Papa Ratzinger o Papa Francesco?

Qualcuno mi ha chiesto ieri sera, provocatoriamente, se preferivo papa Ratzinger o Papa Francesco. Ho risposto né l’uno né l’altro. Non sono un credente. L’altro ha insistito che gli dessi comunque una risposta. Allora gli ho detto che preferivo papa Ratzinger a Papa Francesco: era più onesto e integro nel suo fare. Quest’ultimo, Papa Francesco, mi pare tanto un burattino che recita il ruolo del santo protettore degli oppressi quando in realtà non fa altro che fare il gioco di quelli che l’hanno messo sul trono papale.


 

Lettera al grande Presidente del grande paese Portus

Onoratissimo Rispettosissimo Conosciutissimo Presidente del paese Portus, ascolti la mia preghiera, please. Ieri sera, il mio amatissimo Gatto Piuto, Piuto Gatto, nonostante tutti gli aiuti e gli sforzi del grandissimo famosissimo dottore Ciarburgli, ha comunque tirato le cuoia. Ora, dato il suo grande leggendario passato di attaccante e velocissimo nell’acchiappare topi, particolarmente quelli lenti, slowly, perché erano troppo grassi to run fast, io chiedo, dato i grandi servigi e i grandi onori fatti al grande paese Portus, io chiedo quindi che per il mio fu Gatto Piuto, Piuto Gatto, chiedo che gli si conceda, non 3 giorni, ma 3 mesi di lutto nazionale e una settimana di camera ardente sulla grande grandissima famosissima Plaza du Porro. Grazias, thank you very very much, merci, monsieur le president.

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Michael Schumacher

 

Mio padre, che era un contadino, uno di quelli che faceva fatica, nonostante il duro lavoro, a nutrire la sua famiglia, è morto nella più totale anonimità; Michael Schumacher, uno che come lavoro fa giri e giretti con una macchina da corsa intorno ad un circuito chiuso e, per questi suoi giri e giretti, lo si paga una barca di soldi, per questo signore i mass media del Belpaese, da giorni ormai, non fanno altro che parlare di lui.

Ma perché poi parlano di lui? Perché, mentre sciava sulle nevi dell’Alta Savoia, in Francia, incoscientemente e irresponsabilmente, nonostante sapesse che era proibito, è uscito ugualmente fuori pista mettendo a rischio, non solo la sua vita, ma anche quella di suo figlio che era lì con lui e quella di tutti quelli che, incoscienti come lui, erano andati fuori pista per godere di inebrianti emozioni e per dimostrare a quelli che rispettano le regole, il loro protagonismo e superomismo.

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6 scenari dell’inevitabile fine dell’umanità

 1          Per mano dell’uomo

2          Per un’eruzione d’un supervulcano

3          Per l’impatto con un corpo celeste

4          Dai raggi gamma provenienti d’una supernova

5          Inghiottita da un buco nero

6          Annientata alla morte del Sole.

Quale dei primi 3 scenari avrà il privilegio di distruggerci è difficile prevederlo, dato che tutt’e tre, questi cavalieri dell’apocalisse, hanno la stessa chance e possono verificarsi in qualsiasi momento. Non abbiamo nessun controllo su di essi. Un supervulcano come quello, ad esempio, di Yellowstone, in America, potrebbe mettersi a ruttare da un giorno all’altro e buttare tanta di quella roba vulcanica nello spazio, come ha fatto il supervulcano Toba in Indonesia 73mila anni fa, da oscurare la Terra per anni; i paesi guerrafondai come l’Iran o Israele, potrebbero sganciare una bomba atomica e far partire una guerra nucleare tra i giganti della terra; una cometa, come quella che colpì Giove nel 1994, la Shoemaker-Levy 9, potrebbe colpire noi e chi si è visto si è visto.

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Il 2013 e il 2014

Ancora qualche palata di terra e poi il 2013 sarà sepolto per sempre. Resterà, in alcuni un po’ più vivamente, in altri un po’ meno, nei nostri cuori e nella nostra memoria. Il mio 2013, comunque, si è portato con sé nella tomba qualche delusione, rimpianto, amico, dolore, ma anche tanti tantissimi giorni settimane e mesi ricchi d’amore, di felicità, di vita vissuta, almeno consapevolmente, sempre alla massima potenza.

Dal 2014 cosa voglio? Non so tu, mio caro lettore/lettrice, cosa vuoi dal 2014, ma io sì, lo so. Voglio un anno ancora più bello di quello trascorso, un anno positivo, ricco di sapori, costruttivo, pieno di vita. Voilà cosa voglio io dal 2014. E tu, amico lettore/amica lettrice, cosa vuoi dal 2014?

La mente malata di Peter Jackson

Ormai non c’è più nulla di sano su tutto il Pianeta e questo vale anche per l’ultimo capolavoro del grottesco di Peter Jackson, “Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato”. Nulla da dire, una mente malata e nulla più. Il guaio è che ha contagiato anche la mia. Anch’io, per il solo fatto che sono andato a vedere Lo Hobbit, mi sono scoperto di avere una mente ammalata. Anche gli altri spettatori presenti nel cinema, mi è venuto da pensare mentre guardavo esterrefatto questa mostruosità cinematografica, avevano una mente ammalata.

Com’altro si potrebbe definire una mente che per mesi e anni pensa, crea, abborraccia e mette in scena una tale ignominia? Come altro si potrebbe definire un essere che con un accanimento maniacale morboso macabro sanguinario, trascorre giorni mesi e anni ad almanaccare inumanità inaudite? Un tale squallore di pensiero! E tutti gli attori, dal primo all’ultimo, che si sottopongano giorno dopo giorno e per mesi e anni a tutto questo sfacelo interpretativo, non sono forse anch’essi degli ammalati mentali?

