Per una filosofia perenne ovvero viaggio nell’immortalità fisica e virtuale (1)

1. Per una filosofia perenne

La definizione di Philosophia Perennis è stata coniata da Leibniz, un filosofo tedesco del Settecento. Nel 1945, Aldous Huxley, narratore e saggista inglese, ha pubblicato un libro dal titolo La Filosofia Perenne, che contiene una serie di citazioni e commenti dei grandi saggi del passato – Buddha, Lao Tzu, Plotino, Agostino, Meister Eckhart, santa Caterina da Siena e tantissimi altri. I discorsi di questi savi hanno come sottofondo il romanzo metafisico, il dualismo corpo e anima, l’ideale e il reale, altri mondi, Dio. Huxley ne parla in modo affascinante, con uno stile avvincente e incantevole. Un affresco, il suo, dove il panteismo, le divinità, il trascendentale, l’aldilà, le religioni si confondono, si mischiano e si esaltano vicendevolmente in un grandioso collage del soprannaturale. Filosofia perenne? È così che l’ha chiamata lui.

Noi, nel nostro accenno alla filosofia perenne, non ci ispireremo ad Huxley, perché non possediamo il suo santo sapere, ci accontenteremo invece, sempre se ci riusciamo, di comprendere un po’ come funziona la realtà fisica.

Iniziamo così, come si costruisce un edificio? Coi mattoni, la calce, il cemento armato. Bene. Noi costruiremo l’uomo servendoci, non dello stesso materiale di cui si servono i costruttori edili, ma lo costruiremo, appunto, con la materia fisica e partendo dalle fondamenta, dalle particelle elementari.

A proposito, le macchine viventi, gli esseri umani, sono più complesse delle macchine meccaniche? Sì, lo sono. Le macchine viventi sono molto più complesse delle macchine meccaniche. Queste sono costruite da gente che conosce, che ha pensato, valutato e calcolato l’insieme del loro operare prima di costruirle. Non funziona così con le macchine viventi. Intanto queste non hanno un costruttore, si sono create da sole lungo miliardi e miliardi di anni. Ogni loro arto, fibra, neurone ha una lunga storia ed è il figlio di una serie di eventi ciechi, di accidenti di percorso, di combinazioni azzardate e, da ultimo, figlio di un quid sconosciuto. In altre parole, l’esistenza del materiale con cui vengono costruite le macchine viventi, resta un puzzle, almeno fino ad oggi. Sappiamo solo che nascono dal nulla, rimangono in vita per qualche tempo, e poi ritornano di nuovo nel nulla da dove sono apparse.

 

I mattoni dell’edificio umano

La materia

Di cos’è composta la materia? È composta di luce, di energia, di particelle subnucleari, di atomi, i quali, unendosi e trasformandosi, formano la materia.

Com’è stata possibile l’infinita varietà della materia, se si è partiti da un singolo atomo? È stata possibile grazie all’illimitata ricchezza di contenuti e di forme che si trovano nella materia. Basta dire che in ogni atomo c’è l’intero universo e l’intero universo in ogni atomo.

Si pensi ad un insetto, ad una balena, una supernova, una galassia, tutti prodotti della versatilità della materia. È una per tutti ed è la protagonista numero uno di ogni cosa che esiste nell’universo. Le sue trasformazioni sono una più sorprendente dell’altra. La più spettacolare di tutte, forse, è  quando la materia inanimata si trasforma in materia animata.

La materia e le sue proprietà non soltanto sono alla base dell’edificio cosmico, ma anche di quello umano. I luoghi, le reazioni, i collages fisici, i collages chimici, le mutazioni, i cambiamenti, l’adattamento, la plasticità del cervello e il caso fanno il resto. L’origine del materiale con cui è stato costruito l’ “edificio cosmico” ci sfugge e, fino a quando non lo conosceremo, dobbiamo accontentarci di ciò che ha detto a riguardo lo scienziato francese, Antoine Lavoisier, nel Settecento: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.


