L’America e l’inevitabile 11 settembre

Quando il presidente degli Stati Uniti dice “Dio salvi l’America”, a cosa ti fa pensare, Rossi? A me, per dirti la verità, a più di una cosa. Mi fa pensare che, in questioni religiose, sia un idiota totale oppure mi fa pensare che chi “tiene il potere” può permettersi di dire qualsiasi stupidaggine o, ancora, che è schiavo della Costituzione americana. Se è così, come il religioso deve sottomettersi ai dogmi della Chiesa, lui deve sottomettersi a quanto è scritto nella Costituzione.

Inoltre, quando dice “Dio salvi l’America”, sta dicendo esattamente questo: “Possa l’America continuare a sfruttare il mondo come ha fatto fino adesso!” E Dio, quindi, secondo la logica di questo signor presidente degli Stati Uniti, ossia della Costituzione americana, Dio dovrebbe aiutare, non i paesi in miseria, non i paesi che stanno morendo letteralmente di fame, ma il paese più ricco della Terra, l’America! Ecco il senso di “God save America!” ed ecco anche il senso di giustizia all’americana!

L’America, subito dopo l’Indipendenza, quando sentiva ancora il bruciore delle scudisciate ricevute dal vecchio Continente, era contro tutte le monarchie europee in generale e quella inglese in particolare. Non era, però, come si suol pensare, contro tutte le ingiustizie. Non è vero che aveva un forte senso dell’uguaglianza e della giustizia tra i popoli. Nella Costituzione americana c’è scritto:

“Il testo originale approvato a Philadelphia nel 1787 accetta la schiavitù e incorpora addirittura fra i suoi principi la ripugnante legislazione contro gli schiavi fuggitivi; lascia intatte le restrizioni al diritto di voto stabilite dai singoli stati che escludevano gli Afro-americani, le donne e gli Indiani; affida il potere di eleggere il Presidente della Repubblica ad un ristretto numero di grandi elettori composto da cittadini di provata probità e saggezza (norma per altro caduta presto in disuso): sancisce che i senatori siano eletti dalle assemblee legislative degli stati e non dai cittadini; accorda un potere esagerato a minoranze privilegiate; riconosce ad un’istituzione non elettiva quale la Corte Suprema la facoltà di dichiarare incostituzionali leggi approvate dal Congresso e ratificate dal Presidente; assegna infine al Congresso, vera istanza democratica dell’intero sistema, poteri molto limitati in materia di governo dell’economia”, La Stampa, Tuttolibri, “I buchi neri dell’America”, un impero nato dalla più cruenta guerra civile, 25 aprile 2003.

La Costituzione americana “accetta la schiavitù”. E, infatti, si arriva addirittura alla vendita all’asta di negri: “Auction & Negro sales”. Un buon affare. “Profondo Sud: Terra di schiavi. L’insegna del negozio fotografato in questa strada di Atlanta (che tu non vedi Rossi ma io sì, perché ho la rivista “Quark N° 28, 2003” davanti agli occhi), nel Sud annuncia la vendita di schiavi. Nel 1850 gli schiavi negli Stati del Sud erano 3.2OO.OOO. L’importazione di schiavi era stata vietata già nel 1808. In Virginia, in alcune tenute si “allevavano” schiavi per esportarli in altri Stati”.

L’America, dunque, un paese che allevava schiavi come oggi si allevano polli per poi venderli sul mercato a chi li paga di più. Per quello che riguarda gli indiani, il motto degli americani era: “Meglio un indiano morto che uno vivo”. Ci è mancato poco che non li uccidessero tutti.

L’America, dicono, è un paese democratico. Anche se fosse così, che tipo di democrazia sarebbe quella americana? Vediamo: il popolo americano ha il diritto di eleggere ogni quattro anni un presidente. Questo, a sua volta, ha il diritto di difendere e mantenere l’imperialismo americano per i quattro anni del suo mandato: ecco la democrazia all’americana. In realtà, l’America non è un paese democratico, pas du tout, ma una monarchia imperialista. Il presidente americano è una specie di re, come lo è il papa, un re che dura uno o due mandati, ma pur sempre un re.

A George Washington, nel 1794, durante il suo secondo mandato, è stato offerto il titolo di re. Anche se lo rifiutò, questo non vuol dire che lui e i suoi discendenti, anche se non si fanno chiamare re, non si comportino, politicamente parlando, da monarchi imperialisti.“America must lead!” – l’America deve guidare!, voilà le ultime parole di Nixon prima di tirare le cuoia.

Per conto mio, Rossi, la pagina americana è ancora tutta da scrivere. È una pagina di storia dell’orrore. La sua facciata democratica, il suo motto di opportunità per tutti sono veri e propri specchietti per le allodole. La vera America è quella che, dal giorno della sua Indipendenza, nel 1783, ha iniziato la sua scalata razzista, schiavista, imperialista, capitalista. La vera America, dunque, è quella che fa guerra contro tutti e tutto. Nessun altro paese al mondo è mai stato, in così breve tempo, tanto discriminante, terrorizzante, guerrafondaio quanto l’America. L’America, nei FATTI, non è la liberazione dei popoli, come vogliamo romanticamente immaginarcela, ma il loro terrore.

“Si calcola che gli americani, scrive Tiziano Terzani in “Un altro giro di giostra”, riversarono sulle foreste e sulle risaie del Vietnam e del Laos circa cento milioni di litri di questa mistura (l’Agente Orange, spiega Terzani, la mistura defoliante usata dagli americani in Vietnam, a cui si attribuiscono le deformità con cui ancora oggi, a trent’anni di distanza, nascono centinaia di bambini in Indocina). Fu la prima volta nella storia dell’umanità che un’arma chimica di distruzione di massa venne impiegata in guerra. Gli americani erano stati anche i primi a usare le armi atomiche: in Giappone nel 1945. E, prima ancora, avevano fatto anche uso di armi batteriologiche con la distribuzione ai pellirossa di coperte intrise di virus del vaiolo”, p. 67.