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Il mostro più mostruoso della Terra

Quanti milioni di animali al giorno devono essere uccisi, perché un solo animale fra tutti loro si nutra? E con quale diritto, l’animale che uccide, si appropria di questo titolo? Come si chiama questa creatura sanguinaria?

Chi conosce la risposta è pregato di darla, grazie.

È morto Peter O’Toole ed è morto male

Perché? Perché desiderava l’Oscar che si sarebbe meritato. Anzi, non uno ma otto.

Vediamo: tra Marcel Proust “Alla ricerca del tempo perduto” e Grazia Deledda “Canne al vento”, a chi dei due dare il Nobel?

Vediamo: tra Peter O’Toole “Lawrence d’Arabia” e “La vita è bella” di Roberto Benigni, a chi dei due dare l’Oscar?

Chiaro?

Cos’altro dire eccetto che la politica, in tutti gli aspetti della vita, ha sempre l’ultima indegna disonesta prepotente parola!

 

Il mongoloide

Si racconta che all’inizio del 2000, in un luogo di montagna del Nord, non si sa esattamente, ma pare nel Biellese, si dovette traslocare temporaneamente una madonna nera da una chiesa di montagna dov’era confinata ad una località a valle. Questa vicenda, per quanto innocua e banale, aveva creato molti problemi, danni e dolori alla popolazione montana e del luogo.

Si racconta che morirono vecchi e donne incinte perché non avevano avuto assistenza medica durante il periodo dei preparativi e dello spostamento della Beata Nera, perché la strada che portava in montagna era stata chiusa; si racconta che si distrussero due interi boschi di pini per agghindare le strade e gli edifici dove passava la Santissima con rami di pino infiocchettati di nastri bianchi che assomigliavano tanto alle corone dei morti; si racconta che c’erano dappertutto delle ambulanze che raccoglievano tutti quelli che stramazzavano per terra a causa della lunga marcia; si racconta che i suicidi, nonostante questo santo divino evento, erano saliti alle stelle; e, da ultimo, si racconta che questo trasloco madonnaro è costato l’ira di Dio agli abitanti della zona.

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Che cos’è la democrazia?

Questa funziona così: fino a quando tutto cambia per non cambiare nulla, fino a quando le gerarchie sociali sono rispettate, fino a quando il presidente della Repubblica può prendersi 240mila euro all’anno più tutte le prebende e il semplice impiegato del comune arriva si e no a 10mila, allora la si chiama democrazia. Però, se non si rispettano queste leggi democratiche, se non si accetta questo contratto sociale, se non s’inghiottono con un sorriso sulle labbra tutte le discriminazioni e tutte le ingiustizie che questo modo di vivere insieme comporta, allora da democrazia, in men che non si dica, si trasforma in pignoramenti, botte, prigioni, tasse sempre più salate, crimini, uccisioni. In due parole: in nazifascismo!

Ecco, popolo di merda, ecco cosa ti vendono per democrazia, ecco il vero verissimo senso di questa parolona. Imbecille, svegliati!

Scum of the earth, wake-up!

Sciopero con le mani in tasca!

Grande! Veramente grande!! Ma che trovata!!! Come se quelli che stanno distruggendo tutto e tutti tenessero le mani in tasca. Perché, allora, oltre che fare sciopero con le mani in tasca, non mettersi anche una camicia di forza? Eventualmente ammanettarsi. E dato che ci siamo, perché non mettersi anche le catene ai piedi? E, in ultimo, per fare le cose veramente alla grande grande, perché non mettersi a 90 gradi? Ma insomma, che paese è mai questo? Che vigliaccheria! Grande, grande, grande è il Paese delle meraviglie!

 

Popolo e politici

Il popolo non è un’idea, non è un pensiero astratto, non è un concetto con cui giocare, il popolo è fatto di carne e ossa, d’anima e spirito, d’intelligenza e umanità, ma soprattutto è fatto di muscoli che producono le cose essenziali dell’esistenza: non parole, chiacchiere, veleni, ma vita! Solo chi fa parte del popolo può capire il popolo.

I politici, anche se sono fatti di carne e ossa come il popolo, non lo capiscono, non lo conoscono, hanno però imparato come sfruttarlo, prenderlo in giro e trattarlo a pesci in faccia, loro, proprio loro che dipendono da lui anche per l’aria che respirano!

È tutto sottosopra il mondo dei valori sociali! Una cosa, una sola cosa è certa: fino a quando non sarà il popolo stesso ad autogovernarsi, a gestire il suo sudore e a raddrizzare il mondo imbroglione e assassino che ha ereditato, il grottesco sociale continuerà impietoso e indisturbato nel suo fare criminale.

Scum of the earth, wake-up!

Nelson Mandela: un burattino nelle mani del potere o un rivoluzionario alla Che?

Forse né l’uno né l’altro o forse tutt’e due o ancora forse un burattino nelle grinfie del potere.

Può un uomo, ci chiediamo noi, può un uomo, dopo aver trascorso 27 anni in prigione, dopo aver subito brutalmente e inumanamente la violenza dei suoi nemici, un uomo che non ha più neppure le lacrime per piangere all’uscita di prigione, può perdonare i suoi carnefici?

Un tale uomo dovrebbe essere un simbolo di “porgi l’altra guancia”, dunque, un simbolo di pace o un simbolo di eterna lotta tra i boia della terra e gli innocenti?

I derelitti dell’Africa, si sono riscossi grazie a Nelson Mandela o continuano ad essere sfruttati umiliati discriminati violentati e massacrati dai loro padroni, i bianchi?

Mandela, in realtà, era un burattino nelle mani di questi ultimi o un combattente per gli interessi del popolo africano, un popolo che da quando è popolo ha dovuto sempre sopportare la tirannia dei bianchi?

Insomma, chi era esattamente il vero Mandela?