Il corpo

È un mucchietto di atomi, molecole, geni. Quando un corpo muore, gli atomi che gli sopravvivono potrebbero vagare nello spazio per miliardi di anni, addirittura per sempre, senza ricomporsi di nuovo in un altro corpo. Se fossi un prestigiatore, prenderei dal tuo orecchio, lettore, un atomo di carbonio vecchio eoni di anni e te lo mostrerei in tutta la sua freschezza. Proprio così. Allora è chiaro. Noi siamo fatti di atomi che viaggiano nel cosmo. Viaggiare e trasformarci è il nostro destino: siamo fatti così e non possiamo modificarci. Come dire, è la forma-in-composizione, l’oggetto che muore, mentre i “mattoni” restano sempre intatti. È una legge di natura e le leggi di natura sono quel che sono, vanno capite, migliorate se possibile, tenendo in mente che, alla base, comunque, resteranno sempre le stesse.

L’origine del materiale con cui è stato costruito l’ “edificio umano”, lo conosciamo: noi siamo fatti di polvere stellare, di cenere di stelle morte.

 

Le macchine viventi

L’essere umano è una macchina (l’homme machine di La Mettrie), una macchina vivente, che mangia, pensa, parla, si riproduce. Il mondo delle macchine viventi è fatto di specie animali, vegetali, minerali, batteri e regna tra di loro una spietata lotta per la sopravvivenza. Non c’è nulla nell’intero universo che non serva da cibo per l’altro. La lotta è dappertutto, anche nel mondo della flora, e le stelle e le galassie si degustano e si mangiano a vicenda. Il mondo è costruito d’un ‘qualcosa’ nel cui seno c’è scritto: mangia o sarai mangiato. Darwin ha visto giusto: la battaglia per la sopravvivenza è insita nell’anima della materia.

 

La vita e la materia

Queste sono la stessa e medesima cosa. Dove c’è materia c’è vita e dove c’è vita c’è materia. Non c’è l’una senza l’altra. L’elemento vitale fa parte della materia che, a sua volta, fa parte dell’elemento vitale. La vita trasuda, nasce dalla materia. Ovunque nell’universo, date le condizioni giuste, la sudorazione appare, si sviluppa, non necessariamente come la conosciamo noi qui sulla terra, ma in altri modi, in milioni di altri modi, immagini, forme. Come il cervello secerne il pensiero e il fegato la bile, dice il medico e psicologo francese, Cabanis, così la materia secerne la vita. Vita e materia, materia e vita, alla base, sono indistinguibili. Al massimo si può sostenere che la vita è figlia della materia, questa è figlia degli atomi, questi sono figli delle particelle elementari, i cosiddetti costituenti ultimi della materia e questi, a loro volta, figli del mistero. Ecco dove poggia il nostro edificio biologico, la nostra base fisica e vitale.

 

Il cervello

È l’organo pensante nelle macchine viventi. A priori è nulla, a posteriori è tutto. Nasce vuoto, nasce neutro, nasce per caso. Solo una volta creato lo si riempie di questo e quello. Il cervello crea il pensiero, questo la cultura. La cultura cambia da paese a paese. Non si nasce cinesi, cinesi si diventa. La cultura è la nostra seconda natura. Come la fisica forma i corpi celesti così e così, come la biologia forma i corpi biologici così e così, ugualmente la cultura forma le menti umane così e così; in altre parole, ci fissa in questo e in quel sistema culturale. Fondamentalmente, tra natura e cultura, non c’è differenza. L’ordine di partenza è: quid, luce, energia, particelle, atomi, materia, vita, pensiero, cultura.

Il cervello crea la mente, la psiche, l’anima, lo spirito, la spiritualità, la coscienza. Non si dovrebbe dire alla Cartesio: “Penso, dunque sono”, ma si dovrebbe dire: “Sono materia, dunque penso”. Il cogito ergo sum cartesiano, infatti, sembra dire “sono spirito, dunque sono”, “sono idea, dunque sono”, “sono Bogududù, dunque sono” (vedere “Il testamento di Orazio Guglielmini”, libro I, L’Indifferenza divina). Sbagliato, diremmo noi, sbagliato caro Cartesio. Lo spirito, l’idea, Bogududù, senza la materia, non sarebbero mai esistiti e tanto meno il tuo sistema filosofico. Tutto nasce dalla materia e non viceversa. “Sono materia, dunque sono”, ecco il corretto assioma esistenziale.

Una delle qualità dominanti del cervello è la sua flessibilità, duttilità, la sua capacità di migliorarsi in qualsiasi cosa intraprenda o gli si faccia intraprendere. È l’archetipo e il maestro di ogni cambiamento e miglioramento. Si adatta ad un’infinità di forme fisiche e mentali e può immaginarsi qualunque cosa. Il cervello è la coscienza della materia, il suo capolavoro. Ha la capacità di tutto comprendere, capire, vedere, prevedere. È l’occhio del cosmo. In esso il micro e il macro sono di casa.