Il comportamento nefasto di questo paese non ha limiti. Nel maggio del 1939, la nave St. Louis, con 937 ebrei a bordo, si era staccata dal porto di Amburgo per fare rotta verso l’America. 937 anime erano scappate dalle grinfie naziste sperando di trovare salvezza negli Stati Uniti. Non è stato così. Nonostante la gravità e il rischio che correvano, nonostante ciò, ai passeggeri della St. Louis non è stato permesso di sbarcare sulle coste americane e sono stati costretti a ritornare in Europa ad affrontare i campi di concentramento, grazie agli americani!

Noam Chomsky ne “11 settembre, le ragioni di chi?”, scrive: “Il Nicaragua negli anni ottanta era sottoposto a un violento attacco da parte degli Stati Uniti. Decine di migliaia di persone morirono. Il paese fu devastato, al punto da non potersi più riprendere. L’attacco terrorista esterno fu accompagnato da una feroce guerra economica, che un piccolo paese isolato da una superpotenza vendicativa e crudele poté sostenere solo con estrema fatica come i principali storici del Nicaragua, Thomas Walker, per esempio, hanno documentato dettagliatamente. Gli effetti sul paese sono molto più pesanti persino della tragedia di New York dell’11 settembre. I nicaraguensi non risposero facendo esplodere bombe a Washington: si rivolsero alla Corte internazionale, che si espresse a loro favore, ordinando agli Stati Uniti di fermarsi e di pagare cospicue riparazioni. Gli Stati Uniti respinsero con disprezzo la sentenza della Corte, rispondendo con un’immediata intensificazione dell’attacco…”, pp. 24-25.

Scrive ancora Terzani: “Da più di mezzo secolo gli americani, pur non avendo mai dovuto combattere a casa loro, non hanno smesso di sentirsi, e spesso di essere, in guerra con qualcuno: prima col comunismo, con Mao, con i guerriglieri in Asia e i rivoluzionari in America Latina; poi con Saddam Hussein e ora con Osama bin Laden e il fondamentalismo islamico”, p. 56.

Alle guerre che suscitano e combattono fuori dalla loro terra, gli americani non inviano i figli di papà, ma i figli dei Rossi, dei neri, degli emigranti, insieme ai criminali che stanno nelle loro prigioni. A costoro, se accettano di andare a combattere all’estero e ritornano vivi a casa, riconoscono libertà e cittadinanza, proprio come papa Clemente III, nella terza crociata, prometteva l’indulto, cioè l’assoluzione dei crimini commessi e il paradiso a tutti gli assassini che sarebbero stati disposti ad andare in Terrasanta a combattere gli infedeli. Una volta ancora la storia si ripete!

L’America, poi, si fa pagare profumatamente dai paesi che aiuta (come nel caso dell’Europa durante la seconda Guerra Mondiale). Così, machiavellicamente, con una fava, non prende solo due piccioni, ma tre: da una parte alleggerisce le sue prigioni, si sbarazza di poveretti e di “roba nera”, dall’altra si fa pagare a caro prezzo per questa “materia umana” che manda al macello e, da un’altra ancora, fa bella figura coi popoli che aiuta!

Ah, e che dire di Hollywood, la più grande fabbrica di sogni al mondo! Ecco cosa scrive a riguardo Tiziano Terzani nel libro già citato: “Hollywood non rifugge dall’affrontare i tanti problemi della società americana, ma ha un modo tutto suo di presentarli e di risolverli con quel lieto fine che è ideologicamente – e anche commercialmente – d’obbligo per ogni storia. Democrazia, eguaglianza, giustizia sono valori che vengono platealmente negati nella realtà, ma costantemente riaffermati nella sua rappresentazione. La finzione prende il posto della notizia. La propaganda quello della verità”, p. 64.

Hollywood non invade coi suoi prodotti cinematografici e propagandistici solo le case e le sale cinematografiche degli americani, invade anche quelli di tutto il Pianeta.

Io, Rossi, tutte le volte che ricordo di quando andavo al cinema da ragazzo per vedere i film western, dove c’erano sempre battaglie, combattimenti, duelli tra i bianchi e gli apaches, facevo il tifo, naturalmente, per i bianchi. Ebbene, da anni ormai, tutte le volte che ricordo questo episodio della mia vita, sento sorgere in me un inquietante disagio. Il cinema hollywoodiano ci presentava gli indiani da detestare a prima vista: feroci, bestiali, sanguinari, pieni di odio per i bianchi. Dall’altro lato, gli americani erano buoni, giusti, umani, portatori di civiltà e di progresso. Ecco come la macchina propagandistica hollywoodiana ci presentava pellirosse e yankee. E io, ragazzo innocente, credevo, credevo a tutto quello che vedevo in quei film western. Mi piacevano anche molto. Ma la realtà tra americani e indiani era così, come ce la presentavano nei film western? No, Rossi, non era così. La realtà era che gli indiani d’America erano vittime della brutalità americana, vittime trasformate in carnefici. Il grande sterminio degli indiani del Nord America, i Navaho ecc., da parte degli americani, non ha uguale per crudeltà e brutalità. In pochi decenni gli indiani erano stati quasi tutti sterminati e i sopravvissuti confinati nelle riserve, come bestie nei giardini zoologici.