Io, i Gandhi, in un mondo come il nostro, un mondo machiavellico, senza scrupoli, truce, assassino, guerrafondaio, che trasuda violenza in ogni cosa che pensa, dice e fa, io i Gandhi in un mondo come questo li vedo per quello che sono: i continuatori dell’ingiustizia e dello sfruttamento sociale. Non “uno per tutti e tutti per uno”, non rivoluzionari delle giuste cause, ma zimbelli nelle mani dei mostri di turno nella guida e sfruttamento del mondo.

Scum of the earth, wake up!

Hollywood ha il pregio di essere oggi ciò che nel Medioevo era la Chiesa

Sta inquinando il mondo e la mente di tutti noi con i suoi diabolici film (non ho bisogno di dare dei titoli, li conoscete) e serial (idem), uno più rimpinzito dell’altro di stregonerie, di maghi, di fenomeni soprannaturali, di extra-religiosità, di poteri sovraumani, di effetti stravaganti, di ogni immaginabile e inimmaginabile invenzione volgare squallida superficiale ideologica. Hollywood è una fabbrica di rubbish mentale di ogni calibro e dimensione, proprio come lo è stata la Chiesa per millenni.

Gli attori, i direttori, i registi, i tecnici, insomma tutti gli organizzatori e i lavoratori di questa colossale costruzione dell’artificio, vivono comodamente e riccamente sulle spalle di coloro a cui avvelenano mente e cervello nelle loro proprie case! Nulla di più facile per arricchirsi e per tenere il popolo nell’ignoranza e nella superstizione. Hollywood è l’essenza, l’anima, il cuore e il sostegno occulto degli Stati predatori della Terra.

How do you call it, hollywoodiana art? And who told you that it is really art and not political rubbish? Viva Hollywood, viva l’artificio, viva l’imbroglio, viva il re nudo!

Scum of the earth, wake up!

Rimuovere la morte dalla vita: che assurdità! – 5 post sulla Signora delle tenebre, quinto e ultimo

Il problema della morte è una cosa seria, la cosa più seria che ci sia per noi esseri umani. Tutto parte dalla nostra morte. È questa che dovremmo cercare di capire e di farcela amica già da una tenera età, perché essa è il perno, la forza e la passione della nostra esistenza. Senza la morte, saremmo nulla.

Chi crede di poter risolvere questo problema, se problema è, all’ultimo minuto, si sbaglia. Tutto il rimosso vive in noi come una bestia cieca e feroce. E questa, la bestia cieca e rimossa, non si può calmare all’ultimo istante, quando stiamo per tirare le cuoia. Affatto! Allora, perché rimuoverla dalla nostra coscienza, dal nostro cervello, dalla nostra vita? Perché non integrarla nel nostro sistema tanto intimamente quanto l’amore? Perché non pensare alla morte tanto quanto pensiamo alle cose che più amiamo al mondo? Dobbiamo farlo, perché solo così addolciremo la sua portata negativa. Dopo tutto, se vogliamo valorizzare la vita, dobbiamo valorizzare la morte.

La morte si esperimenta vivendo: ce la troviamo nel piatto in cui mangiamo, nel letto in cui dormiamo, nella macchina che guidiamo, nel sorriso che facciamo ai nostri cari. Mentre stiamo facendo all’amore, lo facciamo contemporaneamente con la vita e con la morte. In tutto quello che facciamo, lei è lì accanto a noi. Non possiamo fare diversamente. La Signora delle tenebre ci adora, è lì, sempre lì, al nostro fianco, pronta!

Il saggio, dice Spinoza, non pensa alla morte, pensa alla vita. Sbagliato, filosofo. Ma questi filosofi! Il saggio saggio, Spinozino, pensa ad entrambe, altrimenti che saggio è?

 

 

 

Sentire la morte che accarezza la vita – 5 post sulla Signora delle tenebre, il quarto

Il filosofo Epicuro sbaglia, certo che sbaglia dicendo che, quando lui c’è, la morte non c’è e che, quando c’è la morte, non c’è lui. Nella realtà, le cose non stanno così; nella realtà la vita e la morte sono inseparabili. Vivono, dormono e si svegliano insieme. Questo matrimonio intimo e connaturato con la Lady of darkness dura una vita, perché da essa non si può divorziare, separare, liberare e quando ci si libera, allora è la fine, la fine di tutto.

Non c’è nulla da fare se si vuole ottenere qualcosa da questo matrimonio biologico e spirituale, c’è solo da imparare a vivere ed esperimentare la morte contemporaneamente alla vita. Imparare ad accarezzarla come s’accarezza il volto dell’amato/a; ecco l’arte di vivere, un’arte piena e totale.

Addio stelle luminose, addio praterie in fiore, addio dolci baci, addio micino mio, addio luce dai miei occhi: tutti dovremmo, non subire questo evento, ma prepararci ad esso come ci si prepara ad una festa! Una sola volta si gioca con la vita e poi mai più, never again, gioco tanto bello quanto tiranno e crudele. La vita contemporaneamente alla morte; la morte contemporaneamente alla vita: che esperienza, che connubio, che melodia!

Sentire le mani soft e sicure della Signora delle tenebre accarezzare la tua vita, darle il suo ultimo autorevole tocco ed essere totalmente e interamente presente in questo momento, che fortuna! Sì, amico Rossi, bisogna imparare a “fare di necessità virtù”, bisogna imparare a vivere gioiosamente e felicemente con la Signora delle tenebre!

Nel prossimo e ultimo post: Rimuovere la morte dalla vita: che assurdità!

La morte e il nulla – 5 post sulla Signora delle tenebre, il terzo

A volte, devo dire, amico Rossi, che persino mi diverto con “la Signora delle tenebre”. Ad esempio, quando mi permette di trascorrere un intero anno senza problemi, dolori, acciacchi, un intero anno di fitness: che regalone coi tempi che corrono! Lo so, lo so, non ci crederai, è un tuo diritto, però, e te l’assicuro, la Lady of darkness è anche dispensatrice di buona salute, di buon animo, di buon umore. Allora, quando mi regala un intero anno senza problemi di salute, mi sento di ringraziarla e, per farlo, brindo con lei, io e la Signora delle tenebre brindiamo insieme.