 

L’indole umana

Per inclinazione naturale cerchiamo il piacere e proviamo ad evitare i dispiaceri, a separare l’utile dall’inutile, il buono dal cattivo, il razionale dall’irrazionale: l’utilitarismo fa parte del nostro patrimonio genetico. Tutto quello che rallegra i nostri sensi, ovvero il palato, l’odorato, la vista, l’udito, il gusto, il tatto, ci piace; tutto quello che ci fa gioire, che ci tiene lontano dai dolori, che ci allieta, che si confà alla nostra natura incline al piacere, è il benvenuto. Scappiamo però dalle cose brutte, dalle storture del cervello, dalle malattie, da tutto ciò che ci può nuocere. Proviamo, con ogni farmaco e mezzo, a tenere lontano i dolori, i mali, gli acciacchi. Siamo portati al piacere e a vivere bene. Siamo creature edoniste, epicuree, figlie del godimento e della gioia. È questa l’essenza del nostro impulso vitale, psicologico, the driver principale della nostra esistenza. L’uomo, per natura, è un essere godereccio.

 

La voglia di vivere

Il nostro impeto vitale vorrebbe essere imperituro. Fa ogni sforzo per durare, rimanere in vita. Impieghiamo non poco tempo nella ricerca di un qualche elisir, di una pozione magica che ci allunghi la vita; facciamo non pochi esercizi fisici cercando di tenerci in forma; ci fiondiamo dal dottore al primo colpo di tosse. Ciecamente e con furia ci battiamo all’ultimo sangue pur di continuare ad esistere. Vivere, dunque, è vivere a tutti i costi e non importa come. È chiaro allora, non vorremmo morire mai. Questa è l’entità della nostra volontà di esistere, di vivere, di durare, volontà dominata da un istinto di eterna bramosia di vita, di immortalità. Per questa nostra voglia di vivere in eterno, ci siamo costruiti i personaggi e i regni più favolosi e più grotteschi al mondo e tutti, nessuno escluso, prodotti della nostra mente.

 

L’egoismo naturale

È una forza istintiva, cieca, bestiale. È camaleontico. È pronto a tutto pur di rimanere in vita. Gli altri non esistono, esiste solo lui, l’egoismo. È il protagonista della vita di ognuno e, anche se ignora il suo ruolo (e come potrebbe se è istintivo e animalesco?), è un ruolo prevalente tra le specie. La natura lo rappresenta. È il suo favorito. Un capolavoro, una sciagura, una fortuna, un destino, una finalità. Persino quando le madri sono pronte a morire per salvare i loro piccini, persino in quell’atto disperato e cieco, c’è il suo zampino. È dappertutto. La lotta per la sopravvivenza è una lotta tra egoismi. Quello più forte astuto e spietato vincerà. L’egoismo crea e guida i singoli, i branchi, i gruppi. È onnipotente. Nella sua cieca impresa di trasmissione genetica è capace di uccidere i piccini della sua stessa specie per accoppiarsi con la madre degli sventurati e dare vita ai suoi. Non lo ferma nessuno. Non tutto però si esprime così furiosamente in natura. Non la maggior parte delle piante, degli animali, dei fenomeni, ma lui sì. L’egoismo naturale è forza distruttiva, dominante, vincente.

 

L’egoismo culturale

Si distingue molto dall’egoismo naturale. L’egoismo culturale è un istinto ultrabestiale. È causa di tanti mali. Quando l’egoismo naturale si è trasformato in egoismo culturale, è stato un momento fatale nella storia delle specie, una vera e propria catastrofe. L’incivilimento non ha fatto altro che alimentare e gonfiare a più non posso questo insaziabile mostro che c’è in noi e che rappresenta la parte, forse, peggiore della realtà bipede. Siamo, nel bene e nel male, i primi e gli ultimi della terra, più gli ultimi che i primi visto che stiamo distruggendo il pianeta su cui viviamo e noi stessi, e tutto questo grazie al nostro egoismo culturale. Miliardi e miliardi dei nostri fratelli animali vengono sgozzati giorno dopo giorno per nutrirci; ogni palmo di terra viene sfruttato per alloggiarci; i mari sono ormai inquinati e in fin di vita. Presto l’uomo, se continuerà così, resterà solo sulla terra, solo col suo egoismo. Un comportamento ragionevole e disinteressato potrebbe aiutare a superare questo incubo, ma a questo lui non è mai arrivato. La realtà è che è, nell’intimo, una macchina ingorda e la sua astuzia e intelligenza sono schiave del suo egoismo. Qualsiasi suo atto è guidato dall’interesse. Non esiste che lui: l’egoismo.

