c’è l’ “io” animale, che non si esprime come quello umano, ma attraverso un comportamento istintivo, che può essere aggressivo, docile, socievole, arrendevole, passivo, e persino, in alcune specie, intelligente e umanizzato, ecc. Questi due “io” formano l’io biologico. Poi c’è l’ “io” vegetale. Questo si manifesta durante le stagioni. In primavera con le piante ricoperte di foglie, di fiori, di frutti; in autunno, invece, con la caduta delle foglie, il riposo, il letargo. In natura anche quando gli “io” dei diversi fenomeni possono sembrare morti, in realtà non lo sono. La materia non è mai morta, anche quando lo sembra. A livello molecolare, atomico e subatomico, tutto è vivente, le particelle sono sempre attive. Ogni cosa ha un “io”, sia che si muova, sia che vegeti, sia che resti immobile.

Non ci sono solo questi “io”, c’è anche l’io dei pianeti, delle stelle, dei meteoriti, delle galassie, dei buchi neri, dei quasar, delle supernove, degli universi. Gli “io” fisici si esprimono in modo diverso dagli “io” biologici e vegetali. L’ “Io” della Terra può essere visto come un unico “Io”; i continenti come altri “Io” relativi alla loro grandezza fisica e importanza culturale e così via, fino al più piccolo dei paesi. L’Io del nostro Pianeta si esprime con terremoti, tsunami, siccità, eruzioni, valanghe, uragani, inondazioni, tuoni, lampi, la continua deriva dei continenti. È un “Io” superdinamico, superattivo, supergerminale, che produce in continuazione altri “io”. Alcuni spariscono subito, altri sono più fortunati. La Terra è un laboratorio di “io”.

L’Universo rappresenta la totalità delle cose in esso contenute, è l’ “Io” per eccellenza, il padre, anche se non sa di esserlo, di ogni cosa, è colui che squarcia le frontiere dell’ignoto conquistando istante dopo istante sempre maggior terreno nello spazio. È l’oggetto più grande che uno possa immaginare e come tale rappresenta l’ “Io” degli “io”.

In natura ci sono miriadi di “io” e ognuno di essi, inevitabilmente e irreversibilmente, ha nascita, infanzia, adolescenza, età adulta, vecchiaia, morte, annichilimento e, infine, la disgregazione degli elementi stessi che l’hanno composto.

Gli “io”, maggiori o minori che siano, sin dalla nascita, chi più chi meno, manifestano difetti, qualità, bizzarrie, comportamenti positivi e negativi. Gli “io” non nascono perfetti. E così, ogni “io”, alla nascita, si fa portavoce di certe sue caratteristiche e modi di essere, ed è di questi che adesso ti parlerò, Rossi.

Dunque, gli “io” culturali

Riguardo a questi, gli “io” culturali, c’è tanto da dire. Sono degli “io” complessi, hanno a che fare con la loro evoluzione storica. Se prendiamo, ad esempio, l’ ”Io” italiano e l’ “Io” inglese, troviamo una grande differenza nel loro sviluppo storico. Lo stesso vale per l’io piccolo d’un suddito inglese e l’io piccolo d’un cittadino italiano. L’Io nazionale si costruisce su un pensiero che riflette il modo di ragionare e di agire d’un determinato popolo. L’Io nazionale di ogni popolo si può sviluppare in modo realistico o irreale, liberale o dispotico, religioso o ateo, analfabeta o istruito.

I primi empirici oxfordiani sostenevano che Dio era troppo lontano dalla Terra, too far away, per riuscire a capire cosa stesse succedendo tra la gente di quaggiù. E, quindi, sarebbe stato meglio che gli uomini si prendessero cura loro stessi delle proprie faccende e del loro destino. L’Io italiano, invece, si è costruito su una visione metafisica della vita, sulla Provvidenza, sulla convinzione che tutto ciò che succede quaggiù è dovuto a un dio che abita lassù. Un “Io”, perciò, fabbricato non sul reale, ma sul fantastico.