Cheers! faccio io.

Cheers! risponde lei.

C’è un filosofo, come si chiama? Ah sì, Epicuro. Epicuro dice qualcosa del genere: quando c’è la morte, la vita non c’è e quando c’è la vita la morte non c’è. Sbagliato, mio caro Epicuro. Vita e morte sono inseparabili. La morte uno la esperimenta vivendo, proprio come uno esperimenta un’esperienza amorosa, cambia solo il feeling.

Amore per la vita è amore per la morte. Più detesti la morte, più ami la vita, perché la morte è una passione oscura che tramuta la carne bruta in ragionevolezza e, infine, in poesia.

Nel prossimo: Sentire la morte che accarezza la vita

Tratto da  Ha un senso la vita?

Sposarsi con la Signora delle tenebre – 5 post sulla Lady of darkness, il secondo

Non c’è vita senza morte, ma c’è, eventualmente, morte senza vita. La vita è intrecciata con la sua compagna, il nulla e il nulla è la casa della morte, la casa della Signora delle tenebre. Morte uguale nulla; nulla uguale morte. Una volta che questa è avvenuta, non ha compagni. È sola, lonely. Il nulla non può avere compagni. Si perde nel grande mare del non esistente.

La morte uno l’assapora vivendo. La morte è individuale, singolare, propria; la vita è collettiva, sociale, la si vive insieme agli altri. Gli eventi sociali li sperimentiamo insieme; la morte è un’esperienza tutta al singolare, personale, la più personale che ci sia in assoluto. E noi, più ci avviciniamo alla morte, più amiamo la vita; più siamo vicini alla morte, più ci sentiamo vivi.

Niente, amico Rossi, per vivere interamente e intensamente bisogna sposarsi con la Signora delle tenebre, la Lady of darkness, e non dimenticare mai di trattarla e parlarle con riguardo come faccio io. Ad esempio:

“Come stai oggi, mia Signora? Posso fare qualcosa per te?”

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C’è un modo per combattere la morte? – 5 post sulla Signora delle tenebre, il primo

C’è un modo, dunque, per combattere questa Lady? Sì, c’è: accettarla, farsela amica, amarla. Non abbiamo scelta. Dobbiamo imparare ad amarla. Non possiamo sfuggirle, non possiamo nasconderci, non possiamo evitarla, siamo 24 ore su 24 alla sua mercé: ci domina. Chiaro? Arrenderci ad essa (dobbiamo pure farlo prima o poi) non è una sconfitta, ma un’alleanza: da amici vivremo meglio!

The Lady of darkness è una parte importante, se non la parte più importante della nostra vita, della nostra natura, del nostro “tutto incluso”.

Amare la morte è amare la vita e amare la vita è amare la morte. Chi ha paura della Signora delle tenebre, ha paura di vivere, e chi ha paura di vivere, vivrà una piccola misera infelice vita.

Nel prossimo:  Sposarsi con la Signora delle tenebre

 Tratto da   Ha un senso la vita?

La Bibbia è il nemico mortale dei credenti

Proprio così. È semplice scoprirlo. Basta solo leggerla. Chiunque la leggesse, smetterebbe di credere. Ma perché smetterebbe di credere? Perché dal primo all’ultimo capitolo non dice altro che cose in cui nessun figlio o figlia di donna può credere. Allora, signori credenti, invece di continuare a credere e a parlare senza conoscere il Libro principe della vostra credenza, leggetelo e poi giudicate voi stessi se è il Libro scritto da Dio oppure una fabbricazione umana a scopi di dominio e di ricchezza.

A proposito, se qualcuno di voi riuscirà a dimostrarmi che il contenuto del Libro scritto da Dio in persona è vero, io, e lo giuro sul mio onore, gli darò tutto quello che possiedo, incluso gli abiti che indosso e poi sparirò dalla vista dei miei simili. Lettori e lettrici credenti, non perdetevi questa chance: prendetevi il premio e dimostrate l’esistenza di Dio. Good luck!

Ancora una preghiera: nel caso poi scoprireste che la Bibbia è un artificio unico, allora, ecco, e questo solo per ragioni di coerenza e per l’inizio d’una piccola intesa fra noi, allora vi chiederei solo questo: sbattezzatevi, grazie.

Grado di stronzaggine nel Paese delle meraviglie

Questo è un paese di stronzi, lo si riconosce o meno. Sillogisticamente: sono un meraviglioso, quindi, sono uno stronzo. Il punto è, quanto, da uno a dieci, le persone che incontriamo sulla nostra strada, sono stronze. Fate buoni incontri!

La Papera d’oro e le auliche lettere

 Qualche tempo fa, una signora dell’alta classe, chiamata la Papera d’oro, ad un certo punto della sua vita, dato il suo status e i suoi miliardi, decise di darsi, tra tantissimi altri impegni e hobby, anche alla scrittura che, secondo lei, chiunque se la porta dentro. In ogni modo, e guarda caso, non era neppure lei a scrivere i suoi libri. Aveva altre cose da fare, la signora. Certo, i libri portavano il suo nome e cognome, ma in verità non era lei a scriverli. Questo, almeno quelli che avevano fiuto, l’avevano capito. Faceva fatica a tirare giù una sola riga senza sbagli e sbadigli, sostenevano, come allora avrebbe potuto scrivere dei libri? Secondo loro, secondo quelli che avevano fiuto, la Papera d’oro riusciva sì e no a balbettare qualche cosa a qualche giornalista senza lavoro o scribacchino privo di talento, ma che aveva la passione for anonymity. Questi, lo scrittore fantasma, ghost writer o come lo si vuol chiamare, geniale nell’arte dell’artificio, accettava l’incarico della Papera d’oro e, a lavoro finito, glielo consegnava, intascava la lauta somma pattuita e felicemente si eclissava nel suo delizioso anonimato.

