Il sogno d’una vita – seconda parte

Gli operai che lavoravano alla costruzione della villa dell’Onorevole, si dimenavano più del solito a causa della presenza dei signori. Non si sapeva mai, avrebbero potuto riferirlo al loro padrone se non si fossero dati da fare. Paolo, però, aveva iniziato a far finta di lavorare, ma in verità non faceva che ascoltare con attenzione quello che dicevano i nuovi arrivati. L’incuriosiva molto. L’Onorevole si era seduto su dei mattoni accastellati, si era sbottonato il cappotto di cashmere e lasciava, con un evidente senso di piacere fisico, che i raggi del sole lo riscaldassero. Gli altri tre avevano fatto capannello intorno a lui.

Una delle donne, ad un certo punto, tirò fuori un’insolita storia. Era molto avvenente, indossava una magnifica pelliccia e di tanto in tanto faceva muovere il suo corpo all’interno con grazia e soddisfazione.

“Ve la ricordate la figlia del Ponge?” esordì. “La professorina, quella che faceva alcune ore alla settimana d’insegnamento e, per quelle poche ore, riceveva dallo Stato un non indifferente stipendio? Ebbene, dopo soli quindici anni di servizio, aveva voluto andarsene in pensione. Alcuni anni dopo, quando si era suicidata, la cronaca aveva sostenuto che l’aveva fatto perché si annoiava, non sapeva più che fare del suo tempo libero, si sentiva inutile, frustrata, inappagata. È vero, se ci pensate. Ed è anche vero che aveva fatto i suoi viaggi all’estero, soddisfatta la sua curiosità da pseudo-artista, pacato la sua libidine, e poi? E poi, giustamente come aveva detto la cronaca, la noia, il senso di futilità, il tormento di vedersi sempre più brutta tutte le volte che si guardava allo specchio, il vuoto e, infine, il suicidio. Cazzate, direte voi. E che siano. Tanta gente si suicida e le ragioni per cui lo fa sono infinite. C’è da domandarsi però, e questo i giornali non l’hanno detto, se lo Stato non avesse emanato una legge così assurda come quella di dare la pensione a persone tanto giovani, la professorina Ponge si sarebbe o non si sarebbe ammazzata? È incredibile. No, ancora peggio, è risibile, signori miei. Questo dello Stato, se ci pensiate, è un fare irresponsabile. Ma come si può dare la pensione alla gente proprio quando inizia a rendersi utile alla società, proprio quando inizia ad avere esperienza e capacità lavorative? La professorina Ponge, e me ne frega un corno come voi la pensate, aveva, per così dire, appena finito il suo tirocinio d’insegnante, ed ecco che lo Stato, questa fonte di tutti i mali sociali, si appresta a mandarla in pensione. Basta, da parte mia, se volete proprio che ve lo dica, e ve lo dico anche se non volete che ve lo dica, io vedo solo un boia nel suicidio della professorina Ponge, e questo boia, in realtà, non è lo spleen, non è il vuoto, non è la laidezza, è lo Stato. È lui che l’ha uccisa!”

Se la storia che aveva tirato fuori la donna avvenente, insieme al discorsetto accusatorio dell’uomo dalla faccia butterata, avevano lasciato stupefatto Paolo il muratore, per l’Onorevole questi discorsi non ebbero lo stesso effetto. In lui, tutte queste accuse, perché di accuse dirette o indirette si trattava, fecero scattare una pulsione sorda e aggressiva. Sbottò:

“Ma si può sapere cosa vi prende? Cosa volete dire? Cosa state insinuando?” e rivolgendosi alla faccia butterata: “Tu, più di chiunque altro qui, sai bene che è stato mio padre a buttarmi nella politica nonostante la mia opposizione; conosci le mie battaglie, il mio background, eppure … Ma lasciamo perdere”, e indirizzandosi a tutti, proseguì.

“Vi ho spiegato più volte per filo e per segno le ragioni della mia decisione di ritirarmi dalla politica, e questo con o senza il consenso di mio padre. Ora, dato che lo Stato, secondo le regole che esso stesso emette, mi deve la pensione, io me la prendo! Perché allora continuate a rompermi le scatole coi vostri consigli, rimproveri, storie? Voi non sapete un accidente di quello che ho dovuto fare in questi anni di servizio. Non ho nessuna intenzione di continuare a lavorare in quest’ambiente per il resto della mia vita. No, no e no! Sfrutto la fortuna per avermi dato la chance di poter usufruire di questa concessione statale e del resto non me ne importa un tubo, se ci tenete a saperlo chiaro e tondo.

“E poi se uno lavorasse per rendersi utile alla società, per migliorarla, per curare gli ammalati, desse una mano ai bisognosi, okay, si potrebbero fare dei sacrifici, sacrifici per il bene comune. Solo che, per come funziona la cosa lì, in quel posto, gli ammalati divengono sempre più ammalati e i bisognosi sempre più bisognosi. Nessuno lì dentro si è mai interessato agli altri. Anzi, vi dirò di più, e non sono un cinico, quelli che lavorano nel Palazzo, non fanno altro che cercare di curare se stessi, perché, in realtà, i veri ammalati sono proprio loro!

“Scheisse, Unsinn!” fece una delle donne.

“In parole povere, le cose stanno pressappoco così,” continuò l’Onorevole ignorando quello che aveva detto la donna, “quei signori non cercano di curare gli altri, ma se stessi e alle spalle degli altri, alle spalle dei bisognosi, dei contribuenti. È con il sudore di questi che cercano di realizzare le loro ambizioni, i loro perversi ideali. E badate bene, ideali personali e non sociali! Quelle loro ambizioni e quei loro ideali li possono realizzare unicamente in un luogo come quello. Non l’avete ancora capito che la politica non è interessata a cambiare il mondo. Tutt’altro! La politica è reazionaria, è vuotaggine ragionata e truffaldina, è spettacolo, esaltazione di sé, nevrosi. In breve, è uno sfoggio multi-forme dell’egoismo.”

“È grottesco quello che stai dicendo. Non ti riconosco più. Proprio pazzo,” fece l’uomo dalla faccia butterata.

“Non sono mai stato così lucido,” continuò sempre più tagliente l’Onorevole. “Mi sono convinto che non si può lavorare in quell’ambiente senza essere contaminati. Operare insieme a persone così perfide e viziose vuol dire abbracciare la loro perversità, patologia, megalomania. Chiamatela come vi pare, ma sempre di malattia si tratta. Non voglio ammalarmi io, non voglio correre questo rischio. Il mio desiderio è di vivere in modo sano, con la coscienza a posto, trovare la pace e la tranquillità interiore di cui ho tanto bisogno, godermi presto questa casa quando sarà pronta, la mia famiglia, la vita. Sono una persona di ordinario egoismo, niente altro”.

“Ordinario egoismo, che bella trovata!” fece la donna avvenente, quella che aveva tirato fuori la storia della professorina Ponge.

“Ma poi,” proseguì l’Onorevole, “per quale ragione dovrei continuare a sbraitare in quel girone? Lavorare lì a voi può sembrare facile, bello, interessante; essere coperti di onori e assordati dagli applausi di gente ingenua, vi può parere grandioso; apparire spesso sui giornali, alla televisione, parlare alla radio, può soddisfare il vostro ego. Ebbene, io di queste carnevalate non ne sento il bisogno, mai sentito, andateci voi, ma lasciate in pace me. Vi prego, non scocciatemi più con questa storia!”

Nel prossimo post: terza e ultima parte

 

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