Arrivano, arrivano i clandestini!

 A ondate, arrivano da tutte le parti. Non li si ferma più, non li si può più fermare. La fame non dà loro tregua, la fame non conosce pericolo, la fame è cieca. È la forza della miseria. La loro è una questione di sopravvivenza, di vita o di morte. Legge di natura. Gommoni, carrette marine, barche malandate, navi arrugginite, ferraglia navigante, su qualsiasi cosa che galleggia, si muove, vola, arrivano, arrivano i clandestini!

La Libia, la Tunisia, l’Iraq, il Pakistan, l’Albania, l’Afghanistan, l’Africa scaricano sull’Italia, su Lampedusa, sulle coste pugliesi, calabresi, ovunque, scaricano i desesperados, esseri con le pance vuote e senza radici. La loro terra non gliele ha date. Sono i nulla, il bestiame umano, i paria, i dannati della Terra, lo specchio d’un mondo senza anima e senza cuore, un mondo barbaro e grottesco. Arrivano, arrivano i clandestini!

Partono e, quando partono, qualche briciola di speranza si accende in fondo al loro cuore, un cuore provato. Però, ahimè, non in tutti i cuori quella briciola di speranza che c’era alla partenza sopravviverà all’ardua avventura, perché molti di loro non arriveranno mai a destinazione. Capita, e non di rado, capita che le carrette improvvisate su cui viaggiano non resistano alla furia del mare e, come conseguenza, i fondali marini, tra la Libia e la Sicilia, l’Albania e la Puglia, sono cosparsi di cadaveri, cadaveri di clandestini, di extra-comunitari, di queste anime senza patria e senza averi.

Sono i nulla della Terra, sono creature oppresse dall’ingiustizia sociale, dall’egoismo umano, dalla desolazione più nera, dalla discriminazione, da leggi indegne e inumane. Questi esseri, i nulla della Terra, nel cui cuore alla partenza qualche briciola di speranza c’è, rischiano tutto, anche la loro vita, soprattutto questa, pur di sentire accendersi in loro quella scintilla di speranza, tanto cara alla vita!

Molti, dalla passarella della nave non sbarcano in una nuova terra, ma finiscono in fondo al mare. Così, com’è successo ieri, 3 ottobre 2013, a Lampedusa: un’ecatombe! Uno dopo l’altro, uno dopo l’altro, dopo aver fatto qualche gesto disperato per restare a galla, sono scesi a zigzag, ma ormai privi di vita, di spirito, di tutto, sono scesi, non per andare a prendere un bus che li portava verso il pane e la salvezza, ma scesi in fondo al mare trasportati dalle correnti marine. Giù giù giù, in acque spettrali e desolate, sempre più giù fino in fondo al mare. Lì, finalmente, hanno trovato un po’ di requie. Ecco la loro nuova terra, vita, dimora; ecco dov’è andata a finire quella briciola di speranza che c’era alla partenza: in fondo al mare!

 Giù giù giù, fino al letto marino, lì il loro luogo di accoglienza e di pace, e che accoglienza e che pace! Voilà, ladies and gentlemen, voilà dove i piccoli e meschini uomini del Pianeta hanno portato questi esseri umani, nostri fratelli e nostre sorelle, alla fame, alla disperazione e, infine, alla morte! Nessuno, nessuno di questi piccoli e meschini uomini, sia prete o politico, nessuno di loro è degno di parlare in nome di questi uomini disperati che cercano cibo e salvezza per loro e per i loro familiari e invece cosa trovano? La morte, la morte in fondo al mare! Nessuno di questi esseri che amministrano così indegnamente il sudore dei lavoratori è degno di presenziare al loro funerale: i morti non lo vogliono, non li vogliono!

 Arrivano, arrivano i clandestini!

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