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Ladies and gentlemen, vi presento homo sapiens sapiens sapiens!

 Applauso, per favore! Grazie, grazie, va già meglio. Troppo carini. Basta, basta. Non vi rovinate le mani. Va benissimo così. Gracias gracias. Ora… Scusate, sono un po’ emozionato… Un grande personaggio… Very big. Beh… Sapete… Niente, questo lavoro è stato affidato a me, proprio a me!… Cercherò d’essere all’altezza del compito…

Ladies and gentlemen, ho il piacere di annunciarvi che noi viviamo, grazie a lui, grazie a homo sapiens sapiens sapiens, che vedete qui a fianco a me, grazie a questo signore, noi viviamo in una cultura assassina e per di più legalizzata!

La nostra storia, grazie a lui, grazie a homo sapiens sapiens sapiens, è la storia del crimine e dell’imbroglio escogitata a tavolino. Great!

Il mondo in cui viviamo, grazie a lui, grazie a homo sapiens sapiens sapiens, è un mondo cannibalesco: mangia o sarai mangiato!

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La mia università

Vedo spesso su Facebook, in quest’ultimo tempo, che mi si chiede (ad esempio, l’Università degli Studi di Torino, l’Università degli Studi di Teramo, l’Università degli Studi di Napoli Federico II) quale università ho frequentato. Ho già risposto, se ricordo bene, a questa domanda più d’una volta e lo rifaccio.

Intanto c’è da dire che le università non creano solo degli Einstein, ma mettono anche sul mercato laureati che, grazie all’istruzione universitaria ricevuta, ne approfittano per meglio imbrogliare i loro simili, quelli che non hanno avuto la chance di studiare. Comunque, ad ognuno la sua università. La mia è stata quella del lavoro: i lager statali e del capitalismo. Questo tipo di lavoro (sarebbe più corretto definirlo “schiavismo legale”) ti fa sopravvivere, se ti fa sopravvivere, fuori, ma pian piano ti succhia tutte le tue energie e ti appassisce dentro e, infine, senza onore e senza pietà, ti dà la stoccata finale: ti ammazza! Io, e non so ancora oggi come ho potuto, sono riuscito a tirarmi fuori da questo mostruoso “contratto sociale”.

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Dobbiamo eliminare il Nobel?

 

L’Accademia di Stoccolma dovrebbe chiudere i battenti del Nobel. Il suo, in realtà, è un modo di punire o premiare. In parole povere, o il bastone o la carota. È un mondo vecchio questo, vecchio e stravecchio. Secondo questa illustre istituzione la cosa funziona così: “Se fai il tuo lavoro come si deve, allora ti do un premio; se non lo fai, ti do una bastonata, cioè niente.” Questo discorso non si distingue molto da quello della mamma che dice al figlio: “Se passi l’esame, ti comprerò il motorino, se non lo passi, niente.”

L’uomo non dovrebbe, ma deve imparare a lavorare per dovere, per ragioni che l’oltrepassano. In altre parole, perché deve e non perché viene stimolato dalla carota, dal premio, dal fatto che coi riconoscimenti ricevuti primeggerà sugli altri. Deve imparare a dare tutto di se stesso e deve farlo per motivi, non egoistici ma umani, motivi di convivenza sociale, e questo perché usufruisce anche lui di quello che i suoi simili, collettivamente parlando, fanno e creano. Il suo dev’essere un impegno disinteressato e comprensivo.

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Religione e politica: una vera catastrofe!

Lucrezio, primo secolo avanti la nostra era, nel suo unico libro “La natura”, diceva che la politica e la religione erano un unico e reciproco potenziarsi a vicenda di forze negative e sconvolgenti. Oggi, duemila anni dopo, noi diremmo che non sono solo “un unico e reciproco potenziarsi a vicenda di forze negative e sconvolgenti”, ma che sono diventate il pericolo numero uno per la sopravvivenza del genere umano.

Il contratto capestro di Marcinelle – in 3 post, il terzo

 Il contratto capestro di Marcinelle – in 3 post, il terzo

 Non so quanti anni hai tu, Rossi, ma io ne ho abbastanza per ricordare quell’otto agosto del 1956. Ero ancora un ragazzo. Ricordo comunque tutto. Ricordo la signora Giuseppina che, non appena sentita la tragica e funesta notizia, si era messa subito a urlare a più non posso e a strapparsi i capelli in mezzo alla strada: qualcuno le aveva comunicato che suo marito era rimasto seppellito in una miniera in Belgio. Non solo lui. Altri duecento sessantanove minatori italiani avevano fatto la sua stessa fine. Lì, intrappolati come topi, a centinaia di metri di profondità; lì, in quei buchi, cunicoli e pozzi, a morire con la bocca piena, non di pane, ma di terra e carbone.

            I lavoratori italiani dovevano firmare un contratto di 5 anni per andare a lavorare nella miniera della morte di Marcinelle. Venivano trasportati lì in treni bestiame, come quelli che i nazisti usavano per trasportare gli ebrei e altri prigionieri di guerra. Una volta in Belgio venivano disinfettati come se fossero stati pieni di pidocchi e di altri parassiti e poi, solo poi, accolti in un campo di concentramento della Seconda Guerra Mondiale. Dopo qualche settimana di lavoro, cioè dopo che i lavoratori avevano provato la durezza e il pericolo di quel posto d’inferno dov’erano finiti, anche se non avessero voluto più starci, anche se avessero deciso di ritornare nel loro paese, non avrebbero potuto. Perché non avrebbero potuto? Perché il “contratto capestro” che avevano firmato, stipulato a tavolino dai degnissimi governanti dei due illustri paesi, li obbligava a lavorare nella miniera della morte per i 5 anni stabiliti. Quelli che non rispettavano il contratto che avevano innocentemente e per necessità di sopravvivenza firmato con una croce o qualche altro scarabocchio, venivano incarcerati presso le petit chateau dove molti di loro marcivano, morivano di fame, di umiliazione e di crepacuore.