Nella storia dei vincitori c’è raramente posto per la memoria dei vinti. Il ribaltamento dell’infame storia tra indiani e americani è la prova che i boia dicono tutto, eccetto la verità. Un popolo viene quasi sterminato, disperso, oltraggiato, scacciato dalla propria terra e i suoi assassini lo rappresentano nei libri, nei film, nella storia come una bestia feroce. E non solo. Te lo stampano nella memoria come un mostro! E io, al cinema, facevo il tifo, nella mia innocenza, nella mia ignoranza, non per gli indiani, ma per i loro carnefici, per quelli che uccidevano gli indiani nella propria terra e nella propria casa!

L’America, Rossi, non è soltanto un paese imperialista, schiavista, capitalista, aggressore, invasore, è anche un paese di cowboy, di film western. La filosofia dei western è sempre la stessa: buoni contro cattivi. Da qui nascono gli extraterrestri “cattivi”. Questi vengono combattuti e sconfitti dai buoni supermen che, guarda caso, si trovano solo in America, a Hollywood. Poi ci sono anche i “cattivi” terrestri. Questi vengono combattuti e sconfitti dai vari eroi alla Conan, alla Rambo, alla Annibal, lo psicopatico giustiziere, che, guarda caso, si trovano anche loro in America. Quest’America, però, è fiction. Nella realtà, e questo è paradossale, i cowboy non cambiano d’una virgola: continuano a combattere i cattivi e i cattivi più recenti per loro sono Fidel Castro, il Che, Salvador Allende, Saddam Hussein, Milosevich, Bin Laden, Arafat e tutti i paesi comunisti del mondo.

Gli americani vogliono, almeno romanticamente, vogliono fare la parte dei buoni, proprio come i protagonisti dei loro film hollywoodiani. Ma, nella realtà, è veramente così? Sono veramente buoni, giusti, umani i cowboy? E se lo sono, perché sfruttano il mondo? E se lo sono, perché per ogni americano ci vogliono 12 ettari di terreno per sguazzarci sopra e a un abitante del Burundi si lascia solo mezzo ettaro? E se lo sono, perché un benestante americano deve consumare in un solo giorno, tra cibo e altro, tanto quanto consumano cinquemila miserabili etiopi? E se lo sono, perché allora hanno bisogno di costruire cliniche per dimagrire, mentre nel Terzo Mondo la gente muore di fame? E se lo sono, perché mentono? Di vero, nella guerra dell’America ai Talebani (non dimenticare Rossi che, prima di combatterli, l’America addestrava i Talebani contro la Russia), c’è solo una cosa: il crollo delle Torri Gemelle, il resto è tutta una montatura senza uguale.

Ma poi, gli americani, sono davvero all’altezza di governare il mondo? Il mondo non lo si dovrebbe governare con il terrore e con la fiction, ma con la saggezza e con un forte senso di giustizia e di umanità. Saggezza, giustizia, umanità pare siano una merce rara in America. “Il problema, quindi, mio caro pistolero numero uno al mondo, è che una cosa è sparare, un’altra è governare. Nel primo caso, uno ha bisogno di un po’ di sveltezza e di incoscienza; nel secondo, di molta intelligenza e saggezza, but thou, Cowboy, to which one thou belong?”

L’America, nonostante sia straricca, nonostante consumi il 33% delle risorse mondiali, è frustrata, psicopatica, guerrafondaia, criminale, aggressiva, infelice. Perché? È la sua saggezza a renderla così?

Vedi, amico Rossi, io non posso, assolutamente non posso, se voglio essere onesto con me stesso e con te, e voglio esserlo, non posso esprimermi come si esprimono molti intellettualoidi del Belpaese riguardo all’America. Io dico sempre quel che penso e poco mi curo di quello che pensano gli intellettualoidi del Paese delle meraviglie.

Lasciamo perdere i sanguinari – Giosuè, Agamennone, Alessandro il Grande, i vari Cesari, Carlo Magno, Gengis Khan, Napoleone – e arriviamo agli inglesi. Questi, gli inglesi, in India, in Africa, in Australia, in Tasmania, nella Nuova Zelanda, in Canada, ovunque sono arrivati, hanno imposto la loro tirannia. Figurati che in Tasmania hanno passato a fil di spada gli aborigeni dal primo all’ultimo, innocenti e innocui primitivi. Così hanno fatto gli americani con gli indiani d’America. Avrebbero fatto la stessa cosa anche in Vietnam, se ci fossero riusciti.

Ora, prendiamo il caso Saddam. Non sto per dire che il leader dell’Iraq fosse un santo, tutt’altro. Ha sterminato i curdi, ha fatto la guerra contro l’Iran, contro il Kuwait e ha oppresso il suo stesso popolo. Migliaia, se non milioni di crimini pesano sulla sua coscienza, nel caso ce l’avesse. Quello che voglio dire, però, è che Saddam Hussein non ha fatto altro che copiare gli insegnamenti che gli hanno trasmesso proprio gli americani e gli inglesi!

Cos’altro ha fatto Saddam se non prima combattere gli avversari in casa e poi i suoi vicini (e sicuramente con il beneplacito degli americani, prima di diventare un loro nemico), i fondamentalisti, gli ayatollah e, infine, cercare di conquistarsi altre terre, come hanno fatto, più di qualsiasi altro paese al mondo, gli inglesi e gli americani? Cos’hanno fatto questi ultimi con la terra degli indiani? Cos’hanno fatto gli inglesi con la terra degli aborigeni australiani? Insomma, vogliamo ammetterlo o no che Saddam non ha fatto altro che seguire l’esempio dell’indegna e sanguinaria storia che l’ha preceduto, cioè assoggettare i suoi vicini? L’ha fatto più duramente, più obbrobriosamente, forse; però neanche gli americani sono stati teneri con gli indiani o gli inglesi con i tasmaniani!