Gli animali esibiscono l’unica immagine che hanno di sé, quella che la natura ha dato loro: il leone quella del leone, il coniglio quella del coniglio, la rondine quella della rondine, l’albero quella dell’albero, i cristalli quella dei cristalli; l’uomo, invece, rappresenta tutte le caratteristiche degli animali, delle piante, dei pianeti, della materia, inclusa la sua maggiore caratteristica: quella dell’egoismo culturale. Questa sua innata predisposizione, se non la si controlla con leggi sane giuste e ferree, distruggerà tutto e tutti, incluso gli umani.

C’è differenza tra l’egoismo naturale e l’egoismo culturale? Tantissima, come abbiamo visto. Il primo è cieco; il secondo illuminato. Dalla civiltà più rozza barbara e primitiva a quella più civile democratica e illuminata, ha regnato sempre lui, l’egoismo. L’uomo più potente della terra, è anche l’uomo più egoista: un barbaro illuminato.

 

Il vero senso del divino

La nostra divinità, o ciò che noi chiamiamo divino, è l’anima stessa del nostro egoismo. Il divino che ci siamo inventati, creati, è la parte più ingorda che c’è in noi. Grazie alla nostra immaginazione e al nostro egoismo ci siamo costruiti dèi, dio, fantasmi, paradisi, aldilà, nirvana e altre incongruenze mentali. Cos’è Jahvè se non la creatura più gelosa, odiosa, egoista, cattiva, fascista, nazista, stalinista, megalomane e criminale della terra? Abbiamo innalzato questo impulso egoistico sulle più alte vette; trasformato la nostra brama di possessione in dio, in paradiso, in vita eterna. Il nostro dio e il nostro egoismo sono la stessa e medesima cosa. E cos’è poi questo nostro dio? È il grado più alto della nostra natura bestiale, quella natura che vuole tutto possedere, tutti comandare e mai morire. Ci siamo trasformati mentalmente da natura mortale in natura immortale, in quel quid che non vuole mai morire. È lui, il dio dell’amore di sé, il Narciso dei narcisi che domina in tutti noi. Siamo vittime delle nostre stesse invenzioni e della sete di avere e di potere. Questo dio dell’egoismo si è costruito, lungo la storia, un mondo crudele, ferino, un mondo dove i furbi, gli assassini, i mostri, si sono appropriati di tutto con ogni mezzo e inganno e, in questo mondo così costruito, gli sciocchi, quelli che non parlano ma belano, esistono solo per rendere bella la vita alla banda dei killer.

L’istinto naturale dell’egoismo ha i suoi limiti: mangia, dorme e si riproduce; l’istinto culturale dell’egoismo non ha limiti. Si crede creatore e padrone del mondo. Nulla di più risibile e grottesco. Questo dio non è altro che l’uomo. La nostra cultura è zeppa di questi uomini “dio”.

 

L’antropocentrismo

Questo non è guidato da una finalità intrinseca o no alla natura, è solo figlio del caso. Tutto porta la sua impronta, la sua firma, tutto è siglato con il suo fare. Gli dèi che l’uomo si è inventato, sono anch’essi farina del suo sacco. La nostra è una cultura antropocentrica. L’uomo crea partendo da sé. Creiamo tutto a nostra immagine e somiglianza. La nostra centralità è indiscutibile. Ogni cosa che abbiamo pensato, costruito, immaginato è fondamentalmente una proiezione di noi stessi. Non sappiamo fare diversamente. La nostra visione del mondo è antropocentrica, l’uomo è al centro di ogni cosa. Lui e sempre lui è il soggetto e l’oggetto, il padrone di ogni fare e disfare. Tutto ciò che facciamo e pensiamo ci rappresenta, porta il nostro nome, il nostro stampo. È stato sempre così, è così e sarà sempre così fino a quando, eventualmente, non riusciremo a trasformarci in cammelli, cosa, però, che non avverrà mai. Non potremo mai e poi mai vedere il mondo con gli occhi di un’altra specie, qualunque essa sia. Per pensare come una capra bisogna avere un cervello da capra, camminare a quattro zampe e brucare l’erba come fa lei.