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Il cane e il gregge

Questo tipo di credenti, dice Orazio Guglielmini a Rossi, anche se al nocciolo la colpa non è la loro, noi li definiamo, d’ora in avanti, come coloro che non sanno da che parte sta il culo e da che parte sta la vagina. La ragione di questa definizione è semplice. Tra il gregge, come viene giustamente chiamato, e il cane, non c’è differenza. Il primo bela, fa bla bla; il secondo abbaia, emette ululi; il primo ubbidisce al prete, il secondo ubbidisce al padrone; il primo crede in Dio anche se non esiste, il secondo nel suo padrone anche se lo bastona; il primo muore servo d’un’invenzione machiavellica, il secondo servo del suo padrone.

Che cosa potrebbe, ci chiediamo noi, che cosa potrebbe allontanare il gregge dall’impostura religiosa? E la risposta è: la conoscenza. Che cosa potrebbe allontanare il cane da un cattivo padrone? La conoscenza. Non ce l’hanno né l’uno né l’altro.

Vedere L’Indifferenza divina

Quando gli italiani non erano italiani ma africani – in 3 post, il secondo

 Quando gli italiani non erano italiani ma africani  – in 3 post, il secondo

Fine Ottocento inizio Novecento, il biglietto per l’America in quei tempi costava intorno ai dieci dollari. Ci si imbarcava per diverse destinazioni, ma soprattutto per emigrare nel paese dei sogni: l’America. Dopo una traversata di tre settimane d’inferno, si arrivava a destinazione, sempre se si arrivava, ai limiti della sopravvivenza su quelle carrette marine cariche di bestiame italiano, dove i naufragi, i suicidi, le malattie, la morte erano all’ordine del giorno.

Una volta arrivati in America, la terra sognata, non iniziava il bello, ma il brutto: chi era analfabeta, aveva infezioni e altri problemi fisici, se ne ritornava a casa, volente o nolente. I fortunati, invece, quelli che venivano accettati dalle autorità, cominciavano, qui e lì sul grande continente, il loro calvario, non meno duro di quello degli schiavi che arrivavano dall’Africa sulle coste americane fino a non molto tempo prima. Il bestiame italiano era mano d’opera a bassissimo costo. Ad esso spettava il lavoro più pesante, pericoloso, disgustoso, servile, doloroso, umiliante.

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L’esodo italiano ovvero emigrare o morire – in 3 post, il primo

Questo si verificò, Rossi, in particolar modo, tra il 1876 e la fine degli anni venti. Durante questo periodo, circa 27 milioni di italiani lasciarono il Bel Paese, si staccarono dalla roccia come le cozze, avrebbe detto Verga, per andare in cerca di pane in giro per il mondo. Questa era l’unica via di scampo se volevano sopravvivere, scappare dall’inferno della fame in cui vivevano e cercare cibo altrove, proprio come fanno oggi gli extracomunitari (= migranti, gente non locale, terroni, gruppi eterogenei, morti di fare, comunità illegale, schiavismo legalizzato, e chi più ne ha più ne metta), ecco cosa eravamo noi fino a qualche manciata di anni fa.

Dove andava a chiedere l’elemosina il popolo lavoratore del Bel Paese? In Germania, in Francia, in Belgio, negli Stati Uniti, in Svizzera, in Canada, in Inghilterra, in Australia, nella Nuova Zelanda, in Africa, in Argentina, in Brasile, in tutta l’America del Sud e in mille altri paesi e posti del mondo.

Nel prossimo: quando gli italiani non erano italiani ma africani

Vedere Il Paese delle meraviglie

Il vero linguaggio del politico

Quando il politico esalta il partito, la democrazia, la repubblica; quando urla viva il socialismo, il comunismo, il capitalismo, in realtà sta esaltando se stesso, sta dicendo viva i miei diritti, viva il mio potere, viva la mia demagogia, viva i miei privilegi, viva la politica; quando tuona dai pulpiti promettendo questo e garantendo quest’altro ai cretini che lo stanno ascoltando, in verità sta assicurando a se stesso un buon bocconcino, un benessere garantito, un alto posto tra i boss e i parassiti.

A lui, al politico, interessa solo e solo se stesso. Ecco come lui, consciamente o inconsciamente, si vede e si loda: “Viva il mio successo! Viva la mia famiglia! Viva la mia immunità! Viva il mio ego, il mio egoismo, il mio egocentrismo, viva il mio culo e la mia popolarità!”

Quando il politico parla del bene della nazione, del popolo, della prosperità, della solidarietà, dell’interesse comune, sta esattamente parlando del suo bene, della sua prosperità, del suo interesse, della paga più alta che si può portare a casa, perché, in realtà, del suo paese, dell’interesse generale, della miseria del popolo, se ne infischia caramente, non ci pensa neppure.

Da una psicologia del profondo, è questa l’immagine che ne viene fuori. E non solo. Il politico, l’anima del politico, il cuore del politico, il cervello rettiliano e machiavellico del politico, la sua volpinità e la sua mostruosità, sono ancora tutte da scoprire.

E voi, poveri imbecilli che li ammirate, ascoltate, votate, mandate al potere, è mai possibile che non avete ancora capito proprio nulla di questi rettili con camicia e cravatta?

Bogududù scatenato

Qui, in questo paese, disse deciso e conciso Bogududù quando è stato interpellato, se si vuol cambiar qualcosa, allora bisogna menar le mani. Non c’è altro. Argomento chiuso. Fuck off! Andate via, vigliacchi! È vero, quando vi ho messo al mondo ero ubriaco fradicio, ma non avrei mai potuto pensare che sareste diventati così indegni di vostro padre! Siete la mia disgrazia. Via, fuck off, non voglio più vedervi!

