Giacomo – racconto

 

La giornata è stupenda, piena di sole, di verde, di vita; così la veranda, piena di piante e di fiori dappertutto. Fuori, sulla strada, un pullulare di gente che viene, gente che va, gente che entra nei bar e nei negozi e altra che guarda le vetrine. Passa un gruppetto di giovani rumorosi e gioviali, poi dei montanari, degli alpinisti. Una ragazza molto elegante e carina guarda curiosa quel posto immerso tra le montagne. Fai fatica a pensare che sia un’arrampicatrice, però potrebbe esserlo. Ti raggiunge l’odore d’un profumo. Lo riconosci. Ti ricorda qualcosa. Contemporaneamente a questo ricordo senti dentro di te un guizzo, un guizzo che percorre il tuo corpo. Strano, è da tempo che non sentivi qualcosa del genere. Ne senti un altro e un altro ancora. Cosa ti sta succedendo? Decidi. Chiami la signora. Arriva. Le dici che vuoi uscire. Si oppone a questa tua idea. Dice che ha l’ordine di non portarti fuori. La zittisci. Urli. Dopo questa scarica di parole sentite, sei già stanco. Trovi solo la forza di dire che sei stufo di stare in casa. Ti ha capito. S’intenerisce. Cede, contro cuore, ma cede. Ti prepara e non senza sforzi sia da una parte che dall’altra. Infine sei sulla carrozzella, sei in strada, in un giardino pubblico.

Sempre tanta gente. È domenica, è primavera, fa bel tempo, tempo di scalate e di sogni. Le aiuole sono piene di petunie, primule, tulipani, rose selvatiche; i balconi pieni di gerani; gli alberi, con le loro chiome verdi, fanno onore alla stagione. Paesaggio stupendo. Lode alla natura. L’odore di quel profumo che hai sentito prima lo senti ancora, ma non vedi la ragazza. La tua visuale è molto limitata. Potrebbe essere al tuo fianco e tu non riusciresti a vederla. La vita continua a schizzare a destra e a manca e in ogni dove. La carrozzella prende una buca. Che colpo! La signora continua a spingerti. È un po’ nervosa. Si capisce. Tu continui a guardare, a sentire guizzi, guizzi che percorrono il tuo corpo, guizzi che profumano di giovinezza, guizzi che ti ricordano il Giacomo d’una volta. Facendo uno sforzo, non con la testa, questa non puoi muoverla né a destra né a sinistra, né in basso né in alto, ma uno sforzo con gli occhi verso il cielo. Sbirci le alte cime e contemporaneamente ti senti invaso da un affresco di ricordi. Quante volte le hai scalate? E ora?

Arriviamo, infine, al solito bar-gelateria. Ci fermiamo qui, sulla terrazza, stanchi ma soddisfatti ognuno a sua maniera. La signora ordina un gelato per te e uno per lei, due coppette. Riesci a mangiarlo senza il suo aiuto. È delizioso. È da tempo che non ne gustavi uno così buono. Qualcuno ti sbircia. Pietà? Schifo? Cosa? I moribondi sono morti ancora prima di morire. È da qualche anno ormai che mi godo la morte prima di morire. È l’unico svago che rimane a un uomo della mia età e nelle mie condizioni. La vita è uno scherzo e a volte anche un brutto scherzo. Non metterti a pensare queste cose, adesso. Zittisci il tuo cervello. Chiudi l’argomento. Il gelato è buono ed è così buono che mi viene voglia di piangere. Ne prenderei volentieri un altro e poi un altro ancora. Quando arrivano Cati e Roby durante il weekend, mi farò portare di nuovo qui e m’ingozzerò di questa bontà soft e gustosa.

Improvvisamente c’è un tuono. Così, a ciel sereno? Non esattamente. Sento che l’aria sta cambiando rapidamente. Quel clima bello e salubre in cui eravamo immersi sta per essere spazzato via. Si sente un odore repentino di pioggia e di cattivo tempo. Si leva il vento. Il cielo si sta coprendo. Le prime grosse gocce d’acqua, portate da una raffica di vento, colpiscono i tavolini. La gente guarda stupita le montagne, le vette, il cielo. Fa delle smorfie. Rumoreggia e, in meno che non si dica, la terrazza si svuota. I camerieri tolgono in fretta le tovaglie dai tavolini e portano dentro tutto quello che devono e possono.

Andiamo via, piano, ma andiamo via anche noi. Non avremmo dovuto andarcene, per conto mio. Era meglio fermarci al bar-gelateria e aspettare che il maltempo finisse. La signora è straniera e non conosce il clima di questo luogo. Inizia a far freddo. Non è molto robusta lei né molto giovane e fa tanta fatica a spingere la carrozzella. Una pioggia forte e torrenziale ci coglie per strada. Non abbiamo neppure un ombrello. E chi l’avrebbe mai pensato. Avresti dovuto. Non lei, ma tu sì. In montagna si sa che il tempo può cambiare velocemente. Spinge spinge. In realtà si va piano. Io intanto sono già tutto bagnato, bagnato fradicio e ho tanto freddo. Si è scatenato il finimondo, un vero e proprio temporalaccio. L’acqua viene giù a scrosci. Speriamo che non ci colpisca un fulmine. Faccio gli ultimi gradini che portano dalla strada alla veranda con le braccia e con lo sforzo enorme che fa la signora per tirarmi su, anche lei bagnatissima e arrabbiatissima. Sono esausto, a pezzi, in uno stato pietoso.

Prima di poter fare un bagno caldo ci è voluto tempo. Incomincio ad avere tantissimo freddo, dei brividi, tremo tutto. Il mio umore è cambiato. È bastato così poco? Pare di sì. Mi prende la tosse. Sento che le cose stanno mutando rapidamente e drammaticamente in me. La ragazza, il profumo, i fiori, il bel tempo, il gelato, tutti spariti dalla mia mente. I guizzi di vita di poco prima si sono trasformati in brutti pensieri. Il dottore me l’aveva detto: “Soprattutto non prendere freddo, non bagnarti”. E chi l’avrebbe mai pensato. Aspetto il bagno caldo. Poveretta. È sola, fa quel che può. Non voleva portarmi fuori. Sono stato io… Finalmente sono nella vasca, ma l’acqua non è calda come pensavo. Il boiler non era acceso. Mi viene un colpo di tosse, poi un altro e un altro ancora. Poi più niente.

Le ultime sensazioni di Giacomo prima di dirci addio.

 

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