Gli americani, da quando sono diventati americani, fanno tutto loro, sempre fanno tutto loro e a modo loro. Non si stancano mai di fare le cose stile cowboy. In certe cose non sono per nulla sportivi, democratici. Devo ammettere, però, che, anche se lo show è sempre il loro show, fanno also delle cose divertenti. Mettono addirittura delle taglie su tutti quelli che non vanno loro a genio. Wanted! Wanted! Wanted! Proprio come nei film western. Poi, per far sì che lo show divenga ancora più attraente, i wanted li chiamano re di picche e re di coppe e numero uno e numero cinquanta! Insomma, proprio tanta fantasia, tanta arte! Niente, Rossi, girala come vuoi, la forza ha sempre ragione: 2 + 2 = 5.

Il terrorismo, comunque, è sempre esistito ed esisterà sempre fino a quando ci saranno “democrazie all’americana!” Qui io non sto parlando di terroristi stile Twin Towers, ma di terroristi che nascono dalla miseria e dall’ingiustizia, che paesi come l’America creano nel mondo. Quanti innocenti muoiono di fame ogni giorno a causa degli Stati predatori come l’America?

Lo sappiamo, i terroristi stile Twin Towers sono dei fanatici, dei criminali, tutto quello che vuoi, Rossi. Quelli di cui parlo io, però, sono, in realtà, i poveri che prendono coscienza della loro infernale condizione sociale e che, come risultato, si ribellano e lo fanno contro i loro aguzzini perché non hanno altra scelta. Sono pronti a morire pur di venire fuori dalla loro miseria, miseria inflitta loro, senza ragione, dai paesi imperialisti, dalle democrazie all’americana!

I veri terroristi devono ancora venire; i veri terroristi si ispirano ai rivoluzionari, agli umanisti, ai ribelli, ai libertari, a tutti quelli che hanno combattuto, combattono e combatteranno a oltranza l’ingiustizia nel mondo. Il loro nobile obiettivo è di liberare gli oppressi. E per come vanno le cose adesso, non c’è dubbio, ci saranno sempre più terroristi, veri terroristi. Quelli delle Torri Gemelle non sono terroristi, sono fanatici fondamentalisti. I veri terroristi vengono dal basso, dal popolo. È inevitabile. L’ingiustizia crea la ribellione. I poveri sono arcistufi di essere sfruttati bastonati umiliati da quelli che posseggono tutto, dalle democrazie stile americano. I terroristi, non quelli alla Bin Laden, combattono queste storture sociali e le combattono col proprio sacrificio, perché non possono permettersi armi nucleari e tanto meno teste di cuoio. Questi terroristi sono martiri; sono anime nobili: con il loro sacrificio salvaguardano e migliorano l’umanità.

Terroristi non si nasce, terroristi si diventa e l’America, col suo fare dispotico e predatorio, sta trasformando il mondo intero in un mondo di terroristi!

Una cosa dunque è certa, l’America non rappresenta il canto della libertà dei popoli. Non l’ha mai rappresentato. E se l’ha fatto o se ha dato l’impressione di averlo fatto qualche volta nella sua storia, era solo inganno. L’America esiste per soddisfare il proprio egoismo. “Come si può pensare di vivere in pace in un mondo dove un paese di 250 milioni di abitanti (l’America) consuma da solo un terzo delle risorse del mondo e sporca l’ambiente, la nostra casa comune, per quasi un quarto?”, Giulietto Chiesa, “La guerra come menzogna”, p. 39. Tutto sono gli americani eccetto che sponsor di libertà e di democrazia.

La Statua della Libertà si trova nel paese sbagliato. Eiffel, colui che la disegnò, se fosse ancora in vita, avrebbe sicuramente rimpianto che fosse finita dov’è finita. La Statua della Libertà è il simbolo per eccellenza della Libertà dei popoli e l’America questo simbolo l’ha sporcato prima ancora di averlo: almeno da quando le sue piantagioni di tabacco erano piene di schiavi.

Io suggerirei, Rossi, e sono convinto che molti americani sarebbero d’accordo con me, che venisse trasferita, la Statua della Libertà, in una terra neutrale e che, in seguito, diventasse una specie di “scudetto mondiale”: il Paese che più si è battuto per l’uguaglianza e la libertà dei popoli della Terra durante gli ultimi cinque anni, esso e solo esso dovrà essere onorato con la Statua della Libertà.

L’America, a nostro modo di vedere, è uno degli Stati predatori più ingiusti al mondo. Forse sarà proprio essa, l’America, se non cambierà politica, se non la si fermerà, che darà il colpo di grazia al genere umano e a tutto ciò che respira sul Pianeta. L’America non è la libertà dei Popoli, l’America è la nemica di tutti i popoli della Terra, la nemica di ogni creatura e di ogni cosa: degli animali, dei vegetali, dei pesci, degli uccelli, delle piante, delle pulci; l’America è la nemica di ogni quid che respira, di ogni cosa fisica, di ogni composto chimico, la nemica della spazzatura, dei topi di fogna, dei vermi, dello sterco, dei cadaveri, dei neri, dei gialli, dei Rossi, del marciume, delle zecche, dei bianchi, delle nuvole, dei grilli, dell’aria che si respira; l’America è la nemica numero uno di tutti e di tutto perché, a causa della sua lussuria di potere e di ricchezze, tutto e tutti, anche la Terra, rischiano di essere distrutti: è l’autrice NUMERO UNO DELLA SESTA ESTINZIONE!