Tutti i concetti immaginabili e inimmaginabili che abbiamo costruito dall’inizio della nostra storia fino ad oggi, sono nostri: carne della nostra carne, spirito del nostro spirito, anima della nostra anima, quid del nostro quid. Chiunque abbia espresso un concetto lungo la sua vita, scritto o a parole, rappresenta prima di tutto la razza umana e poi, solo poi, la sua biografia personale. Non esistono idee per partenogenesi. L’uomo si accapiglia con l’uomo, interagisce con l’uomo, fa tutt’uno con l’uomo e il suo habitat. Tutte le idee del mondo, del mondo per com’è e del mondo per come non è, sono un prodotto dell’uomo. Satana nirvana dio sono l’uomo, sono un suo prodotto, una sua immagine, creazione, proiezione, stato d’animo. Non c’è altro. Il mondo, direbbe il filosofo tedesco, Heidegger, omeggia.

 

La cultura e il suicidio

Nella nostra natura, se andassimo per gradi di trasformazione, troveremmo prima il quid sconosciuto, cioè il mistero, poi le particelle subatomiche, gli atomi, la materia, le molecole, le cellule, i corpi, la vita, la cultura. L’abbiamo già detto, lettore, e lo diremo ancora. Tieniti pronto. Quindi, la cultura, anche se è la figlia legittima di tutti gli agenti su menzionati, si distingue da essi. In che modo? Mentre le altre componenti sono intimamente strutturate e, per certi versi, anche determinate, la componente culturale non sempre lo è. E perché? Perché, con la forza di volontà, gli individui possono manipolare e addirittura annientare sia il condizionamento culturale ricevuto sia l’impianto biologico. Ad esempio, il suicida, nonostante il suo atto sia contro l’istinto di sopravvivenza, può, grazie alla sua forza di volontà, uccidere la vita, la sua stessa vita e il quid che l’ha creata. Culturalmente parlando, siamo contemporaneamente limitati e illimitati nel nostro agire. Limitati, perché la cultura in cui nasciamo ci circoscrive in questa o in quella lingua, classe sociale, modo di comportarci, mangiare e così via; illimitati, perché con la forza di volontà, possiamo annientare sia il determinismo biologico che il determinismo culturale.

 

La morte

Lo sappiamo benissimo che moriamo, ma ci rifiutiamo di venire a patti con questa nostra realtà, di farcela entrare in testa, di accettarla come una qualsiasi altra cosa della nostra esistenza. Si sa, i nostri componenti vitali – geni, molecole, neuroni – ad un certo punto cedono, smettono di collaborare fra loro, di sintonizzarsi, di nutrirsi, crescere. Questo fa sì che, via via, si raffreddino e muoiano. In natura è così che va tutto: per ogni inizio c’è una fine, così per gli oggetti, gli animali e gli esseri umani. C’è un’entropia costruttiva e un’entropia distruttiva, una parte evolutiva e una involutiva. Quest’ultima ha sempre l’ultima parola. Ora, da quando abbiamo capito questo, che moriamo, che la vita ci abbandonerà prima o poi, ci siamo inventati di tutto pur di esorcizzare la nostra natura effimera e mortale. Questo pensiero e questa voglia di immortalità complica non poco la nostra vita.

 

Umani non si nasce

L’uomo, ed è il caso di dirlo, non è solo ingordo, non è solo egocentrico, non è solo vigliacco o coraggioso, è molto di più. Ha un’altra caratteristica, quella umana. Questa però non è data, va conquistata. È un processo culturale, educativo, razionale, un imparare a vedere le cose e se stessi con ragione e amore. Amare la realtà e se stessi disinteressatamente, ecco una bell’impronta umana. Il barbaro illuminato è anni luce lontano da quell’  “umanità” di cui parliamo qui. Solo una volta coscienti di ciò che siamo e di com’è fatto il mondo, possiamo fare uno sforzo per cambiarci, uno sforzo che ci aiuta a fare il salto da bestie ad “esseri umani”.

 


 

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