Gli inglesi si fanno portavoce d’un “Io” storico ricco di spunti reali, razionali, umani: la Magna Charta, la Rivoluzione di Cromwell, la Rivoluzione Industriale; l’ “Io” storico italiano si è sviluppato sul pensiero di Agostino, di Anselmo, di Tommaso, sul concetto del bambin Gesù, sulla Controriforma. È un Io che non conosce altro oltre i dogmi della Chiesa e il dispotismo dei principi. Questi due “io”, quello della Chiesa e quello dei principi, a loro volta, si sono trasformati lungo la storia in un unico “Io”: nell’assolutismo, ovvero nel potere cieco e tirannico dei sovrani. La Chiesa e i governanti non hanno mai avuto limiti nel loro operare, si sono sempre comportati da dittatori.

L’Io inglese è un Io empirico, pragmatico, immanente; l’Io italiano si sviluppa guardando il cielo, aspettando la Manna, Dio. È un Io predestinato: Dio ha deciso così e così. L’ “Io” inglese non è predestinato, programmato, l’ “Io” inglese se lo costruiscono gli inglesi; l’ “Io” italiano è un “Io” che va, non dove vogliono gli italiani, ma dove Dio vuole e lo comanda.

Per il bene o per il male, Rossi, come vedi, l’ “Io” inglese e  l’ “Io” italiano sono molto diversi tra loro. Due “stampi” che, sin dall’inizio, hanno pochissimo da spartire nel modo di rapportarsi alla vita sociale e individuale. Un Inglese e un italiano, culturalmente parlando, sono due mondi a parte, anni luce lontani l’uno dall’altro. Solo se sono ricchi d’una grande cultura ed apertura mentale possono superare questo divario che li separa.

 Tutto quello che si avvicina maggiormente alla realtà per com’è e non per come si vuole che sia, ha una visione del mondo più consona, più adeguata alla natura delle cose. Questo è molto importante per una impostazione culturale su base realistica. Le culture che si allontanano dalla realtà naturale e impostano le loro basi su visioni irreali, utopistiche, deistiche, irrazionali, metafisiche, sicuramente, a lungo andare, incontreranno difficoltà di “adattamento al reale”. Queste difficoltà possono essere di ordine economico, istituzionale, politico, familiare, esistenziale. In breve, difficoltà di ogni genere per la semplice ragione che si sono fabbricate una testa con un “Io” falso, alieno, inventato, che non ha nulla a che vedere con la vera natura dell’uomo che è fisica.

Per riuscire a capire bene la nostra cultura, bisognerebbe solo tenere fermo in mente il fatto che “la selezione culturale è l’ancella della natura umana: il suo compito è preservare e propagare i comportamenti e i pensieri che meglio soddisfano le esigenze e le potenzialità biologiche e psicologiche degli individui all’interno di un determinato gruppo o sottogruppo”, Marvin Harris, “La nostra specie”, p. 102.

Diciamo che le culture religiose, come quella italiana, appartengono a quelle culture che si sono erette su basi utopistiche, ideologiche, di padroni e schiavi e non in modo consono alla natura per come l’intende Marvin Harris. Queste culture ideologiche sono nate male, sono anti-culture, sono “Io” nazionali storpi, imperfetti, irragionevoli. Proprio come certe macchine che nascono difettose, come certe specie che nascono inadatte alle esigenze della vita nell’ambiente in cui sono nate, così può accadere anche agli “Io nazionali”. Quello degli italiani è uno di questi. Con questo non intendo dire che l’ “Io” inglese, pur formatosi su basi più realistiche di quello italiano, sia perfetto, questo no. Intendo solo dire che l’avvicinamento alla realtà è più ostico per un “Io” ideologico, un io costruito sul concetto del bambin Gesù e della Provvidenza, che per un “Io” costruito su basi più realistiche e concrete.

Nel prossimo post, L’Io del Paese delle meraviglie

Tratto da Il Paese delle meraviglie

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