Quando il presidente degli Stati Uniti dice “Dio salvi l’America”, a cosa ti fa pensare, Rossi? A me, per dirti la verità, a più di una cosa. Mi fa pensare che, in questioni religiose, sia un idiota totale oppure mi fa pensare che chi “tiene il potere” può permettersi di dire qualsiasi stupidaggine o, ancora, che è schiavo della Costituzione americana. Se è così, come il religioso deve sottomettersi ai dogmi della Chiesa, lui deve sottomettersi a quanto è scritto nella Costituzione.

Inoltre, quando dice “Dio salvi l’America”, sta dicendo esattamente questo: “Possa l’America continuare a sfruttare il mondo come ha fatto fino adesso!” E Dio, quindi, secondo la logica di questo signor presidente degli Stati Uniti, ossia della Costituzione americana, Dio dovrebbe aiutare, non i paesi in miseria, non i paesi che stanno morendo letteralmente di fame, ma il paese più ricco della Terra, l’America! Ecco il senso di “God save America!” ed ecco anche il senso di giustizia all’americana!

L’America, subito dopo l’Indipendenza, quando sentiva ancora il bruciore delle scudisciate ricevute dal vecchio Continente, era contro tutte le monarchie europee in generale e quella inglese in particolare. Non era, però, come si suol pensare, contro tutte le ingiustizie. Non è vero che aveva un forte senso dell’uguaglianza e della giustizia tra i popoli. Nella Costituzione americana c’è scritto:

“Il testo originale approvato a Philadelphia nel 1787 accetta la schiavitù e incorpora addirittura fra i suoi principi la ripugnante legislazione contro gli schiavi fuggitivi; lascia intatte le restrizioni al diritto di voto stabilite dai singoli stati che escludevano gli Afro-americani, le donne e gli Indiani; affida il potere di eleggere il Presidente della Repubblica ad un ristretto numero di grandi elettori composto da cittadini di provata probità e saggezza (norma per altro caduta presto in disuso): sancisce che i senatori siano eletti dalle assemblee legislative degli stati e non dai cittadini; accorda un potere esagerato a minoranze privilegiate; riconosce ad un’istituzione non elettiva quale la Corte Suprema la facoltà di dichiarare incostituzionali leggi approvate dal Congresso e ratificate dal Presidente; assegna infine al Congresso, vera istanza democratica dell’intero sistema, poteri molto limitati in materia di governo dell’economia”, La Stampa, Tuttolibri, “I buchi neri dell’America”, un impero nato dalla più cruenta guerra civile, 25 aprile 2003.

La Costituzione americana “accetta la schiavitù”. E, infatti, si arriva addirittura alla vendita all’asta di negri: “Auction & Negro sales”. Un buon affare. “Profondo Sud: Terra di schiavi. L’insegna del negozio fotografato in questa strada di Atlanta (che tu non vedi Rossi ma io sì, perché ho la rivista “Quark N° 28, 2003” davanti agli occhi), nel Sud annuncia la vendita di schiavi. Nel 1850 gli schiavi negli Stati del Sud erano 3.2OO.OOO. L’importazione di schiavi era stata vietata già nel 1808. In Virginia, in alcune tenute si “allevavano” schiavi per esportarli in altri Stati”.

L’America, dunque, un paese che allevava schiavi come oggi si allevano polli per poi venderli sul mercato a chi li paga di più. Per quello che riguarda gli indiani, il motto degli americani era: “Meglio un indiano morto che uno vivo”. Ci è mancato poco che non li uccidessero tutti.

L’America, dicono, è un paese democratico. Anche se fosse così, che tipo di democrazia sarebbe quella americana? Vediamo: il popolo americano ha il diritto di eleggere ogni quattro anni un presidente. Questo, a sua volta, ha il diritto di difendere e mantenere l’imperialismo americano per i quattro anni del suo mandato: ecco la democrazia all’americana. In realtà, l’America non è un paese democratico, pas du tout, ma una monarchia imperialista. Il presidente americano è una specie di re, come lo è il papa, un re che dura uno o due mandati, ma pur sempre un re.

A George Washington, nel 1794, durante il suo secondo mandato, è stato offerto il titolo di re. Anche se lo rifiutò, questo non vuol dire che lui e i suoi discendenti, anche se non si fanno chiamare re, non si comportino, politicamente parlando, da monarchi imperialisti.“America must lead!” – l’America deve guidare!, voilà le ultime parole di Nixon prima di tirare le cuoia.

Per conto mio, Rossi, la pagina americana è ancora tutta da scrivere. È una pagina di storia dell’orrore. La sua facciata democratica, il suo motto di opportunità per tutti sono veri e propri specchietti per le allodole. La vera America è quella che, dal giorno della sua Indipendenza, nel 1783, ha iniziato la sua scalata razzista, schiavista, imperialista, capitalista. La vera America, dunque, è quella che fa guerra contro tutti e tutto. Nessun altro paese al mondo è mai stato, in così breve tempo, tanto discriminante, terrorizzante, guerrafondaio quanto l’America. L’America, nei FATTI, non è la liberazione dei popoli, come vogliamo romanticamente immaginarcela, ma il loro terrore.

“Si calcola che gli americani, scrive Tiziano Terzani in “Un altro giro di giostra”, riversarono sulle foreste e sulle risaie del Vietnam e del Laos circa cento milioni di litri di questa mistura (l’Agente Orange, spiega Terzani, la mistura defoliante usata dagli americani in Vietnam, a cui si attribuiscono le deformità con cui ancora oggi, a trent’anni di distanza, nascono centinaia di bambini in Indocina). Fu la prima volta nella storia dell’umanità che un’arma chimica di distruzione di massa venne impiegata in guerra. Gli americani erano stati anche i primi a usare le armi atomiche: in Giappone nel 1945. E, prima ancora, avevano fatto anche uso di armi batteriologiche con la distribuzione ai pellirossa di coperte intrise di virus del vaiolo”, p. 67.

