Elizabeth ed io

Era una ginecologa. Aveva capelli lunghissimi, neri, lisci, carnagione olivastra. I suoi genitori erano irlandesi, suo padre un pastore cristiano. Era religiosissima. La domenica mattina e nei giorni di festa, lei andava a messa, io restavo a casa.

Non lo dicevamo, ma la cosa, col passare del tempo, pesava a tutt’e due. D’altra parte, ci volevamo bene, amavamo.

Quando le ho detto la prima volta che non credevo, lei rispose dicendomi che lo sapeva, aveva letto alcune mie poesie.

“E se un giorno avessimo dei figli, le ho chiesto una volta, come li cresceremmo, atei o credenti?”

“Non lo so,” rispose.

Eravamo sotto Natale, faceva caldo. Le spiagge vicino a Melbourne erano gremite di bagnanti. Elizabeth ed io preferivamo la campagna. Lei adorava la natura, gli animali, gli spazi aperti, io l’odore dei campi.

Prendevamo sempre con noi un picnic. Quella volta ci siamo seduti su una roccia vicino ad una collina. Non so perché, ma quel giorno eravamo parchi di parole. Poi,

“Da quando mi hai chiesto come avremmo educato i nostri figli, nel caso ne avessimo avuti, non ho fatto che pensarci. Ci penso ancora,” disse.

“Hai trovato una soluzione?,” chiesi.

“No,” rispose.

Abbiamo riflettuto non poco al problema che amareggiava le nostre vite. Sapevamo, questo sì, sapevamo che c’era una sola via per risolverlo, ma sia lei che io sapevamo anche che non era il modo giusto. Ci siamo lasciati.

 

 

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