Il vecchio al pronto soccorso – in due post, il secondo

Quale senso potrebbe avere la materia al di fuori di quello che gli diamo noi? Non insegui questo pensiero. Troppo arcano, troppo filosofico, troppo inutile. Pensi, invece, pensi a qualcosa del genere: ecco come va a finire tutto il traffico di una vita, tutte le ambizioni, tutto quel dimenarsi a destra e a sinistra. Ti salta anche alla mente che non conta nulla se uno muore com’è morto il vecchio sulla barella o in un altro modo. Morire nel proprio letto o su una barella mentre sei parcheggiato al pronto soccorso di un ospedale, cosa vuoi che cambi?

Anch’io, continuavo a rimuginare, mentre seguitavo a guardare il morto, anch’io un giorno morirò, resterò senza fiato, senza pensieri, senza parola, senza vista, senza vita e, fino a quando non mi avranno cremato, sarò anche un fastidio per gli altri. “Di troppo”, avrebbe detto Roquentin, ne “La nausea” di Sartre. Di troppo? Sì, di troppo, ma solo per gli uomini, non per la natura. Per lei, la morte è tanto naturale quanto un qualsiasi altro evento e non ha importanza dove e come muori.

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Il vecchio al pronto soccorso – in due post, il primo

Ero andato al pronto soccorso per farmi medicare un dito, un pomeriggio, dopo avergli dato, per sbaglio naturalmente, un colpo di martello, disse Orazio Guglielmini a Rossi. C’era tanta gente che aspettava e pochi dottori e infermieri. Un vecchio su una barella rantolava. Lo guardai. Lui non mi notò, non penso. Sembrava mal messo. Aveva un viso stanco, un aspetto moribondo e respirava con fatica. Qualcosa si stava sgretolando rapidamente in lui. Visto le condizioni in cui era sentii il dovere di chiedergli: “Vuole che cerchi un dottore?” Non mi rispose. Forse non si accorse neppure che gli avevo rivolto la parola. Era alle prese con cose più importanti della vita lui, molto più importanti delle ombre come me che gli baluginavano attorno.

Vidi arrivare il prete. Si vede che qualcuno l’aveva chiamato. Infatti, era andato dritto dritto da lui. Allora la situazione era drammatica, pensai. Il prete iniziò a parlargli. Capì, sicuramente capì che, nello stato in cui il vecchio era, gli restava pochissimo da vivere. Voleva fare in fretta a somministrargli i sacramenti, ma non fece in tempo, Dio non glielo permise. Il vecchio, dopo due colpi di tosse e un leggero arcuare del corpo, s’afflosciò, non si mosse più, morì mentre stava cercando di mormorargli qualcosa. Era rimasto con gli occhi spalancati e la bocca aperta.

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Un amore tragico

 “Non aspettare neppure un istante, se puoi, per carpire ciò che desideri”, mi disse Nino quella volta con gli occhi pieni di lacrime, “perché ogni istante potrebbe essere l’ultimo.”

Eravamo seduti sulla terrazza d’un caffè. Le tazzine vuote.

“Se ne andò vergine, se ne andò vergine!, capisci?”

Io lo guardavo, non parlavo, non sapevo cosa dire.

“Quante volte, quante volte l’ho desiderata, sono stato sul punto di …”

Aveva un brutto aspetto. Faceva pena.

“Questa storia mi sta uccidendo.”

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Dove, l’appuntamento?

C’è un racconto indiano molto bello circa la Signora delle tenebre che Tiziano Terzani riporta nel suo libro “Un altro giro di giostra”.

“Un giorno il Califfo manda il suo Visir a sentire cosa dice la gente al bazar. Quello va e nella folla nota una donna magra e alta, avvolta in un gran mantello nero, che lo guarda fisso. Terrorizzato, il Visir scappa via. Corre dal Califfo e lo implora: Sire, aiutami! Al bazar ho visto la Morte. È venuta per me. Lasciami partire, ti prego. Dammi il tuo migliore cavallo. Con quello, a tappe forzate, stasera sarò in salvo a Samarcanda.

“Il Califfo acconsente e fa portare il suo cavallo più veloce. Il Visir balza in sella e galoppa via a spron battuto.

 “Incuriosito, il Califfo va lui stesso al mercato. Nella folla vede la donna dal gran mantello nero e l’avvicina.

  “Perché hai fatto paura al mio Visir” le chiede.

   “Non gli ho neppure parlato”, risponde la Morte. “Ero solo sorpresa di vederlo qui, perché il nostro appuntamento è stasera a Samarcanda.”

Il Cavaliere Berlusconi

Che persona, che fascino, che potenza espressiva, che che che. È ormai da 20 anni che nel Paese delle meraviglie domina con il suo gossip. Il Paese, tutto il Paese, è affascinato ipnotizzato calamitato dal suo gossip. Si alza il mattino e fa colazione gossipando sul Cavaliere, a mezzogiorno pranza facendo gossip sul Cavaliere, la sera cena e non gossip d’altro che del Cavaliere Berlusconi e, naturalmente, va a fare la nanna gossipando sul Cavaliere Berlusconi. Che Paese, che Popolo, che Uomini, che apertura Mentale!

Uno scrittore in cerca d’editore – 5 post, il quinto

 Per me una casa editrice dovrebbe rappresentare un modello di cultura, un modello di vita, un modello di comportamento etico morale umano intellettuale politico nazionale e internazionale dove scrittori e lettori s’incontrano e trovano un senso e una direzione esistenziale nel modo più spontaneo e naturale che si possa immaginare; per me una casa editrice dovrebbe essere una fonte, una sorgente, uno specchio, un luogo dove non dovrebbe esserci inquinamento mentale, falsità, corruzione; ecco cosa dovrebbe essere, grosso modo, per me una casa editrice.