Il comportamento nefasto di questo paese non ha limiti. Nel maggio del 1939, la nave St. Louis, con 937 ebrei a bordo, si era staccata dal porto di Amburgo per fare rotta verso l’America. 937 anime erano scappate dalle grinfie naziste sperando di trovare salvezza negli Stati Uniti. Non è stato così. Nonostante la gravità e il rischio che correvano, nonostante ciò, ai passeggeri della St. Louis non è stato permesso di sbarcare sulle coste americane e sono stati costretti a ritornare in Europa ad affrontare i campi di concentramento, grazie agli americani!

Noam Chomsky ne “11 settembre, le ragioni di chi?”, scrive: “Il Nicaragua negli anni ottanta era sottoposto a un violento attacco da parte degli Stati Uniti. Decine di migliaia di persone morirono. Il paese fu devastato, al punto da non potersi più riprendere. L’attacco terrorista esterno fu accompagnato da una feroce guerra economica, che un piccolo paese isolato da una superpotenza vendicativa e crudele poté sostenere solo con estrema fatica come i principali storici del Nicaragua, Thomas Walker, per esempio, hanno documentato dettagliatamente. Gli effetti sul paese sono molto più pesanti persino della tragedia di New York dell’11 settembre. I nicaraguensi non risposero facendo esplodere bombe a Washington: si rivolsero alla Corte internazionale, che si espresse a loro favore, ordinando agli Stati Uniti di fermarsi e di pagare cospicue riparazioni. Gli Stati Uniti respinsero con disprezzo la sentenza della Corte, rispondendo con un’immediata intensificazione dell’attacco…”, pp. 24-25.

Scrive ancora Terzani: “Da più di mezzo secolo gli americani, pur non avendo mai dovuto combattere a casa loro, non hanno smesso di sentirsi, e spesso di essere, in guerra con qualcuno: prima col comunismo, con Mao, con i guerriglieri in Asia e i rivoluzionari in America Latina; poi con Saddam Hussein e ora con Osama bin Laden e il fondamentalismo islamico”, p. 56.

Alle guerre che suscitano e combattono fuori dalla loro terra, gli americani non inviano i figli di papà, ma i figli dei Rossi, dei neri, degli emigranti, insieme ai criminali che stanno nelle loro prigioni. A costoro, se accettano di andare a combattere all’estero e ritornano vivi a casa, riconoscono libertà e cittadinanza, proprio come papa Clemente III, nella terza crociata, prometteva l’indulto, cioè l’assoluzione dei crimini commessi e il paradiso a tutti gli assassini che sarebbero stati disposti ad andare in Terrasanta a combattere gli infedeli. Una volta ancora la storia si ripete!

L’America, poi, si fa pagare profumatamente dai paesi che aiuta (come nel caso dell’Europa durante la seconda Guerra Mondiale). Così, machiavellicamente, con una fava, non prende solo due piccioni, ma tre: da una parte alleggerisce le sue prigioni, si sbarazza di poveretti e di “roba nera”, dall’altra si fa pagare a caro prezzo per questa “materia umana” che manda al macello e, da un’altra ancora, fa bella figura coi popoli che aiuta!

Ah, e che dire di Hollywood, la più grande fabbrica di sogni al mondo! Ecco cosa scrive a riguardo Tiziano Terzani nel libro già citato: “Hollywood non rifugge dall’affrontare i tanti problemi della società americana, ma ha un modo tutto suo di presentarli e di risolverli con quel lieto fine che è ideologicamente – e anche commercialmente – d’obbligo per ogni storia. Democrazia, eguaglianza, giustizia sono valori che vengono platealmente negati nella realtà, ma costantemente riaffermati nella sua rappresentazione. La finzione prende il posto della notizia. La propaganda quello della verità”, p. 64.

Hollywood non invade coi suoi prodotti cinematografici e propagandistici solo le case e le sale cinematografiche degli americani, invade anche quelli di tutto il Pianeta.

Io, Rossi, tutte le volte che ricordo di quando andavo al cinema da ragazzo per vedere i film western, dove c’erano sempre battaglie, combattimenti, duelli tra i bianchi e gli apaches, facevo il tifo, naturalmente, per i bianchi. Ebbene, da anni ormai, tutte le volte che ricordo questo episodio della mia vita, sento sorgere in me un inquietante disagio. Il cinema hollywoodiano ci presentava gli indiani da detestare a prima vista: feroci, bestiali, sanguinari, pieni di odio per i bianchi. Dall’altro lato, gli americani erano buoni, giusti, umani, portatori di civiltà e di progresso. Ecco come la macchina propagandistica hollywoodiana ci presentava pellirosse e yankee. E io, ragazzo innocente, credevo, credevo a tutto quello che vedevo in quei film western. Mi piacevano anche molto. Ma la realtà tra americani e indiani era così, come ce la presentavano nei film western? No, Rossi, non era così. La realtà era che gli indiani d’America erano vittime della brutalità americana, vittime trasformate in carnefici. Il grande sterminio degli indiani del Nord America, i Navaho ecc., da parte degli americani, non ha uguale per crudeltà e brutalità. In pochi decenni gli indiani erano stati quasi tutti sterminati e i sopravvissuti confinati nelle riserve, come bestie nei giardini zoologici.

Nella storia dei vincitori c’è raramente posto per la memoria dei vinti. Il ribaltamento dell’infame storia tra indiani e americani è la prova che i boia dicono tutto, eccetto la verità. Un popolo viene quasi sterminato, disperso, oltraggiato, scacciato dalla propria terra e i suoi assassini lo rappresentano nei libri, nei film, nella storia come una bestia feroce. E non solo. Te lo stampano nella memoria come un mostro! E io, al cinema, facevo il tifo, nella mia innocenza, nella mia ignoranza, non per gli indiani, ma per i loro carnefici, per quelli che uccidevano gli indiani nella propria terra e nella propria casa!

L’America, Rossi, non è soltanto un paese imperialista, schiavista, capitalista, aggressore, invasore, è anche un paese di cowboy, di film western. La filosofia dei western è sempre la stessa: buoni contro cattivi. Da qui nascono gli extraterrestri “cattivi”. Questi vengono combattuti e sconfitti dai buoni supermen che, guarda caso, si trovano solo in America, a Hollywood. Poi ci sono anche i “cattivi” terrestri. Questi vengono combattuti e sconfitti dai vari eroi alla Conan, alla Rambo, alla Annibal, lo psicopatico giustiziere, che, guarda caso, si trovano anche loro in America. Quest’America, però, è fiction. Nella realtà, e questo è paradossale, i cowboy non cambiano d’una virgola: continuano a combattere i cattivi e i cattivi più recenti per loro sono Fidel Castro, il Che, Salvador Allende, Saddam Hussein, Milosevich, Bin Laden, Arafat e tutti i paesi comunisti del mondo.

Gli americani vogliono, almeno romanticamente, vogliono fare la parte dei buoni, proprio come i protagonisti dei loro film hollywoodiani. Ma, nella realtà, è veramente così? Sono veramente buoni, giusti, umani i cowboy? E se lo sono, perché sfruttano il mondo? E se lo sono, perché per ogni americano ci vogliono 12 ettari di terreno per sguazzarci sopra e a un abitante del Burundi si lascia solo mezzo ettaro? E se lo sono, perché un benestante americano deve consumare in un solo giorno, tra cibo e altro, tanto quanto consumano cinquemila miserabili etiopi? E se lo sono, perché allora hanno bisogno di costruire cliniche per dimagrire, mentre nel Terzo Mondo la gente muore di fame? E se lo sono, perché mentono? Di vero, nella guerra dell’America ai Talebani (non dimenticare Rossi che, prima di combatterli, l’America addestrava i Talebani contro la Russia), c’è solo una cosa: il crollo delle Torri Gemelle, il resto è tutta una montatura senza uguale.

Ma poi, gli americani, sono davvero all’altezza di governare il mondo? Il mondo non lo si dovrebbe governare con il terrore e con la fiction, ma con la saggezza e con un forte senso di giustizia e di umanità. Saggezza, giustizia, umanità pare siano una merce rara in America. “Il problema, quindi, mio caro pistolero numero uno al mondo, è che una cosa è sparare, un’altra è governare. Nel primo caso, uno ha bisogno di un po’ di sveltezza e di incoscienza; nel secondo, di molta intelligenza e saggezza, but thou, Cowboy, to which one thou belong?”

L’America, nonostante sia straricca, nonostante consumi il 33% delle risorse mondiali, è frustrata, psicopatica, guerrafondaia, criminale, aggressiva, infelice. Perché? È la sua saggezza a renderla così?

Vedi, amico Rossi, io non posso, assolutamente non posso, se voglio essere onesto con me stesso e con te, e voglio esserlo, non posso esprimermi come si esprimono molti intellettualoidi del Belpaese riguardo all’America. Io dico sempre quel che penso e poco mi curo di quello che pensano gli intellettualoidi del Paese delle meraviglie.

Lasciamo perdere i sanguinari – Giosuè, Agamennone, Alessandro il Grande, i vari Cesari, Carlo Magno, Gengis Khan, Napoleone – e arriviamo agli inglesi. Questi, gli inglesi, in India, in Africa, in Australia, in Tasmania, nella Nuova Zelanda, in Canada, ovunque sono arrivati, hanno imposto la loro tirannia. Figurati che in Tasmania hanno passato a fil di spada gli aborigeni dal primo all’ultimo, innocenti e innocui primitivi. Così hanno fatto gli americani con gli indiani d’America. Avrebbero fatto la stessa cosa anche in Vietnam, se ci fossero riusciti.

Ora, prendiamo il caso Saddam. Non sto per dire che il leader dell’Iraq fosse un santo, tutt’altro. Ha sterminato i curdi, ha fatto la guerra contro l’Iran, contro il Kuwait e ha oppresso il suo stesso popolo. Migliaia, se non milioni di crimini pesano sulla sua coscienza, nel caso ce l’avesse. Quello che voglio dire, però, è che Saddam Hussein non ha fatto altro che copiare gli insegnamenti che gli hanno trasmesso proprio gli americani e gli inglesi!

Cos’altro ha fatto Saddam se non prima combattere gli avversari in casa e poi i suoi vicini (e sicuramente con il beneplacito degli americani, prima di diventare un loro nemico), i fondamentalisti, gli ayatollah e, infine, cercare di conquistarsi altre terre, come hanno fatto, più di qualsiasi altro paese al mondo, gli inglesi e gli americani? Cos’hanno fatto questi ultimi con la terra degli indiani? Cos’hanno fatto gli inglesi con la terra degli aborigeni australiani? Insomma, vogliamo ammetterlo o no che Saddam non ha fatto altro che seguire l’esempio dell’indegna e sanguinaria storia che l’ha preceduto, cioè assoggettare i suoi vicini? L’ha fatto più duramente, più obbrobriosamente, forse; però neanche gli americani sono stati teneri con gli indiani o gli inglesi con i tasmaniani!