Qual è allora il mio appello, l’appello d’uno scrittore in cerca d’editore? Eccolo: io cerco un editore ambizioso, aperto, deciso, che ama e rispetta il suo lavoro, la sua professione, che stima ciò che pubblica, che ama e rispetta i suoi lettori, che è orgoglioso del suo Paese, che desidera vedere il suo Popolo culturalmente e politicamente illuminato, avveduto e pronto, degno di essere un vero e proprio modello di cittadinanza, e non solo in Italia. In breve, cerco un editore che faccia respirare un po’ d’aria pulita, un po’ di sano vivere, un po’ di dignità umana, un po’ di poesia, ecco l’editore che cerco.

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Sfida agli editori doc del Bel Paese – 5 post, il quarto

Io sono uno scrittore che si auto-pubblica, self publishing author dicono gli inglesi, e cioè prima vivo i miei racconti, poi li scrivo, poi scelgo chi me li può stampare, decido il formato, la copertina, il titolo, cosa scrivere sul retro di copertina e sulle alette, decido il prezzo, correggo le bozze, pubblico, pago e mi leggo. Sono, come si dice, non un mozzicone, un quarto o un mezzo scrittore, ma uno scrittore totale, intero.

Questo però non vuol dire che i miei racconti, scritti, romanzi siano inferiori a quelli che vengono congeniati, abborracciati, elaborati dall’editore doc, dal disegnatore doc, dal tecnico doc, dal titolo doc, dallo stampatore doc, dal bozzettista doc, dal critico che fa una critica a pagamento doc, dal divulgatore doc, dalla copertina doc, dal prezzo doc, dal distributore doc,  da da da, affatto, non lo penso. Infatti, i miei racconti, scritti, romanzi, anche se non godono di tutti questi “doc”, ciò non vuol dire che siano meno “doccati”.

Per dimostrarlo, sfido qualsiasi editore doc della carta stampata del Bel Paese a prendere uno dei suoi romanzi, a sua scelta e piacere, e io ne prendo uno dei miei e li facciamo poi leggere dal popolo, è l’unico degno di questo compito, e vediamo quale dei due ha meglio carpito l’anima e il cuore della società nazifascista e capitalista in cui viviamo, quale dei due viene compreso, apprezzato e amato di più; quale dei due resterà più a lungo nella mente dei lettori, quale dei due, infine, avrà più contribuito a sensibilizzare e far nascere nei lettori nuovi e positivi valori.

Non posso farci nulla, sono un romantico, uno che crede nel fair play, nell’essere, com’è di moda dire oggi, politically correct. Voilà. La sfida è lanciata.

Editori e scrittori del Bel Paese – 5 post, il terzo

 A mio modo di vedere, gli scrittori e gli editori italiani, consciamente o inconsciamente, sono i responsabili dell’analfabetismo in cui il popolo affoga. Il popolo di Charles Dickens, nel diciannovesimo secolo, leggeva molti più libri di quanti ne legge il popolo italiano oggi nel 2013. Qui, in questo paese, gli scrittori non conoscono il popolo; il popolo non conosce i suoi scrittori. Non per nulla non legge, è rimasto illetterato, e se legge, legge Topolino; e se legge, legge scrittori stranieri. Quelli italiani li legge a scuola perché non può farne a meno: gli vengono imposti! E così, scrittori ed editori raccolgono i frutti che hanno seminato: non vengono letti né vendono libri. Il boomerang ha svolto il lavoro che prima o poi, inevitabilmente, avrebbe dovuto svolgere: gli è arrivato in testa.

Ho iniziato a scrivere quand’ero ancora un ragazzo e pascolavo il gregge sulle colline e montagne calabresi e ho imparato, a mie spese e in terre straniere, a distinguere, lungo la mia vita, tra cavoli e pegaso. L’Italia, la vera Italia, e chi non vuol sentire il suo lezzo si turi il naso, non vende letteratura né cultura di emancipazione, ma propina una letteratura e una cultura di oscurantismo e di schiavismo mentale e medioevale (Voltaire, Flaubert, Goethe, questo l’avevano già capito). Il popolo, ahimè, conferma questa triste realtà. È rimasto schiavo e ignorante, pesta petto e sentimentale, credulone e bigotto, meschino e morto di fame. Non per colpa sua, ovvio, ma per colpa di quelli che vogliono tenerlo così, condizionato e baciasanti! Niente di più degradante, niente di più infamante per un paese che pretende di essere civilizzato.

Culturalmente parlando, cosa esporta, divulga, diffonde l’Italia in giro per il mondo? Che tipo di idee? Non idee emancipatrici, non scienza e filosofia, non una letteratura con una spina dorsale. Il popolo che abita questo paese lo sta dimostrando giorno dopo giorno che una spina dorsale non ce l’ha. Che tipo di politica esporta? Una politica indegna e vergognosa che più indegna e vergognosa non si può. Cos’altro esporta? La religione? E  cos’altro è la religione eccetto che superstizione e oppio dei popoli? Quando il papa va in altri paesi, non va a portargli scienza, conoscenza, illuminismo, democrazia, affatto, va a portargli l’incultura, va a portargli medioevalità, oscurantismo, fondamentalismo, ecco cosa esporta all’estero il papa. Qual è, allora, il gioco dell’Italia sulla scacchiera internazionale, quello di emanciparsi ed emancipare i popoli o quello di affogare il mondo e se stessa in un medioevalismo e oscurantismo abissali?

Tutto questo e molto altro è lavoro dell’élite, della sovrastruttura, della casta dominante, lavoro, soprattutto, di scrittori ed editori. Le eccezioni, in questo paese di gomma, tanto care alla signora Mirella Tenderini, non contano!