Gli americani, da quando sono diventati americani, fanno tutto loro, sempre fanno tutto loro e a modo loro. Non si stancano mai di fare le cose stile cowboy. In certe cose non sono per nulla sportivi, democratici. Devo ammettere, però, che, anche se lo show è sempre il loro show, fanno also delle cose divertenti. Mettono addirittura delle taglie su tutti quelli che non vanno loro a genio. Wanted! Wanted! Wanted! Proprio come nei film western. Poi, per far sì che lo show divenga ancora più attraente, i wanted li chiamano re di picche e re di coppe e numero uno e numero cinquanta! Insomma, proprio tanta fantasia, tanta arte! Niente, Rossi, girala come vuoi, la forza ha sempre ragione: 2 + 2 = 5.

Il terrorismo, comunque, è sempre esistito ed esisterà sempre fino a quando ci saranno “democrazie all’americana!” Qui io non sto parlando di terroristi stile Twin Towers, ma di terroristi che nascono dalla miseria e dall’ingiustizia, che paesi come l’America creano nel mondo. Quanti innocenti muoiono di fame ogni giorno a causa degli Stati predatori come l’America?

Lo sappiamo, i terroristi stile Twin Towers sono dei fanatici, dei criminali, tutto quello che vuoi, Rossi. Quelli di cui parlo io, però, sono, in realtà, i poveri che prendono coscienza della loro infernale condizione sociale e che, come risultato, si ribellano e lo fanno contro i loro aguzzini perché non hanno altra scelta. Sono pronti a morire pur di venire fuori dalla loro miseria, miseria inflitta loro, senza ragione, dai paesi imperialisti, dalle democrazie all’americana!

I veri terroristi devono ancora venire; i veri terroristi si ispirano ai rivoluzionari, agli umanisti, ai ribelli, ai libertari, a tutti quelli che hanno combattuto, combattono e combatteranno a oltranza l’ingiustizia nel mondo. Il loro nobile obiettivo è di liberare gli oppressi. E per come vanno le cose adesso, non c’è dubbio, ci saranno sempre più terroristi, veri terroristi. Quelli delle Torri Gemelle non sono terroristi, sono fanatici fondamentalisti. I veri terroristi vengono dal basso, dal popolo. È inevitabile. L’ingiustizia crea la ribellione. I poveri sono arcistufi di essere sfruttati bastonati umiliati da quelli che posseggono tutto, dalle democrazie stile americano. I terroristi, non quelli alla Bin Laden, combattono queste storture sociali e le combattono col proprio sacrificio, perché non possono permettersi armi nucleari e tanto meno teste di cuoio. Questi terroristi sono martiri; sono anime nobili: con il loro sacrificio salvaguardano e migliorano l’umanità.

Terroristi non si nasce, terroristi si diventa e l’America, col suo fare dispotico e predatorio, sta trasformando il mondo intero in un mondo di terroristi!

Una cosa dunque è certa, l’America non rappresenta il canto della libertà dei popoli. Non l’ha mai rappresentato. E se l’ha fatto o se ha dato l’impressione di averlo fatto qualche volta nella sua storia, era solo inganno. L’America esiste per soddisfare il proprio egoismo. “Come si può pensare di vivere in pace in un mondo dove un paese di 250 milioni di abitanti (l’America) consuma da solo un terzo delle risorse del mondo e sporca l’ambiente, la nostra casa comune, per quasi un quarto?”, Giulietto Chiesa, “La guerra come menzogna”, p. 39. Tutto sono gli americani eccetto che sponsor di libertà e di democrazia.

La Statua della Libertà si trova nel paese sbagliato. Eiffel, colui che la disegnò, se fosse ancora in vita, avrebbe sicuramente rimpianto che fosse finita dov’è finita. La Statua della Libertà è il simbolo per eccellenza della Libertà dei popoli e l’America questo simbolo l’ha sporcato prima ancora di averlo: almeno da quando le sue piantagioni di tabacco erano piene di schiavi.

Io suggerirei, Rossi, e sono convinto che molti americani sarebbero d’accordo con me, che venisse trasferita, la Statua della Libertà, in una terra neutrale e che, in seguito, diventasse una specie di “scudetto mondiale”: il Paese che più si è battuto per l’uguaglianza e la libertà dei popoli della Terra durante gli ultimi cinque anni, esso e solo esso dovrà essere onorato con la Statua della Libertà.

L’America, a nostro modo di vedere, è uno degli Stati predatori più ingiusti al mondo. Forse sarà proprio essa, l’America, se non cambierà politica, se non la si fermerà, che darà il colpo di grazia al genere umano e a tutto ciò che respira sul Pianeta. L’America non è la libertà dei Popoli, l’America è la nemica di tutti i popoli della Terra, la nemica di ogni creatura e di ogni cosa: degli animali, dei vegetali, dei pesci, degli uccelli, delle piante, delle pulci; l’America è la nemica di ogni quid che respira, di ogni cosa fisica, di ogni composto chimico, la nemica della spazzatura, dei topi di fogna, dei vermi, dello sterco, dei cadaveri, dei neri, dei gialli, dei Rossi, del marciume, delle zecche, dei bianchi, delle nuvole, dei grilli, dell’aria che si respira; l’America è la nemica numero uno di tutti e di tutto perché, a causa della sua lussuria di potere e di ricchezze, tutto e tutti, anche la Terra, rischiano di essere distrutti: è l’autrice NUMERO UNO DELLA SESTA ESTINZIONE!

Vedere Lo  Stato predatore

 

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *